Musica oltre le barriere

Musica oltre le barriere

CAPO DI BUONA SPERANZA

Profughi, disabili, prigionieri. In Africa, la musica può rappresentare una via di fuga dalle situazioni più difficili

 

A volte la musica compie miracoli, ridando speranza alle persone più in difficoltà. All’inizio degli anni Duemila, era già successo in Sierra Leone. Mentre si trovavano in un campo profughi, in fuga dalla guerra che stava devastando il Paese, una coppia di musicisti, Reuben e Grace Koroma, avevano provato a ingannare il tempo, suonando per i loro compagni di sventura. Raggiunti da altri musicisti, nel corso delle loro peregrinazioni da un campo all’altro, hanno quindi deciso di creare un gruppo, ribattezzato Sierra Leone’s Refugee All Stars. Il loro primo album, Living Like a Refugee  (“Vivere da rifugiato”), è stato pubblicato nel 2006. Nel frattempo, è tornata la pace nel Paese e vi hanno fatto ritorno. Ma continuano a essere ricercati da vari Festival in giro per il mondo per esibirsi.

Un altro esempio è quello del gruppo congolese Staff Benda Bilili (cfr. MM, ottobre 2010) composto da musicisti disabili che vivacchiavano nelle strade di Kinshasa, chiedendo l’elemosina. Papa Ricky, un paraplegico chitarrista e cantante, aveva preso l’iniziativa di raccogliere attorno a sé altri come lui, in nome della musica. Quando il documentario che raccontava la loro vita è uscito nel 2010, il gruppo ha letteralmente preso il volo. Sono stati invitati a Cannes durante la proiezione del film e successivamente hanno iniziato un tour mondiale e prodotto diversi album.

Il terzo esempio è molto più recente. In occasione della cerimonia dei Grammy Awards negli Stati Uniti, il 15 febbraio scorso, l’album I Have No Everything here, distribuito da Six Degrees Records, un’etichetta con sede a San Francisco, è stato nominato nella categoria World Music. E anche se non ha vinto la prestigiosa statuetta, questo album ha fatto conoscere a tutti il Malawi, piccolo e sconosciuto Paese dell’Africa australe. Soprattutto, però, ha portato alla ribalta l’“impresa” di un gruppo di detenuti della prigione di massima sicurezza di Zomba, l’antica capitale, nel Sud del Paese. Gli autori, infatti, non si sono potuti presentare ai Grammy, perché sono in prigione, alcuni per tutta la vita, altri per reati minori, altri ancora per crimini più “insoliti”, come le “pratiche di stregoneria”. Ma tra i musicisti del gruppo ci sono anche alcuni secondini.

La loro storia assomiglia a una favola. A causa della mancanza di libertà, l’universo della prigione è già un inferno in sé. Ma in Africa si aggiungono spesso anche condizioni sanitarie, igieniche e di sicurezza spaventose. È il caso di questo penitenziario, costruito nel 1935 per 350 detenuti e con una popolazione carceraria odierna di circa duemila. Nel 2013, per realizzare un documentario sulla vita di questi prigionieri, la fotografa ruandese-italiana Marilena Delli e il regista e produttore americano Ian Brennan sono andati in Malawi. A furia di insistere con le autorità di Lilongwe, sono riusciti a realizzare lo Zomba Prison Project. Hanno così creato uno studio rudimentale per le registrazioni, dove i musicisti hanno potuto dimostrare che, nonostante tutto, la loro immaginazione era libera. Altro motivo di soddisfazione, il fatto che, dall’inizio di questa “avventura musicale” dietro le sbarre, tre donne sono state rilasciate, mentre la giustizia del Malawi ha deciso di rivedere il processo di alcuni altri prigionieri-musicisti.

Al di là di tutto, però, grazie alla musica la loro sorte è comunque destinata a migliorare, dentro o fuori il carcere, dal momento che, dopo il passaggio ai Grammy, altre etichette europee hanno già deciso di produrli.