Parigi: capire per vincere

Parigi: capire per vincere

L’ANALISI
Dopo una prima reazione e la messa in sicurezza della comunità nazionale occorre indagare, capire, ascoltare. Cosa è successo a questa generazione di giovani musulmani in Francia e in Belgio? Perché tanta rabbia?  

 

Quel che è successo venerdì sera a Parigi renderà la vita più difficile a tutti. A parte il futuro delle vittime cancellato per sempre e le ferite fisiche e psicologiche dei superstiti, d’ora in poi sarà quasi impossibile uscire di casa e viaggiare privi di ansia. Il confronto militare con l’ISIS si sta facendo serrato ed è lecito aspettarsi, sempre e dovunque, qualsiasi forma di azione e di reazione sconsiderata da parte di utopisti assediati. Sarà quasi impossibile anche continuare a spiegare alla gente che ci sono musulmani pacifici, come in effetti lo è per il maggior numero, perché la sensazione è che il piano di sottomissione universale (anche forzata) all’Islam non solo religioso, ma politico, sociale e militare rimanga in agenda e non sia sempre ben dissimulato. Diventa complicato anche fare politica. Gli appelli all’unità nazionale in Francia e negli altri paesi europei si sprecano in queste ore. Ma nelle società democratiche per fortuna ci sono sempre elezioni dietro l’angolo. E la tentazione, l’opportunità o “necessità” di usare la violenza colpevole e il sangue innocente per far progredire le proprie liste rimane inevitabilmente parte del gioco.

Che ne sarà poi del Giubileo della misericordia di cui invece, come si vede, c’è sempre più bisogno? I fanatici non cercano la misericordia, ma la guerra. L’Italia ha un politica di dialogo e di compromesso verso questi gruppi (almeno per il momento). Evita di farsi coinvolgere nelle azioni aperte di bombardamento in Medio Oriente. Tratta nei casi di rapimento di cittadini italiani. Ma diventerà più arduo anche accogliere i rifugiati in fuga dalle aree di guerra. Non per l’ingenuità di chi crede che organizzazioni terroristiche miliardarie abbiano bisogno dei barconi libici per trasferire i propri uomini, ma per il numero dei rifugiati destinato ad aumentare e le scarse capacità di accoglienza dell’Europa, che non sarà ricca negli anni a venire, né accogliente e fiduciosa dopo attacchi così arroganti e sanguinari.

La diffidenza tuttavia crescerà anche coi vicini della porta accanto. Non è necessario che i terroristi vengano da fuori. Negli ultimi anni in Francia hanno agito soprattutto i loro stessi ragazzi o adulti poco più che trentenni, nati e cresciuti nella terra dell’illuminismo, della democrazia e della libertà per tutti. Cosa che, paradossalmente, offre un spiraglio di speranza. Dopo una prima reazione e la messa in sicurezza della comunità nazionale occorre indagare, capire, ascoltare. Cosa è successo a questa generazione di giovani musulmani in Francia e in Belgio? Perché tanta rabbia? Non può essersi accumulata tutta in tempi recenti. Qualcuno l’ha instillata? Cos’è che li porta a sognare e andare a combattere per uno stato islamico nel deserto tra Siria e Iraq invece di studiare, lavorare e migliorare la propria posizione e la credibilità dell’Islam in Europa?

La domanda senza risposta tuttavia resterà quella connessa all’odio. Cosa spiega lo sguardo, le parole, la bile che tracima dalle interviste radiofoniche e televisive di questi terroristi, dai proclami postati su internet, dalla freddezza con cui i testimoni affermano di averli visti sparare o tagliare la gola agli ostaggi? Non si tratta di bestialità, perché non si ha notizia di simile efferatezza nel regno animale. Né può trattarsi di religione e tanto meno di fede nonostante il grido di Allahu Akbar. Né di azione militare in spregio a tutte le convenzioni internazionali per altro facilmente irrise anche da altri. Di che si tratta allora? Bisognerà capire per vincere.