Il cioccolato che fa bene

Il cioccolato che fa bene

Un piccolo laboratorio di produzione e vendita realizzato dal Gruppo Abele offre prospettive di inserimento socio-lavorativo a giovani svantaggiati, con un occhio di riguardo per l’ambiente

da Grand Bassam (Costa d’Avorio)

Lungo la strada che porta a Grand Bassam, a poche centinaia di metri dal suggestivo centro storico, patrimonio dell’umanità dell’Unesco, un piccolo edificio, tutto nuovo e tutto bello, racconta di una storia di incontro e di scambio, che ha il gusto intenso e speziato del cacao. È la “fabbrica di cioccolato” ChocoPlus, un progetto promosso nel 2018 dalla onlus Gruppo Abele e inaugurato con l’apertura della cioccolateria vera e propria lo scorso novembre. Un’iniziativa finalizzata alla produzione di cioccolato ivoriano, naturale e solidale. Che tiene insieme la salvaguardia dell’ambiente, il recupero socio-lavorativo di giovani in difficoltà e la valorizzazione di un prodotto, il cacao appunto, di cui la Costa d’Avorio è il principale produttore al mondo, che tuttavia viene trasformato molto limitatamente sul posto.

Niente a che vedere con la fantasmagorica fabbrica di cioccolato di Willy Wonka. In questo piccolo laboratorio è tutto molto più modesto. Ma molto concreto ed efficiente. Si inserisce in una storia di presenza trentennale del Gruppo Abele in questa località a una trentina di chilometri da Abidjan, ma ha anche il sapore di un investimento sul futuro. Tenendo al centro le persone, che in questo vasto spazio che si apre alle spalle della cioccolateria – chiamato Carrefour Jeunesse: un po’ oratorio, un po’ centro professionale, un po’ “rifugio” – sono soprattutto ragazzi svantaggiati o che stanno godendo di misure alternative al carcere.

«È iniziato così, più di trent’anni fa, da una visita e da un’intuizione di don Luigi Ciotti, che si era reso conto della drammatica realtà dei minori incarcerati e aveva voluto offrire loro un’alternativa», racconta Leone De Vita, il responsabile del progetto, mentre ci mostra fiero l’ultima nata, la cioccolateria appunto, con l’atelier di produzione e il punto vendita. Vive qui dal 2009 con la moglie Francesca Piccinini, che si occupa di amministrazione e progettazione, e la figlia Marysol di 14 anni.

La loro casa è all’interno della grande fattoria, che rappresenta un altro importante tassello del progetto, dove si tengono corsi di formazione nel campo dell’agricoltura, dell’allevamento e della falegnameria con i ragazzi del carcere. «Alla cioccolateria – spiega Leone – lavorano cinque giovani e due stagisti. Alcuni di loro hanno fatto uno stage di formazione in Italia nel 2013, e precisamente a Modica, rinomata in tutto il mondo per il suo cioccolato. E poi sono stati nel 2018 in Togo presso la cooperativa Choco Togo».

Il progetto, che è stato sostenuto anche dalla Chiesa valdese e dalla Confederazione italiana agricoltori, è in grado di produrre circa 500 chilogrammi di cioccolato al mese. Per la scorsa Pasqua, ChocoPlus ha realizzato bellissime uova e per Natale ha studiato nuovi coloratissimi packaging; ha partecipato alle principali fiere di Abidjan e ha organizzato visite guidate alle piantagioni. L’offerta è sempre più ampia: cioccolato con varie percentuali di cacao, ma anche con diverse spezie; tavolette e cioccolatini, ma anche tante forme originali come pesciolini, chitarre, cavallucci…

«Il cacao viene da una piantagione a una ventina di chilometri da Grand Bassam dove sappiamo che non vengono usati prodotti chimici – spiega Leone -. Qui non c’è ancora una coscienza molto avanzata circa le produzioni biologiche, ma noi ci stiamo lavorando e teniamo a questo aspetto. Lo riteniamo estremamente importante in un Paese come la Costa d’Avorio, dove c’è poca sensibilità ambientale, e dove, ad esempio, molte foreste sono state abbattute, sia per vendere il legname pregiato, ma anche per creare enormi piantagioni di cacao, caffè, anacardi e così via». Un altro aspetto a cui Leone De Vita tiene molto è la collaborazione con alcune realtà locali e con le istituzioni. «Il laboratorio è sostenuto dal Consiglio della regione del Sud Comoé, da dove vengono molti dei ragazzi di cui ci occupiamo – precisa -. Il Consiglio, inoltre, ha intrapreso il primo percorso di riconoscimento Igp di un cioccolato africano. Anche questo sarebbe un bel passo avanti!».

