Se il Sudafrica volta le spalle alla giustizia internazionale

Se il Sudafrica volta le spalle alla giustizia internazionale

Il partito di maggioranza, che combatté l’apartheid, propone che il paese lasci la Corte penale internazionale: in gioco c’è molto più di una semplice questione politica

 

Il paese che ha combattuto l’apartheid potrebbe ritirarsi dal tribunale nato anche per impedire che il crimine della segregazione razziale si ripeta. È uno scenario possibile se il parlamento del Sudafrica deciderà di discutere la proposta del partito di governo African national congress (Anc) di lasciare la Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja: il tribunale che ha il mandato di indagare su genocidi, crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Azioni come quelle di cui è accusato, tra gli altri, il presidente del Sudan, Omar Hassan al-Bashir, che proprio nella capitale sudafricana Pretoria è stato accolto, a giugno, in occasione di un vertice dell’Unione africana. Accolto e poi lasciato andare, nonostante gli stessi giudici locali avessero tentato di far applicare il mandato d’arresto che pendeva su di lui per i fatti legati al conflitto in Darfur, nell’ovest del Sudan. La decisione è stata criticata da più parti ed ha addirittura visto la magistratura dividersi dall’esecutivo, apertamente accusato di aver commesso un’azione “incostituzionale”. Un nodo che l’Anc sembra aver deciso, durante il suo congresso generale, da poco concluso, di sciogliere continuando la sua battaglia per i diritti umani – così ha assicurato un portavoce del partito – ma fuori dalla Cpi.

“Certamente bisogna tenere conto che non si tratta di una risoluzione del governo, ma della posizione di un partito”, sia pur di quello che ha la maggioranza assoluta dei voti in parlamento, nota padre Anthony Egan, teologo e politologo del Jesuit Institute di Johannesburg. Tuttavia, prosegue “la proposta verrebbe approvata se arrivasse alla Camera, e c’è una forte possibilità che succeda”. Le conseguenze potrebbero andare ben oltre l’impossibilità di arrestare Bashir se dovesse rimettere piede sul suolo sudafricano, prosegue il religioso. “In gioco – spiega – c’è la questione di chi abbia il potere supremo nel paese: il governo, con cui l’Anc si identifica, o la Costituzione? Il nostro ordinamento dice che chi è al potere può fare le leggi, ma che queste devono essere coerenti con la costituzione, o decadono. Ma gli ultimi avvenimenti mostrano le tensioni che esistono intorno a questo principio”.

Esiste anche un secondo rischio, se il Sudafrica volesse andare avanti: quello di creare un precedente per altre nazioni aderenti alla Corte, che potrebbero decidere di lasciarla a loro volta. Più di una tentazione per molti uomini di potere africani, che accusano il tribunale di prendere di mira solo il loro continente e temono di potersi trovare un giorno al posto di Bashir: è già accaduto al keniano Uhuru Kenyatta, il cui caso è stato poi archiviato tra le polemiche. “Una decisone del Sudafrica potrebbe avere un’enorme influenza su questo dibattito – conclude padre Egan – perché sarebbe un incoraggiamento ai paesi che sono ostili alla Corte anche per un residuo di mentalità anti-coloniale e anti-occidentale”.

 

Nella foto: le recenti proteste contro il governo accusato di diffusa corruzione