Il robot anti Covid inventato dai rifugiati siriani

Il robot anti Covid inventato dai rifugiati siriani

Nel campo profughi di Zaatari, in Giordania, un gruppo di ragazzi ha creato un piccolo automa che distribuisce disinfettante per le mani. È il frutto di un progetto che punta a dare ai giovani più svantaggiati l’accesso alle nuove tecnologie. E al futuro

 

Un piccolo robot creato con mattoncini di Lego che distribuisce automaticamente gel igienizzante per le mani: lo hanno inventato e costruito alcuni giovani rifugiati siriani che vivono nell’immenso campo profughi di Zaatari, vicino alla capitale giordana Amman.

La creatività è l’ingegno sono doti cruciali per affrontare il rischio Coronavirus in una struttura che ospita circa 80 mila persone, in cui un’eventuale diffusione dell’infezione avrebbe conseguenze gravissime. E Marwan al-Zoubi, arrivato in Giordania nel 2013 dopo essere fuggito da Daraa – uno degli oltre 650 mila profughi siriani registrati presso le organizzazioni ell’Onu nel Paese -, ha dimostrato di possederne in abbondanza quando ha pensato di aiutare a prevenire un focolaio di Covid-19 attraverso la robotica.

Grazie alla formazione avuta col supporto dell’organizzazione Blumont, Al-Zoubi oggi insegna i segreti dell’automazione ai ragazzi che frequentano l’Innovation Lab creato dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) per offrire ai giovani del campo di Zaatari l’accesso alle nuove tecnologie. Proprio cinque dei suoi allievi, notando che «una delle cause di infezione è il contatto con le superfici», hanno progettato «un robot per sanificare le mani senza la necessità di toccare la bottiglia disinfettante». L’Innovation Lab ha fornito le materie prime e i fondi per realizzare il prototipo, la cui struttura è costituita da mattoncini di Lego: un sensore poi permette al robottino di erogare automaticamente il gel, pronunciando anche alcune frasi di saluto all’utente.

Ora, i ragazzi sono all’opera per realizzare una versione più avanzata della loro creazione, che sia anche in grado di avvicinarsi autonomamente agli ospiti del campo per offrire loro il disinfettante. Prevenzione, infatti, è la parola chiave nei campi profughi per i rifugiati siriani in Giordania, Paese che finora, per fortuna, non è stato colpito pesantemente dalla pandemia: circa 730 i casi ufficiali registrati e una decina i decessi.
L’Unhcr ha messo in atto un piano preventivo che sottopone a un rigoroso controllo medico i movimenti di ingresso e uscita dalle strutture di accoglienza e prevede la sterilizzazione di tutti i veicoli in arrivo. E se centri di cura e aree di quarantena sono già pronti nel caso ci si trovi di fronte a un’emergenza, si fa tutto il possibile per cercare di mantenere il virus fuori dai campi. Per ora, con successo.

Nel frattempo, per i giovani rifugiati di Zaatari la vita continua, così come le lezioni per acquisire competenze di innovazione tecnologica, che rappresenteranno una risorsa importante una volta lasciato il campo.
«Voglio diventare un ingegnere agricolo per rendere più efficiente e conveniente l’agricoltura attraverso la tecnologia robotica che ho imparato», ha spiegato Mohammad, uno dei circa 500 ragazzi tra i 12 e i 16 anni che hanno potuto seguire i corsi dell’Innovation Lab dalla sua fondazione, nel luglio dell’anno scorso. Lezioni che vanno dalla programmazione, alla robotica di base con la piattaforma Arduino fino alla stampa in 3D, e che hanno permesso ai ragazzi di Zaatari di partecipare al Campionato nazionale di Robotica giordano, aggiudicandosi il quinto posto (su 39 squadre partecipanti). «Ci siamo anche qualificati per un campionato regionale che si sarebbe dovuto tenere a marzo in Egitto, ma tutto è stato sospeso a causa del Coronavirus», ha spiegato Marwan al-Zoubi. Lo stesso virus che per i giovani rifugiati siriani ha rappresentato una sfida a utilizzare la loro fresca competenza tecnologica per inventare qualcosa di nuovo a vantaggio della loro comunità.