Giovani: dove si sta meglio, dove si sta peggio

Giovani: dove si sta meglio, dove si sta peggio

Un rapporto del Segretariato del Commonwealth mette in luce come le politiche per lo sviluppo stiano ottenendo un lento miglioramento della situazione per i giovani in tutto mondo. Ma le differenze sono ancora profonde e, anche per i Paesi in cima alla classifica, la strada è ancora in salita. In gioco c’è il futuro di tutti.

 

L’Indice globale dello sviluppo dei giovani (Global Youth Development Index, YDI) è un rapporto compilato dal Segretariato del Commonwealth, e misura la qualità della vita dei giovani dai 15 ai 29 anni in tutto il mondo; stila una classifica di 183 Paesi, permettendo di capire quali danno più opportunità e attenzione ai giovani. Il YDI assegna un punteggio da 0 a 1 ad ogni Stato, prendendo in considerazione cinque parametri: l’educazione, la salute e il benessere, l’occupazione e le opportunità, la partecipazione politica, la partecipazione civica.

I giovani nel mondo sono 1.8 miliardi, vale a dire quasi un quarto dell’umanità. Di questi, l’87% vive in Paesi in via di sviluppo: il 29% nell’area Asia-Pacifico, un altro 26% nella regione dell’Asia del sud, il 15% nell’Africa sub-sahariana. In tutta l’America vivono solo il 10% dei giovani, solo il 6% in Europa.

I risultati del YDI sono generalmente positivi: dei 183 Paesi analizzati, 142 hanno avuto un miglioramento del loro punteggio; i primi dieci in classifica si possono quasi indovinare ad occhi chiusi: apre la fila la Germania, seguita da Danimarca, Australia, Svizzera e Regno Unito, fino al decimo posto occupato dal Giappone. Tutti europei, eccezion fatta per Australia e Giappone. I peggiori, invece, sono tutti Paesi africani: Niger, Costa d’Avorio, Chad, con la Repubblica Centraficana che chiude la classifica.

Ma c’è un dato interessante, a proposito dell’Africa sub-sahariana: sebbene sia la regione con il punteggio YDI in media più basso, ha anche la più alta percentuale di sviluppo dal 2010 (il 5.5%, quasi due punti percentuali in più rispetto alla regione Europa). Più disperata sembra invece la situazione di tre paesi che hanno avuto la recessione più dura, a causa anche di conflitti interni e disastri naturali: Angola, Haiti e il Pakistan, che sfiora il -20% del suo punteggio.

Il YDI evidenzia poi come, a livello globale, la salute e l’educazione abbiano subito un rallentamento nello sviluppo negli ultimi cinque anni, ma hanno raggiunto un alto livello di diffusione ovunque eccetto che nella regione dell’Africa sub-sahariana. Restano invece preoccupanti l’aumento dei disturbi psichici e delle malattie tra i giovani, soprattutto, ma non solo, nei paesi in fondo alla classifica. L’analisi del YDI, però, è interessante perché non si limita a dire chi va bene e chi no, ma grazie alle cinque categorie che analizza riesce anche a tracciare uno spaccato di come i giovani partecipano alla vita del loro Paese. E sotto questo aspetto il rapporto del Commonwealth consegna delle piacevoli soprese, perché la partecipazione civica (vale a dire, ad esempio, l’impegno nel volontariato) e quella politica hanno invece avuto significativi miglioramenti in tutto il mondo (6.49% la prima, 5.75% la seconda).

Come purtroppo siamo abituati a sentire, però, ci sono forti disuguaglianze tra i Paesi che hanno ricevuto un alto punteggio e quelli che invece ne hanno uno basso. In media, su alcuni punti critici come l’accesso all’educazione secondaria, lo sviluppo dei primi in classifica è il doppio di quello dei Paesi in fondo alla lista. Ma in alcuni settori le disuguaglianze sono persino più accentuate: la mortalità giovanile e il tasso di gravidanze in età adolescenziale, nei paesi con un basso punteggio YDI, è cinque volte più alta che in quelli con un punteggio alto; la diffusione del virus HIV è invece otto volte più alta, mentre l’accesso a internet è undici volte più basso. Unico flagello ad affliggere diffusamente i giovani di tutto il mondo, senza eccezioni, è la disoccupazione, a cui sono soggetti il doppio rispetto agli adulti.

L’Italia, nella classifica del YDI si posiziona al 37esimo posto, con un punteggio di 0.726 (+0.031 rispetto al 2010). Si piazza per un soffio nella top-ten dei dieci migliori Paesi nella categoria della salute e del benessere, ma è anche la numero due nella lista dei Paesi con la minor proporzione di giovani rispetto alla popolazione totale: solo il 15%. Questo dato potrebbe sembrare strano tipico di un Paese “vecchio”, invece è diffuso su scala globale: tutte le nazioni con un alto punteggio YDI hanno, per contro, una bassa popolazione giovanile, e viceversa. Tradotto in parole povere, significa che i tre quarti dei giovani della Terra vive in Paesi dove l’indice di sviluppo giovanile è medio o basso, e dove sono ridotti l’accesso all’educazione, alla salute, alle tecnologie digitali, oltre che l’inclusione finanziaria.

Sono questi i campi in cui devono ora concentrarsi gli investimenti dei governi, e non solo nei paesi in via di sviluppo. La diffusione di disturbi mentali e dell’abuso di droghe è più alta negli Stati che guidano la classifica del YDI che in quelli che la chiudono. Insieme alla disoccupazione che aleggia ovunque, questi dati sono un segnale di pericolo: avvisano che, sebbene si stiano lentamente riducendo le differenze tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, la strada da percorrere è ancora lunga per tutti.

Presentando i dati raccolti, la Segretaria generale del Commonwealth Patricia Scotland ha sottolineato che tutti questi problemi costituiscono una barriera tra il potenziale dei giovani e la loro realizzazione. Potrebbero dar vita a una generazione alienata e frustrata in grado di provocare instabilità sociale quanto economica e politica, incrinando così la possibilità di un futuro più luminoso per tutti. La Segretaria Scotland chiama questi giovani “Generazione speranza”, perché – dice – senza il loro contributo potrebbe essere impossibile raggiungere gli obiettivi per uno sviluppo sostenibile che le Nazioni Unite hanno messo in agenda per il 2030. Quegli obiettivi che, tra gli altri, comprendono l’abbattimento della povertà estrema e la lotta al cambiamento climatico.