Le stoffe africane unite allo stile italiano: il marchio di moda interculturale Mafric, nato dall’esperienza di un giovane volontario in Zambia, oggi dà lavoro a chi è in situazioni di vulnerabilità. Tra cui 50 detenuti a Opera
Le coloratissime, pregiate, stoffe africane a spasso per il Quadrilatero della moda milanese. È sorprendente quanto azzeccato il risultato dell’intuizione avuta due anni fa a Livingstone, a due passi dalle cascate Vittoria, dal giovane cooperante Giovanni Lucchesi, che durante la sua esperienza di servizio civile in Zambia, oltre ad appassionarsi all’impegno in un centro professionale per ragazzi svantaggiati, si innamorò proprio dei tessuti wax, con la carica espressiva delle loro tinte e dei motivi, ora geometrici ora sinuosi, impressi su abiti, copricapi e pagne. Fu così che, al momento di tornare a casa, Giovanni si imbarcò sull’aereo con due scatoloni di stoffe acquistate in una bottega locale, pronto a «dare vita al mio sogno»: un marchio di moda etnica ma anche etica, che portasse un messaggio di multiculturalità con il linguaggio giusto per la capitale del fashion.
Ma facciamo un passo indietro, per capire dove affonda le radici il progetto di questo ragazzo milanese, classe 1992, formatosi al liceo classico e poi, «spinto dalla mia passione per le relazioni umane e le diversità culturali», orientatosi agli studi universitari in Scienze politiche e Relazioni internazionali. «All’università sono stato molto attivo nel volontariato, in particolare di stampo cattolico. Ho avuto ruoli educativi sia in ambito parrocchiale sia a livello diocesano con l’Azione Cattolica, che mi ha fornito gli strumenti per formarmi a livello umano», racconta Giovanni. Poi arrivò l’incontro con la missione. «Attraverso alcune esperienze diocesane, ebbi l’occasione di scoprire il Pime. Ne rimasi affascinato e decisi di vivere una semplice esperienza di animazione missionaria a Busto Arsizio. Capii così come l’attitudine a esplorare culture differenti e la mia propensione a una fede vissuta in maniera gioiosa potevano declinarsi nella scelta di partire, e cominciai il percorso di Giovani e missione».
La meta di Giovanni fu la Cina. «Per la prima volta toccai con mano il fascino di immergersi in una cultura ricchissima, ma completamente diversa dalla mia», racconta. «Dopo quell’esperienza trascorsi anche un mese in Kenya con la Caritas ambrosiana per scoprire la realtà africana, e mi resi conto di quanto fosse importante aprirsi alla diversità e favorire l’incontro tra culture».
Un ulteriore passo verso l’apertura al mondo e all’impegno fu, dopo la laurea, la scelta del servizio civile in Zambia. «Lavorai per un anno a Livingstone in un centro scolastico professionale per ragazzi svantaggiati. Mi occupai di vari ambiti, tra cui il supporto a una falegnameria e a una sartoria interna alla scuola, in cui producevamo semplici accessori che vendevamo ai turisti in visita alle cascate. Fu lì che mi innamorai dei tessuti wax, con le loro fantasie colorate». Al suo ritorno in Italia, dunque, Giovanni pensò a come poteva far fruttare la sua esperienza: «Essendo Milano la capitale del fashion, quale modo migliore per passare un messaggio di multiculturalità se non tramite la moda?». Non poteva mancare, però, l’attenzione ai più svantaggiati: «Mi misi in contatto con diverse sartorie sociali, in cui persone in situazioni di vulnerabilità, spesso donne straniere, acquisiscono competenze che possono dare dignità, autonomia e un futuro a chi difficilmente l’avrebbe».
Da queste collaborazioni oggi è nata la prima collezione di abiti e accessori a marchio Mafric, in tessuti wax ma con una linea e un taglio italiani. «La visione del progetto – spiega l’ideatore – è creare un brand di moda etnica etica che sia un contenitore e moltiplicatore per micro realtà. Ho notato infatti che spesso, in Italia, la vita dei progetti di sartoria sociale è breve a causa di vari fattori di mercato: una rete di diverse realtà, ognuna con le proprie specificità, può essere la chiave per fornire loro un respiro più ampio. Dunque, Mafric si occupa sia dell’ideazione che della commercializzazione degli articoli, mentre tutta la parte manifatturiera viene svolta dalle sartorie con cui collaboriamo». Al momento si tratta di otto realtà – la prima è stata la cooperativa Sunncoop di Corsico – , tra cui la cooperativa Borseggi, nata all’interno del carcere milanese di Opera, in cui lavorano una cinquantina di persone. E dall’ambito lombardo i contatti si stanno allargando a iniziative sull’intero territorio nazionale. Gonne, T-shirt, borse finiscono poi sugli scaffali dei negozi equosolidali (tra cui quello del Centro Pime di Milano): attualmente i prodotti Mafric sono acquistabili in una trentina di città tra Nord e Centro Italia. «Presto però lanceremo anche il nostro e-commerce, così da raggiungere un pubblico più ampio e aumentare l’impatto del nostro messaggio», spiega Giovanni, che ha lasciato un lavoro da educatore per dedicarsi a tempo pieno a quel progetto in cui oggi sono coinvolte anche associazioni di promozione culturale e un piccolo team di giovani, ma che resta il suo sogno nato in riva alle cascate Vittoria. Un’origine che il giovane neoimprenditore non dimentica: «Vorremmo creare alcune borse di studio in Zambia, nel centro scolastico dove ho lavorato, in favore di giovani sarti. Vogliamo offrire un’opportunità alle persone più svantaggiate, in Italia come in Africa». Per una creatività e un fashion davvero senza confini.
Gonne e borse al negozio Pime
Gonne, t-shirt, borse, ma anche accessori e mascherine protettive: i prodotti a marchio Mafric, tutti realizzati con tessuti wax africani da artigiani di sartorie sociali italiane, possono essere acquistati nel negozio del Centro Pime di Milano (via Monte Rosa, 81). Info: negozio.pimemilano.com