La valigia dei missionari

La valigia dei missionari

Lo studio di lingue, scienze e arti, la preparazione a viaggi epici. E poi la scoperta di mondi sconosciuti: una conferenza alla Biblioteca del Pime descriverà la partenza dei primi religiosi destinati alla Cina

«Come può un semplice spostamento nello spazio influenzare gli individui, plasmare i gruppi sociali e modificare quelle durature strutture di significato che chiamiamo cultura?». Parto da queste parole di Eric J. Leed e dal titolo di uno dei suoi libri più famosi, Per mare e per terra, per presentare la chiave di lettura che ha guidato l’analisi delle fonti (lettere, articoli, relazioni) sulla presenza del Pime in Cina tra Ottocento e Novecento.

Il primo “bagaglio” missionario era quello culturale. Un documento del 1851 ci mostra come la formazione non si esaurisse con teologia e storia ecclesiastica. Per quanto riguardava le lingue straniere, «uno studio alquanto impegnato dell’inglese e l’esercizio del francese pare che bastino, dovendo credersi al consiglio di persone illuminate e per lunga esperienza di ministero ben informate, essere le lingue dei popoli infedeli da impararsi sul posto, e non doversi perdere il tempo in esercizi difficilmente riuscibili e sovente inutili». Pur disilludendo chi si aspettava che il seminario fosse un «Istituto di Scienze e arti, una scuola di tutte le lingue», si considerava importante acquisire credito anche grazie alla «perizia dei missionari nelle scienze puramente umane e nelle arti di utilità temporale, anzi di puro diletto». Vorrei concentrarmi sui missionari che, con questa “valigia” e intraprendenza, arrivarono a Hong Kong nella fase di insediamento della missione. I primi non venivano dall’Italia, ma dall’esperienza negativa in Oceania. Tra i reduci c’era padre Giovanni Timoleone Raimondi che, dal 1858 fino alla sua morte nel 1894, fu uno dei protagonisti della missione e instancabile viaggiatore in tutto il mondo.

Nel 1861 inviò all’amico malato padre Paolo Reina la relazione sul primo viaggio effettuato nella parte continentale della missione di Hong Kong. Raimondi vorrebbe dar modo all’amico missionario, costretto a tornare in patria per motivi di salute, di vivere di riflesso questo “rito di passaggio”. Il resoconto è particolarmente rappresentativo per la sua antichità e ricchezza di dettagli. Gli elementi ricorrenti sono l’insistenza sui tempi degli spostamenti, che esprime la fisicità del viaggio, la volontà di conoscere in modo approfondito la realtà dell’entroterra, viaggiando in barca e inerpicandosi sulle cime più alte per avere un ampio sguardo sui territori. Anni dopo, durante una sosta a Parigi, legata ai suoi compiti di responsabile della missione, scrisse: «Sono troppo stanco di restare in Europa, e ne ho proprio bisogno di andare alla mia China. Ho timore di morir in Europa di nostalgia Chinese».

Un altro “cinese d’adozione”, padre Giuseppe Burghignoli, fa parte di quel ristretto numero di missionari del Seminario lombardo (che insieme all’omologo Istituto romano formerà il Pime nel 1926) che avrebbe superato il traguardo dei trent’anni di missione in Cina. Nel 1860 partì da Milano e sin dall’imbarco a Ve­nezia sul piroscafo “America” inviò notizie sulla sua esperienza di viaggio. Come molte persone del suo tempo, non aveva familiarità con i lunghi viaggi per mare e mostra simpatica autoironia in una sua lettera: «Il tragitto è stato felicissimo […] ma ciò non toglie che or l’uno or l’altro si videsse sparire e correre ad intanarsi, e essere costretto a fare digiuni un po’ più che ecclesiastici». Il mare, però, portava con sé “mali” imprevisti ben più gravi della nausea.

I pirati erano un problema che, a fasi alterne, si presentava nella zona di Hong Kong. Nel 1878 il pericolo ritornò e spinse padre Luigi Piazzoli e un nuovo arrivato, Luigi Sasso, a scrivere di un inaspettato scontro notturno. I due missionari si stavano dirigendo verso la nuova area loro affidata: Hoifung. Lasciato il porto di Hong Kong, la giunca che li trasportava venne assalita da due imbarcazioni «facendo della nostra povera stanzina un fortino» e tra colpi di carabina e cannonate «sembrava d’esser nell’anticamera dell’inferno».

Anche i temibili tifoni rendevano pericolosi gli spostamenti e lo stes­so vivere in quell’area. I missionari hanno trasmesso descrizioni ed effetti di questi fenomeni «mentre il tortuoso vento, come perseverante testuggine, urtava la città».

I viaggi e la necessità di orientarsi in Cina hanno prodotto anche una serie di carte geografiche, tra cui segnalo le mappe di Hong Kong e dell’Henan disegnate da padre Simeone Volonteri, molte delle quali sarebbero state messe a disposizione dei lettori della rivista Le missioni cattoliche, “antenata” di Mondo e Missione, fondata nel 1872 proprio dal Seminario lombardo. Queste esperienze e riflessioni di viaggi sono diventate quindi uno dei primi patrimoni sulle realtà extraeuropee condivisi con un pubblico interessato, ma non specialistico. Da questi viaggi sono nati reportages a puntate, descrizioni di piante e animali locali, contributi etnografici… corredati da incisioni che hanno aiutato i lettori a immergersi in un mondo allora sconosciuto e per questo ancora più affascinante.