La missione secondo Madeleine

La missione secondo Madeleine

Una visione in anticipo sui tempi e luminosamente profetica. È quanto si ritrova nel sesto volume dell’opera omnia della Delbrêl, che raccoglie le sue riflessioni dedicate a tutti i «missionari con o senza barche»

 

Francia, 1943: infuria la Seconda guerra mondiale. Madeleine Delbrêl, assistente sociale e mistica, 39 anni, da dieci sta conducendo la sua inedita missione per le strade, nella periferia operaia di Parigi. Un giorno scrive un testo dedicato a santa Teresa di Lisieux «patrona di tutti i missionari con o senza barche». Pagine che, ancora oggi, suonano fresche di Vangelo e a dir poco profetiche, in anticipo – come sono – di un ventennio sulla data di apertura del Concilio Vaticano II. Leggiamo: «Dall’alto della sua duna di sabbia, il missionario con la veste bianca vede la distesa di terre non battezzate. Dall’alto di uno scalone della metropolitana, missionari con il tailleur o l’impermeabile, vediamo, di gradino in gradino, una distesa di teste. (…) Centinaia di teste: centinaia di anime. Noi in alto. E più in alto, e dappertutto, Dio. Dio dappertutto, lo sappiamo bene, tranne che nella maggior parte di queste anime».

In quello stesso anno aveva visto la luce in Francia un libro-choc, dal titolo “La Francia, Paese di missione?”, nel quale gli autori – Henri Godin e Yvan Daniel, assistenti della Gioventù operaia cristiana – denunciavano il progressivo distacco dal cattolicesimo di una porzione significativa della popolazione francese. Madeleine Delbrêl, che sulle strade ci vive, ha ben presente la bruciante coscienza di questa deriva. E lancia l’allarme: «Sul mappamondo, Maometto, Buddha, Confucio si spartiscono i continenti, ma l’Europa, quella è di Cristo. Noi ci riteniamo tutti beneficiari di una sorta di salvezza in blocco. L’Europa per noi è una terra battezzata. E tanto più la Francia. Ma Cristo, oggi, si è ritirato lentamente, gradualmente da questa terra. Un giorno, questo Paese che ci piace chiamare predestinato dirà, anch’esso: “Dio è morto”. E noi l’avremo lasciato morire. Le comunità umane attendevano i loro apostoli: quegli apostoli eravamo noi, e noi abbiamo fatto conto su altri».

Coglie quindi perfettamente nel segno il cardinale Matteo Zuppi quando osserva: «Papa Francesco ha parlato recentemente della fine della cristianità. Quasi ottant’anni prima Delbrêl si confrontava con la sua Francia scristianizzata, senza condannarla, ma cercando di nuovo in essa la bellezza del Vangelo».

Proprio a Zuppi si deve la presentazione del testo dal quale abbiamo tratto le citazioni proposte. Si tratta di “La santità della gente comune. Testi missionari”, sesto volume dell’opera omnia di Delbrêl che l’editore Gribaudi sta meritoriamente pubblicando dal 2007. Un testo che raccoglie pagine di taglio missionario, vergate dall’autrice nel periodo che va dal 1938 al 1950. E che, ancora una volta, confermano la straordinaria attualità di questa figura, dichiarata venerabile da Papa Francesco nel 2018. Non solo: don Luciano Luppi, sacerdote emiliano che ha studiato a fondo biografia e testi di Madeleine, definisce «impressionante la straordinaria consonanza della sua spiritualità con alcune delle linee-guida del magistero di Papa Francesco: la gioia contagiosa della fede che si diffonde per attrazione, la mistica della fraternità, il bisogno di andare all’essenziale, l’orizzonte missionario come criterio di rinnovamento della Chiesa».

Leggendo “La santità della gente comune” (un’espressione che ricorda “la classe media della santità” cara a Papa Bergoglio) troviamo una miniera di spunti e di riflessioni molto adatti anche al nostro tempo. Come questo passaggio in cui Delbrêl cita “Annali delle missioni estere” che, tradotti in Italia, diedero il via a “Le Missioni cattoliche”, antesignane di “Mondo e Missione”. «Ci dicono che vi sono i missionari nella Chiesa. (…) Sappiamo che da Bordeaux, da Marsiglia o da Le Havre si imbarcheranno per andare verso popoli da salvare. Pensiamo che essi devono partire e che noi dobbiamo restare, che essi sono chiamati e noi non siamo chiamati; che essi devono prendere le loro barche e che noi dobbiamo leggere, accanto al fuoco, gli “Annali delle missioni estere”. (…) Eppure noi non abbiamo il diritto di scegliere fra partire o restare. Noi siamo inseriti nell’eterna missione della Chiesa. Siamo il minuscolo dito di un corpo immenso».

Proprio perché docili all’azione dello Spirito e coscienti di non avere «il diritto di scegliere fra partire o restare», a un certo punto Madeleine e il suo piccolo gruppo di sorelle il problema di andare fisicamente nelle “terre di missione” se lo pongono con forza. In profonda sintonia con il cammino della Chiesa universale infatti (nel 1957 esce la Fidei donum con cui Pio XII invita i cattolici del Nord del mondo a farsi carico delle Chiese sorelle del Sud) il piccolo gruppo decide di aprire una presenza in Costa d’Avorio.

In un’intervista di alcuni anni fa (cfr. M.M., ottobre 2004, p. 74-78), Susanne Perrin, una delle prime compagne della Delbrêl, ricordava: «Già da alcuni anni vivevamo l’esperienza di Ivry e alcune di noi si chiesero: “Perché noi laiche e cristiane non andiamo a vivere dove ci sono uomini e donne che non conoscono Cristo?”». Ne seguirono mesi di intenso discernimento comunitario e alla fine l’équipe decise l’invio di tre donne (non Madeleine, che rimase a Parigi a coordinare il gruppo). Lasciarono la Francia, in aereo, non più in battello, il 19 novembre 1961, per la Costa d’Avorio con un sentimento in cuore ben descritto dal ricordo di Susanne: «Era il tempo della decolonizzazione: tutti noi francesi scappavamo da quella terra di cui ci siamo serviti per anni e anni. Pensavo fosse giusto non abbandonare quella terra e quella gente. E così partii». Ci resterà vent’anni.

Durerà invece 14 anni l’esperienza di una seconda équipe missionaria, stavolta inviata in Algeria nel 1965. Una presenza breve ma ugualmente significativa. Come testimonia questo aneddoto raccontato da Franchette Rodary, una delle tre partite per la Cabilia: «Il complimento più bello è quello che ho ricevuto da un algerino che mi ha confessato: “Lei mi ha fatto cambiare idea su voi francesi. Prima dicevo: “Odio tutti i francesi”. Adesso aggiungo: “Tutti, tranne i cristiani”».