La storia di un rifugiato siriano negli Oscar 2021

La storia di un rifugiato siriano negli Oscar 2021

Proprio nel decimo anniversario dall’inizio della guerra in Siria, una pellicola araba con protagonista un rifugiato siriano, ottiene la nomination per miglior film straniero agli Oscar. In The Man Who Sold His Skin, Sam è un rifugiato che, pur di raggiungere l’Europa, è disposto a vendere la pelle della sua schiena ad un artista che ne farà una tela vivente

 

Tra i nominati agli Oscar 2021, nella categoria miglior film straniero, c’è anche la pellicola araba The Man Who Sold His Skin («L’uomo che ha venduto la sua pelle»), della regista tunisina Kaouther Ben Hania, che affronta da una prospettiva del tutto particolare il dramma della Siria. La trama si incentra sulla storia di Sam Ali, un rifugiato siriano in Libano che nella speranza di arrivare in Europa e ricongiungersi con la sua partner a Parigi, incontra per caso il famoso artista Jeffrey Godefroi, il quale gli fa una proposta insolita: usare la sua schiena come una tela vivente per il suo ultimo capolavoro.

Il film era stato presentato lo scorso settembre in anteprima mondiale alla 77esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, nella sezione Orizzonti e Yahya Mahayni che interpreta il protagonista aveva vinto il premio per il miglior attore. Proprio oggi – nell’anniversario dell’inizio del conflitto in Siria – da Los Angeles è arrivata la notizia della nomination per una delle categorie più importanti dei premi Oscar.

A ispirare la regista è stata la particolare esposizione dell’artista belga Wim Delvoye, che ha tatuato la schiena dello svizzero Tim Steiner. L’opera d’arte umana, che ritrae una Madonna sormontata da un teschio messicano e circondata da raggi, uccelli, pesci e fiori colorati, è stata venduta al collezionista d’arte tedesco, Rik Reinking, per un valore di 150mila euro. Come da contratto, Steiner, ricevendo un terzo del prezzo, ha accettato di farsi togliere la pelle dalla schiena dopo la sua morte in modo che il proprietario possa incorniciare e appendere il pezzo unico alla parete. Nel frattempo, Steiner gira il mondo come opera d’arte vivente posando seduto e immobile per ore nelle mostre di Reinking. “La mia pelle appartiene a Rik Reinking. La mia schiena è la tela, io sono la cornice temporanea”, ha detto.

Ed è proprio dall’esposizione di Steiner al Louvre di Parigi che l’idea di Ben Hania ha iniziato a prendere forma. “L’opera d’arte originale è solo un punto di partenza”, ha detto a The National. “Molti film iniziano con un’immagine, poi devi avere una storia con un viaggio emotivo”. Infatti, l’idea nel film va oltre il tatuaggio di Steiner: l’artista decide di tatuare sulla schiena di Sam l’immagine di un visto Schengen, il tanto desiderato requisito legale necessario per entrare in Europa.

Qui ritroviamo il folle processo che la regista stessa ha dovuto affrontare per ottenere il permesso di residenza in Francia e ne vediamo le frustrazioni per non aver potuto viaggiare in Inghilterra quando il suo primo film, Beauty and the Dogs del 2017, è stato selezionato per il BFI London Film Festival. “Ero arrabbiata perché non sono nata nel posto giusto… Mi chiedevo: ‘Qual è la differenza? Perché?”. Le stesse domande, si immagina, attraversano la mente di Sam nel film che tratta di arte, commercio, sfruttamento, ma anche di libertà. “Che cosa significa essere liberi? – si chiede Ben Hania -. Non hai scelta quando sei un rifugiato. Quando non hai molta scelta, che cosa significa essere liberi o cercare la libertà?”.

La regista riesamina la figura dell’artista, presentandolo come moderno e imprenditore e paragona l’arte con la religione. “La gente va nei musei alla ricerca di un significato, cercando di capire le cose e pensano che gli artisti possano dare loro questo significato. C’è questo tipo di relazione…questo è il loro rapporto con l’arte in generale”.

La pellicola è un’opera visivamente ricca dove i gusti raffinati di Ben Hania brillano grazie anche al lavoro della fotografia di Christopher Aou e della presenza di Monica Bellucci che interpreta l’assistente intrigante di Godefroi. “È stato molto difficile da finanziare”, ammette la regista, che ha incontrato difficoltà nel trovare finanziamenti per lo più a causa del suo profilo, modellato e definito dal fatto di aver fatto film per la maggior parte in Tunisia e che avevano come soggetti principali le donne.

E anche al lancio di The Man Who Sold His Skin il feedback ricevuto è stato negativo: “Non ci aspettiamo che una regista tunisina parli di arte contemporanea… è troppo internazionale per te'”. Ma spinta dal desiderio di raccontare una storia, Ben Hania, non si è lasciata scoraggiare finché non ha trovato finanziamenti, e ora, la sua opera potrebbe anche aggiudicarsi la statuetta d’oro.