Un anno dopo Expo. E la lotta alla fame?

Un anno dopo Expo. E la lotta alla fame?

Tra i tanti bilanci di questi giorni l’unico che non abbiamo sentito è quello sugli impegni altisonanti presi sulla lotta alla fame. Proprio mentre a causa di un fenomeno climatico come El Niño un’ampia regione del mondo sta vivendo l’emergenza alimentare più grave degli ultimi anni

 

In questi ultimi giorni – soprattutto nelle cronache milanesi di giornali e tg – sono abbondate le rievocazioni di Expo 2015. Era il 1° maggio, infatti, il giorno in cui apriva i cancelli l’Esposizione universale dedicata al tema «Nutrire il Pianeta, energia per la vita». Sono tornate a scorrere, così, le immagini delle code al padiglione del Giappone, si discute sui debiti lasciati in eredità dai conti della manifestazione, si annuncia che a fine mese si riaccenderà l’Albero della vita, si fanno grandi promesse sul polo universitario per la ricerca scientifica che alla fine dovrebbe insediarsi sulle aree affollate un anno fa da diversi milioni di visitatori.

Ancora una volta, però, c’è un punto su cui nessuno solleva una domanda: e sulla fame a che punto siamo? Delle promesse altisonanti (ma anche un po’ poco concrete) messe nero su bianco nella Carta di Milano – che il presidente del Consiglio Matteo Renzi definiva «la vera eredità dell’Expo» – un anno dopo che ne è stato? In quali provvedimenti di governo sono stati tradotti? E in quali scelte educative e di maggiore attenzione nella quotidianità allo scandalo della fame?

Accanto alle rimpatriate, oggi, forse varrebbe la pena ricordare anche le parole un po’ severe che papa Francesco un anno fa rivolgeva nel suo videomessaggio proprio nella giornata inaugurale dell’Expo: «Anche l’Expo – diceva – per certi aspetti, fa parte del “paradosso dell’abbondanza”, se obbedisce alla cultura dello spreco, dello scarto, e non contribuisce ad un modello di sviluppo equo e sostenibile. Dunque, facciamo in modo che questa Expo sia occasione di un cambiamento di mentalità, per smettere di pensare che le nostre azioni quotidiane – ad ogni grado di responsabilità – non abbiano un impatto sulla vita di chi, vicino o lontano, soffre la fame».

Sono parole accompagnate da un dato di fatto, che dovrebbe farci riflettere: proprio mentre alla fine di ottobre si chiudevano i cancelli dell’Esposizione Universale, l’emisfero sud del mondo entrava nella fase più dura dell’emergenza alimentare legata al fenomeno climatico chiamato El Niño. Dalla Papua Nuova Guinea all’Etiopia, passando per tanti altri Paesi dell’Asia e dell’Africa, milioni di piccoli agricoltori in questa stagione 2015/2016 hanno perso i propri raccolti a causa di una siccità più intensa di tutte quelle precedenti. Un fenomeno che ora in Oceania sta già lasciando il posto a una coda di precipitazioni molto intense, altrettanto dannose per la produzione agricola.

È il motivo per cui la Fondazione Pime Onlus, in questi giorni, ha deciso un intervento di emergenza per la parrocchia dell’Arakan nelle Filippine, dove la situazione è molto seria. E anche altri organismi come ad esempio Oxfam hanno lanciato inizito iniziative analoghe in questi giorni.

Rimane lo stesso, però, un’osservazione più generale: al di là delle nostre iniziative, nonostante l’abbuffata di parole sull’«obiettivo fame zero», quanto abbiamo sentito parlare in questi mesi dell’emergenza alimentare causata da El Niño? E quanto decine di vertici e convegni tenutisi a Milano nei sei mesi dell’Expo hanno prodotto meccanismi in grado di rispondere in maniera rapida e coordinata a emergenze del genere?

Expo 2015 non poteva evidentemente risolvere con una magia il problema della fame. Ma quello che poteva e può ancora fare oggi è far crescere una sensibilità che resti alta anche oltre il grande evento. Siamo ancora in tempo per raccogliere questa occasione: basterebbe concentrarsi sull’essenziale di quella sfida e non su rievocazioni o polemiche con lo sguardo corto.