«Nel buio della pandemia, la luce di Betlemme»

«Nel buio della pandemia, la luce di Betlemme»

L’omelia del patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, in una notte di Natale anche a Betlemme pesantemente segnata dal Covid-19: «Siamo tutti stanchi e sfiniti da questa situazione, ma la grazia che il Natale annuncia non è una pia illusione»

 

Colpisce pesantemente anche là dove Gesù è nato il Covid-19. Eppure la grazia di Gesù che irrompe nel mondo non è solo «una pia illusione, una fuga romantica o una consolazione a buon mercato». È l’annuncio che da Betlemme arriva in questa notte di Natale così particolare per il mondo. A portarlo – nella Messa celebrata a mezzanotte ma solo per un numero molto limitato di persone – è stato il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, lui stesso appena uscito dalla quarantena dopo essere stato contagiato dal Coronavirus.

Ha cercato di vestirsi a festa lo stesso Betlemme, ma il clima di questo Natale 2020 non è certo quello consueto delle festività: mancano turisti e pellegrini, che rappresentano la principale fonte di vita per questa comunità. Ma anche la malattia stessa sta lasciando dietro di sé un carico pesante: altre due persone sono morte a Betlemme proprio ieri, diciassette in tutta a Palestina con 1704 nuovi casi di contagio registrati. Che significato ha – allora – celebrare la nascita di Gesù in un contesto come questo?

«Ci sentiamo tutti ottenebrati, stanchi, sfiniti, oppressi da troppo tempo sotto il giogo pesante di questa pandemia che sta bloccando le nostre vite, sta paralizzando i rapporti, sta mettendo a dura prova la politica, l’economia, la cultura, la società – ha riconosciuto nell’omelia della Messa mons. Pizzaballa -.  Antiche debolezze strutturali si sono amplificate e non sembrano profilarsi all’orizzonte soluzioni chiare e condivise. Anche chi ci governa brancola nel buio. Le comunità cristiane, da parte loro, faticano a conservare ritmi consolidati nel tempo e non riescono a immaginare il nuovo che verrà».

Il cristiano, però, a Natale non può fermarsi alla descrizione della notte. Siamo chiamati – spiega il patriarca latino di Gerusalemme – a «comunicare la grazia di quest’ora». Perché «noi cristiani sappiamo che al fondo delle nostre crisi, dentro le nostre oscurità, in mezzo alle nostre debolezze è nato un bambino che è un Dio potente e con Lui è cominciata una nuova storia di fiducia e di speranza, di rinascita e di risurrezione. La vita divina che Cristo ci porta in dono può e vuole trasformare la morte in vita, il dolore in speranza, la paura in fiducia».

Questo non significa «negare irragionevolmente la realtà, ma avere uno sguardo nuovo e profondo che ci fa scorgere nel dolore della creazione le doglie di una nuova nascita». «Sperare nella grazia di Cristo – ha chiarito ancora il presule da poco confermato da Papa Francesco alla guida della Chiesa madre di Gerusalemme – non è illudersi, ma trovare ragioni per impegnarsi a costruire un ordine nuovo. La pandemia, con il suo carico di sofferenza e di morte, ci chiede di immaginare un mondo diverso, fatto di nuovi rapporti solidali e fraterni, dove il possesso sia sostituito dal dono e la ricchezza di pochi divenga bene per tutti».

«Non vogliamo e non possiamo dimenticare la tristezza e la preoccupazione che stringe il cuore del mondo come in una morsa – ha detto ancora mons. Pizzaballa -. Anche qui in Terra Santa non facciamo eccezione. Viviamo in una terra che ha come vocazione propria la pluralità e l’apertura al mondo, ma assistiamo continuamente ad atteggiamenti opposti. Anziché essere inclusivi siamo sempre più esclusivi: anziché riconoscerci l’un l’altro, ci neghiamo l’un l’altro. Penso in particolare ai nostri fedeli che vivono in Palestina: come per Maria e Giuseppe, anche per loro sembra non esserci posto nel mondo, sempre da capo invitati, prima di poter vivere con dignità a casa loro, ad attendere un futuro sconosciuto e continuamente rimandato. Ma non vogliamo e non possiamo nemmeno dimenticare che con il Natale di Cristo Dio stesso è entrato nel mondo orientandone il cammino verso un futuro di gioia e di pace. Nel mezzo delle nostre paure, noi vogliamo afferrare la mano che Cristo ci offre per un rinnovato cammino di fiducia, di speranza e di amore».

Di qui la preghiera finale, salita nella notte di Betlemme in questo Natale 2020: «A lui, Dio potente, noi chiediamo di sconfiggere la malattia, il male e la morte e restituirci giorni lieti e sereni – ha concluso mons. Pizzaballa -. A Lui, Consigliere Ammirabile, vogliamo chiedere di illuminare i politici, i medici e i ricercatori, e quanti cercano con sincerità di cuore soluzioni giuste e vere per il bene di tutti. A Lui, Padre per sempre, consegniamo i malati, i poveri, i sofferenti e i defunti, perché tutti siano visitati dalla sua misericordia che sana, conforta, consola e vivifica. A Lui, Principe della Pace, affidiamo questa nostra Terra e questa nostra Chiesa, le cui ferite fanno ancora più fatica a rimarginarsi in questo tempo difficile e doloroso. A Lui, Grazia di Dio fatta carne, domandiamo di convertirci dai nostri egoismi e dalle nostre chiusure a pensieri e a opere buoni e sante, perché al Suo ineffabile dono corrisponda la nostra collaborazione fedele e concreta. A Lui, Salvatore e Signore nostro, promettiamo di donare quanto siamo ed abbiamo perché ancora e sempre “si conosca sulla terra la sua via e fra tutte le genti la sua salvezza” (cfr Sal 67,3). Amen».