L’onda inversa dei «repats»

CAPO DI BUONA SPERANZA:
Immigrazione al contrario: cresce il numero degli emigrati africani che fanno ritorno al Paese d’origine

Sino a un decennio fa, tra i mali che affliggevano l’Africa, c’era pure il fenomeno della “fuga dei cervelli”, ovvero il fatto che i giovani del continente meglio istruiti e preparati lasciavano le terre d’origine per mettere a disposizione dell’Occidente le loro competenze. Negli ultimi anni, i flussi migratori si sono maggiormente riequilibrati, grazie al fenomeno – uguale e contrario – dei repats, ovvero di coloro che rientrano in Africa. Diminutivo della parola inglese repatriates, si contrappone a un altro anglicismo, ovvero expats, espatriati, che si riferisce agli occidentali che lavorano in Africa. Se l’espressione repats deriva dall’inglese, è perché questo movimento è stato osservato in primo luogo tra i giovani nigeriani, che hanno studiato in Nord America o in Gran Bretagna, e che hanno fatto la scelta di mettere forza lavoro, idee e competenze al servizio della Nigeria. Gli altri Paesi più interessati da questo fenomeno sono il Ghana e l’Angola, che vedono i giovani delle loro rispettive diaspore far ritorno dopo aver studiato all’estero per cercare di investire nel business o creare progetti sociali. Il motivo principale è spesso che i Paesi d’accoglienza, sprofondati nella crisi economica, garantiscono meno opportunità di quelli di origine, che oggi offrono maggiore stabilità politica e istituzionale e migliori prospettive economiche. La loro scommessa è semplice: invece di darsi da fare senza futuro all’estero, è meglio rendersi utili al proprio Paese, nel quale trovano anche maggior riconoscimento sociale.

Questa ondata migratoria al contrario è stata osservata anche all’interno dell’Africa, ad esempio con i figli dei braccianti burkinabé emigrati in Costa d’Avorio. All’inizio degli anni Duemila, sono tornati massicciamente in Burkina Faso per investire nella vita politica, economica, sociale e culturale del Paese, dove però non sono cresciuti. Sul posto, vengono chiamati diaspos: hanno creato associazioni e istituito una rete di solidarietà che a volte irrita coloro i cui genitori non sono mai emigrati. Ma se all’inizio i repats erano le persone che ritornavano al loro Paese di origine, oggi guardano genericamente a tutta l’Africa. Molti, ad esempio, creano attività in Paesi che non sono quello di origine e che non necessariamente conoscono.

Per coloro che tornano, non tutto è facile, perché spesso c’è bisogno di un periodo di adattamento e non sempre i repats sono accolti a braccia aperte da expats e dai locali, che non vedono di buon occhio queste persone venute da altrove.

Uno degli esempi più interessanti e controversi riguarda Lionel Zinsou. Nato a Parigi nel 1954, ha fatto tutta la sua carriera di banchiere d’affari in Francia, dove è stato anche membro del Partito socialista. Nel giugno 2015, contro ogni previsione, è stato nominato primo ministro del suo Paese di origine, il Benin, e pochi mesi dopo si è candidato alle presidenziali del febbraio 2016 per il partito al potere. I suoi avversari politici, però, lo accusano di rappresentare gli interessi francesi.

Anche se quest’ultimo caso è oggetto di polemiche, mostra comunque che l’attrazione verso l’Africa è sempre più forte. In questo senso, il fenomeno repats è indice che lo sguardo sull’Africa sta cambiando anche da parte degli africani. Il movimento crescerà? Difficile da prevedere. Senza dubbio è un fenomeno che potrebbe far riflettere i milioni di africani che sono emigrati o che desiderano farlo, mostrando che c’è posto anche nel loro Paese.