Milano, Obama e la «food innovation» al posto della fame

Milano, Obama e la «food innovation» al posto della fame

Saremo un po’ all’antica ma nella Milano che autocelebrando l’Expo del 2015 si riscopre capitale dell’alimentazione piacerebbe anche sentir ricordare che la sfida dell’alimentazione come diritto universale in questi due anni ha fatto passi indietro devastanti in più di un’area del mondo

 

Proviamo pure a ragionarci al netto della febbre di queste ore intorno a Barack Obama. Sgombriamo pure il campo dalla cifra scandalosa degli 850 euro per il biglietto di ingresso, dall’imbarazzante corsa al selfie con l’ex presidente star, dalle nostalgie da «Milano per sei mesi capitale del mondo». E riconosciamo pure a Obama di essere venuto a Milano a fare esattamente quanto ci si aspettava da lui: un discorso che ha avuto al centro la difesa dell’Accordo di Parigi sul clima, che il suo successore nello Studio Ovale sta cercando di far naufragare. Ok, in fondo anche questo ci potrebbe stare.

Il problema, infatti, non è Barack Obama. Il problema è questa Milano che – esattamente come nei sei mesi di Expo – sulla sfida ambiziosa di «Nutrire il Pianeta» continua a non essere capace di andare oltre la logica della fabbrica di eventi e delle definizioni molto fashion. L’ultima – appunto – è Food Innovation, il filo conduttore di Seeds and Chips, la manifestazione in corso alla Fiera di Rho-Pero a cui l’ex presidente degli Stati Uniti è stato invitato come ospite d’onore. Un «Global Food Innovation Summit – si legge nella presentazione – vetrina d’eccezione interamente dedicata alla promozione di soluzioni e talenti, tecnologicamente all’avanguardia, provenienti da tutto il mondo». Tutto bellissimo e importante, ovviamente. Ma – saremo un po’ all’antica – però qualche volta a Milano ci piacerebbe anche sentir nominare la parola fame.

Già, perché in questi giorni in cui – appunto – la città si riscopre capitale dell’alimentazione a nessuno viene in mente di spiegare che, nel tempo trascorso dalla fine di Expo 2015, la sfida del cibo come diritto universale, affermata a parole durante l’esposizione universale, ha fatto passi indietro devastanti in più di un’area del mondo. Perché possiamo rigirarla finché vogliamo, ma è una bella favola pensare che sia l’«innovazione» la chiave per garantire cibo per tutti. Non è così. Non è la tecnologia che vincerà la fame, ma solo la disponibilità a vedere davvero le sofferenze e le cause della malnutrizione nel mondo.

E allora eccoci ancora una volta ad osservare che nella Milano nostalgica di Expo 2015 nessuno ha il coraggio di rovinare il giocattolo e spiegare che oggi la prima causa di fame nel mondo sono le guerre. Celebriamo il ricordo del grande evento di due anni fa con nuove liturgie, ma restiamo indifferenti di fronte a una denuncia come quella della Fao che, da settimane ormai, – parlando dell’emergenza alimentare in quattro Paesi come il Sud Sudan, lo Yemen, la Somalia e la Nigeria – racconta che con 30 milioni di persone in gravissima situazione di denutrizione, oggi stiamo vivendo una delle crisi alimentari più gravi dalla fine della Seconda Guerra mondiale con persone che stanno letteralmente morendo di fame.

Accanto alle guerre, poi, restano ovviamente anche gli squilibri planetari e le logiche mercantili sul cibo, che sono il vero nodo della lotta alla fame. Pochi lo sanno, infatti, ma sono già alcuni anni che i raccolti di riso e cereali nel mondo hanno toccato i loro massimi storici e stiamo persino frenando per non produrre troppo rispetto alla domanda. In tante regioni del Pianeta i magazzini non sono mai stati così pieni ed è il motivo per cui gli indici globali dei prezzi del cibo calano. Ma – da sole – domanda e offerta non bastano a ridurre la fame; così, nonostante la nostra capacità di produrre di più, le cifre globali di chi soffre restano stabili poco sotto gli 800 milioni di persone nel mondo, 1 abitante ogni 9 del pianeta.

«Noi donne e uomini, cittadini di questo pianeta, sottoscriviamo questo documento, denominato Carta di Milano, per assumerci impegni precisi in relazione al diritto al cibo che riteniamo debba essere considerato un diritto umano fondamentale». C’era scritto così nel preambolo della Carta di Milano, il documento che è stato fatto firmare a tutti quelli che passavano da Expo. Molto pomposamente il governo italiano la definiva l’«eredità vera» della manifestazione; in realtà di impegni concreti lì dentro ce n’erano ben pochi e non è un caso che ad appena due anni di distanza nessuno nel mondo si ricordi più questa Carta. Eppure il diritto universale all’alimentazione resta una battaglia fondamentale oggi. Per chi ha voglia di combatterla davvero.