Infine, ma in fondo per primo, l’aspetto della solidarietà. Il progetto si inserisce, anche per la sua collocazione fisica, all’interno del Carrefour Jeunesse, un ampio spazio con al centro campi da gioco e attorno diversi edifici adibiti a laboratori per varie iniziative nel campo dell’educazione, della formazione professionale e dell’alfabetizzazione, senza dimenticare le attività ludiche, sportive e culturali.

In un angolo nascosto c’è anche una casa di accoglienza per donne vittime di tratta. Anche qui il fenomeno è diffuso e grave. Riguarda il Paese al suo interno e a livello regionale, ma riguarda anche le rotte internazionali, specialmente per la prostituzione coatta.

«Molti giovani, ragazzi e ragazze, partono per la Tunisia dove non c’è bisogno di visto – spiega Leone -; da lì, i passeur li fanno transitare verso la Libia. Se sopravvivono all’inferno libico e alla traversata del Mediterraneo, arrivano in Europa. Ma quello che li aspetta, spesso, è un destino di grave sfruttamento». Gli ivoriani, uomini e donne, sono tra le prime nazionalità di coloro che sbarcano in Italia in questi ultimi anni, da quando cioè sono praticamente scomparsi nigeriani e nigeriane.

Ma anche nel Paese non mancano le forme di sfruttamento: principalmente domestico e sessuale per le ragazze, lavorativo per i ragazzi. Solo nelle coltivazioni di cacao, ad esempio, l’Unicef stima che siano coinvolti oltre un milione di minorenni trattati come veri e propri schiavi. E molti di loro sono anche vittime di tratta: «Migliaia di bambini provenienti da Mali, Burkina Faso, Togo o dalle regioni centrali e settentrionali della Costa d’Avorio sono stati deportati nelle piantagioni con la promessa di una vita migliore. Tutto ciò va ad alimentare la tratta nazionale e internazionale di minori», denuncia l’Unicef.

Non solo i bambini, tuttavia, vengono sfruttati. Molte famiglie, spesso immigrate dal Burkina Faso, lavorano nelle piantagioni di cacao (ma anche caffè e anacardi) in condizioni durissime e miserabili. In balìa del clima sempre più impazzito e dei prezzi stabiliti da altri, sopravvivono in condizioni di grande precarietà e spesso sono costrette a usare pesticidi, pericolosi innanzitutto per la loro stessa salute.

In questo contesto pieno di criticità, ma anche di grandi potenzialità, la piccola fabbrica di cioccolato del Gruppo Abele racconta della possibilità di valorizzare un prodotto locale, nel rispetto dell’ambiente e del lavoro delle persone.

 

 

Cacao: ricchezza e sfruttamento

Il Covid-19 ha provocato la caduta dei prezzi delle materie prime

Quello del cacao è un settore altamente strategico e perennemente problematico. Principale produttore mondiale, la Costa d’Avorio esporta più di due milioni di tonnellate di cacao all’anno (il 40% del mercato globale) pari a circa il 10% del Pil nazionale.

Ma la lavorazione di questa preziosa risorsa avviene quasi totalmente al di fuori del Paese. Se cacao e cioccolato, infatti, sono presenti un po’ ovunque nel mondo, in Costa d’Avorio sono ancora oggi prodotti per pochi, spesso importati dall’estero e venduti a prezzi esorbitanti. Solo recentemente, infatti, sono state realizzate due fabbriche che producono prodotti derivati dal cacao (cioccolato, ma anche merendine, snack e dolciumi vari), una delle quali del gruppo francese Cémoi.

Anche i prezzi della materia prima sono stabiliti altrove. E spesso tutta la filiera subisce le fluttuazioni dei mercati finanziari, dove il cacao rappresenta un bene-rifugio. Ogni anno, infatti, vengono fatte quasi 3 milioni di transazioni finanziarie in cacao, per un totale di circa 10 milioni di tonnellate. Ma i prezzi, decisi a migliaia di chilometri di distanza, si ripercuotono anche sulla vita di milioni di persone che lavorano nelle piantagioni della Costa d’Avorio.

È quanto successo anche in questi mesi. L’apertura della campagna di commercializzazione del cacao è, infatti, coincisa con l’epidemia di Coronavirus, che ha provocato un drastico calo dei prezzi delle materie prime. Quello del cacao ha perso circa 300 sterline a tonnellata. Il governo del Paese ha tuttavia deciso di mantenere il prezzo di acquisto al produttore a 1,26 euro al chilogrammo. Inoltre, entro il 2025 vorrebbe eliminare gli intermediari delle grandi multinazionali come Nestlé, Barry Callebault o Cémoi, che hanno costituito una sorta di cartello, attraverso la creazione di una catena di vendita diretta tra coltivatori e aziende acquirenti locali.