Costa d’Avorio: al voto cercando la pace

Costa d’Avorio: al voto cercando la pace

Il paese torna alle urne per le presidenziali, cinque anni dopo il voto del 2010 e la guerra civile con 3.000 morti. Preoccupano soprattutto il rischio di nuove tensioni e il futuro dei giovani.

 

Più che ai nomi e ai numeri, nelle elezioni di domenica 25 ottobre in Costa d’Avorio si guarderà alla pace. Nel paese dell’Africa occidentale, il capo di stato uscente Alassane Ouattara sembra avviato verso una facile vittoria. Enorme la differenza con cinque anni fa, quando le elezioni si trasformarono in un duello all’ultimo sangue tra lo stesso Ouattara e Laurent Gbagbo, non solo in senso metaforico. Davanti al rifiuto di Gbagbo – allora in carica, ma sconfitto nelle urne – di riconoscere i risultati e di lasciare il potere, i partigiani dei due candidati ripresero le armi. Il riesplodere delle ostilità, in cui furono coinvolti anche i caschi blu dell’Onu e la missione francese Licorne, provocò oltre 3.000 morti e solo l’arresto di Gbagbo mise fine ai massacri.

Oggi l’ex presidente è sotto processo all’Aia e quanto resta del suo partito, guidato da Pascal Affi N’Guessan, non può competere col cartello elettorale che sostiene Ouattara. Né sembra poterlo fare la Coalizione nazionale per il cambiamento, che raggruppa i delusi dei due schieramenti, e ha come uomo di punta l’ex premier Charles Konan Banny. Proprio a questa forza, però, si devono le manifestazioni che a metà settembre hanno provocato 3 morti nell’ovest, facendo temere nuovi disordini.

Uno dei gruppi più a rischio di essere strumentalizzati sono i giovani, molti dei quali disoccupati. A loro si è rivolto il vescovo di Yamoussoukro, capitale amministrativa del paese, mons. Marcelin Yao. L’invito è stato quello a “non essere vittime di coloro che fanno ‘bracconaggio politico’, perché sarebbero capaci di sacrificarvi sull’altare delle loro ambizioni politiche smisurate, per non dire egoistiche”.

Mons. Yao ha esortato i ragazzi, piuttosto, a “prendere sul serio” gli studi: “È l’unica condizione – ha affermato – per non cercare di partire, domani, dalla Costa d’Avorio, per non lasciare l’Africa andando a farsi ammazzare chissà dove”. Un cenno, questo, a uno dei problemi più pressanti per chi governerà il paese dopo il 25 ottobre: garantire che i proventi della crescita economica seguita alla fine della guerra civile (+8% previsto quest’anno) vadano a beneficio di tutti, senza che nessuno sia costretto all’emigrazione.

Al momento però l’attenzione è ancora quasi tutta sull’esito delle elezioni e sui giorni che seguiranno: frequenti sono state le preghiere per la concordia e anche il presidente della conferenza episcopale, mons. Alexis Touably, vescovo di Agboville, ha invitato tutti a chiedere perdono “per i peccati contro la pace”. L’appello a rifiutare la violenza è stato ripreso anche dalle comunità islamiche locali, preoccupate per possibili nuovi tentativi di strumentalizzare le differenze religiose tra i candidati (già i due sfidanti del 2010 erano un musulmano, Ouattara e un cristiano, Gbagbo). “Bisogna dare la prova alla popolazione che la Costa d’Avorio è impegnata in un processo democratico”, ha dichiarato Sissoko Alassane, del Consiglio superiore degli imam.