Coi rifugiati siriani il Thanksgiving del rabbino

Coi rifugiati siriani il Thanksgiving del rabbino

Shmuly Yanklowitz è un rabbino americano che per il Thanksgiving ha dato vita a una tradizione particolare: quella di ospitare ogni anno una famiglia di rifugiati siriani per combattere l’odio razziale

L’ultimo giovedì di novembre si festeggia il Thanksgiving, il Giorno del Ringraziamento, negli Stati Uniti. Ma c’è chi invece di festeggiarlo con il classico tacchino e i parenti venuti da lontano fa le cose in modo un po’ diverso.

È il caso del rabbino ortodosso Shmuly Yanklowitz e della sua famiglia che da buoni vegani hanno rimpiazzato il turkey con il tofurky, e in casa loro hanno dato vita a una nuova tradizione, quella di ospitare ogni anno dei profughi siriani.

Nel 2015 infatti, il governatore dell’Arizona Doug Ducey si era dimostrato contrario alla riallocazione dei rifugiati siriani in Arizona e negli ultimi anni ha alimentato una retorica anti-stranieri alla quale si è opposto il rabbino: da quell’anno ha continuato ad ospitare rifugiati siriani, e anche se dice di aver perso il conto, finora sono state almeno una dozzina le persone ospiti a casa sua.

“In quella che negli ultimi anni ho percepito come una crisi morale nel modo in cui gli americani si relazionano con gli stranieri, gli immigrati, i rifugiati e i richiedenti asilo, ho pensato che fosse giunto il momento di adottare un approccio più espansivo”, ha dichiarato Yanklowitz a Insider. “Ho visto un sacco di demonizzazione e disumanizzazione dei rifugiati musulmani, e volevo far parte del team di accoglienza”.

Secondo l’Arizona Refugee Resettlement Program, dagli anni ’80 i rifugiati siriani arrivati in questo stato meridionale degli Stati Uniti sono 1.322 e di questi 820 solo nel 2016. Yanklowitz è entrato in contatto con un gruppo di siriani grazie al suo lavoro di attivista per i diritti umani all’interno della sua comunità ebraica.

“Al centro del mio impegno di ebreo per la giustizia sociale sta il fatto che non stiamo lottando per l’uguaglianza, ma per l’equità”, ha aggiunto il rabbino. “Non è che tutti dovrebbero avere le stesse cose, ma tutti dovrebbero avere ciò di cui hanno bisogno. E il modo per sapere di cosa hanno bisogno le persone è conoscerle. Sono un grande sostenitore del fatto che le relazioni debbano nascere prima che venga dato qualunque tipo di sostegno”.

È così che il suo invito a passare insieme il Giorno del Ringraziamento rientra in questo suo sforzo. Lavorando con il Syrian American Council incontra i nuovi arrivati, che vengono poi accolti da sua moglie Shoshana, i loro quattro figli biologici e una serie di bambini adottati e in affido che orbitano anche loro intorno alla casa del rabbino.

I bambini non hanno bisogno di nessun traduttore per comunicare; al contrario “dal modo in cui giocano, capiscono come comunicare facilmente, e io li considero come i nostri insegnanti in termini di come connettersi a un livello che va oltre le parole”, prosegue Yanklowitz.

Le amicizie che nascono in questo contesto cercano poi di proseguire nella vita di tutti i giorni, soprattutto in un Paese come gli Stati Uniti, dove i crimini legati all’odio religioso sono aumentati del 23% nel 2017 secondo i dati dell’FBI.

“Quando ci sono stati attacchi ai musulmani, ci siamo presentati per sostenerli, e quando ci sono stati attacchi alle sinagoghe l’anno scorso sono venuti a sostenerci”, ha detto il rabbino attivista. “Non era questo l’obiettivo esplicito, ma è stato un lato positivo straordinario che è emerso”.

Ma i legami stretti intorno alla tavola non si ripresentano solo in casi di tragedie per le due comunità. Yanklowitz ricorda l’entusiasmo di aver incontrato in un parco della zona una delle famiglie ospitate: “È  stato un ritrovo che ci ha fatto percepire che quello che stavamo facendo non era un’esperienza isolata, in realtà stavamo costruendo la comunità e la fiducia sociale. Dall’esterno si vedevano una famiglia ebraica e una musulmana, che a malapena parlava inglese, abbracciarsi in un parco come vecchi amici. Ma per noi è stato semplice amore umano per ciò che significava condividere un pasto e per cosa poteva emergerne come conseguenza”.