Ciad: la cattedrale nella savana

Ciad: la cattedrale nella savana

La chiesa sotto l’albero è uno dei simboli della presenza del Pime in Ciad, specialmente nella diocesi di Pala, nel Sud-ovest. Dove la vita della gente è appesa a un filo e tutto è ridotto all’essenzialità.

Welba significa “figlio di Dio”. L’hanno chiamato così i missionari del Pime di Tikem perché è figlio di nessuno. Epilettico, abbandonato a se stesso, è diventato, a suo modo, parte di questa comunità, formata da tre missionari dell’Istituto e altrettante suore senegalesi delle Filles du Saint Coeur de Marie, più alcuni giovani in cammino vocazionale. Una specie di grande famiglia, proprio come quelle che compongono questo villaggio remoto nella diocesi di Pala, nel Sud-ovest del Ciad e a pochi chilometri dal Camerun. La popolazione, del resto, è la stessa: sono quei tupuri che il Pime ha conosciuto, studiato e accompagnato per tanti anni oltre confine. Qui, però – se possibile – stanno ancora peggio. Perché sta peggio il Ciad.

Ci vuole un giorno intero di viaggio dalla capitale N’Djamena per arrivare sin qui, lungo una delle poche strade parzialmente asfaltate e spesso disseminate di così tante buche che si finisce col percorrere piste parallele.

La presenza del Pime è frutto di una storia di amicizia: con il popolo tupuri, appunto, ma anche con i fidei donum di Treviso. È sulla loro scia, infatti, che è arrivato il primo missionario dell’Istituto, padre Marco Frattini, che, dopo aver vissuto quattro anni in Camerun, ha sperimentato vie nuove di una presenza che oggi ha assunto i contorni di una piccola “multinazionale missionaria”. I fidei donum trevigiani, infatti, sono sempre poco distanti, a Fianga, mentre padre Marco si è spostato a Koupor, un po’ più a ovest nella terra di un altro popolo, i kera, dove lo hanno raggiunto tre suore dell’Immacolata: suor Hilda dell’India, suor Shephali del Bangladesh e suor Irene della Papua Nuova Guinea. A Tikem, invece, ci sono padre Francisco Da Silva del Brasile, padre Luis Perez del Messico, padre Santhosh Somireddypalli dell’India e le tre suore senegalesi, mentre è in arrivo un giovane missionario della Guinea-Bissau. Cinque continenti rappresentati in una terra dove gli spazi sono quelli sconfinati della savana e il tempo sembra essersi cristallizzato in epoche lontane.

«Ho sempre desiderato vivere la vita semplice delle persone povere e marginalizzate», ci confida padre Marco sulla veranda della sua casa, che è uno spazio aperto all’accoglienza e alla condivisione: con lui ci sono una giovane coppia con un bimbo piccolo e altri bambini in difficoltà, tra cui due sordomuti, più alcuni ragazzi in discernimento spirituale. Attorno tante piccole comunità cristiane che mantengono viva la loro fede in un contesto di grandissima povertà e isolamento.
«Oggi non li vedo più come poveri, ma come persone con cui ho una relazione di amicizia; sono parte della mia vita». Sulla porta della cappellina alcune immagini suggeriscono un’ispirazione: Charles de Foucauld, i monaci di Tibhirine, Annalena Tonelli… «Mi indicano un percorso e ravvivano il desiderio di seguirlo, specialmente quando si rischia di uscire di strada. Non c’è altro modo di seguire il Vangelo se non nella radicalità e nella gioia».

Radicalità e gioia le si ritrovano anche nella scelta di chi – in questa terra dove la maggioranza della popolazione segue la religione tradizionale – decide di farsi cristiano dopo un lungo e paziente percorso di catecumenato. Attualmente sono circa 500 i cattolici in una parrocchia fatta di nove comunità sparpagliate su un territorio molto vasto, segnato dalla totale mancanza di strade e da una desolante arretratezza specialmente dei sistemi educativo e sanitario.
In tale contesto, il cammino dei missionari del Pime con questi popoli è fatto necessariamente anche di piccoli progetti condivisi, che tuttavia hanno un grande impatto sulle comunità: innanzitutto, la realizzazione di pozzi, in una terra dove l’accesso all’acqua è difficilissimo; poi l’impegno educativo sia per la formazione degli insegnanti che per la costruzione di aule; infine, il supporto ai dispensari.

Quello di Tikem non ha l’acqua; quello di Koupor non ha pazienti. Suor Hilda, che ha vissuto 36 anni in Camerun e 4 in Ciad, ci mostra desolata la farmacia quasi vuota e il registro delle visite: sono meno di tremila in un anno, con una media di nove pazienti al giorno. «La gente non viene al dispensario perché spesso non ha neppure i pochi spiccioli che servono per pagare visite e medicine, ma anche perché non sa nemmeno che può farsi curare qui. Per questo stiamo facendo molto lavoro di sensibilizzazione».

A Tikem, invece, i missionari hanno realizzato un pozzo fuori dal dispensario, ma non ci sono pompe e canalizzazioni per far arrivare l’acqua dentro. Il responsabile – nonché unico infermiere pagato dallo Stato – è furioso con quelli che definisce «gli analfabeti di N’Djamena che non hanno nessuna idea di come viva la gente qui!».

Lo sa bene, invece, padre Francisco – per tutti Chico – che dopo tanti anni in Costa d’Avorio e Camerun, condivide oggi la vita semplice di numerose famiglie e comunità cristiane, e accompagna diversi giovani offrendo opportunità di studio, ma anche di crescita spirituale. Lo scorso anno, inoltre, ha dato vita a un piccolo progetto di banca dei cereali: «Compriamo il miglio quando i prezzi sono abbordabili per aiutare le famiglie in difficoltà nel periodo in cui questo cereale scarseggia drammaticamente e i costi salgono moltissimo a causa delle speculazioni».

Padre Luis, invece, accanto all’attività pastorale – che attorno a Tikem coinvolge ben 28 comunità – sta cercando di supportare suor Marie Augustine nel centro femminile che ha bisogno di formatrici competenti, ma anche di rinforzare gli edifici che stanno letteralmente cadendo a pezzi. È lui a celebrare la Messa nel villaggio di Mambalan. La chiesa è un immenso albero sotto cui si raduna la comunità in un clima partecipato e festoso.
“Questa cattedrale” nella savana è un po’ il simbolo della presenza del Pime nel Sud del Ciad, un Paese dove non c’è niente: non c’è acqua, non c’è cibo, non ci sono strade, scuole, ospedali… C’è una piccolissima comunità cristiana, anch’essa molto povera di mezzi, ma molto ricca di fede.

Per supportare i progetti del Pime in Ciad, vedi: nondisolopane.centropime.org

 

 

 

 

 

 

Da sinistra: padre Santhosh Somireddypalli, padre Marco Frattini e padre Francisco Da Silva