Padre Cyril, missionario oltre le barriere

Padre Cyril, missionario oltre le barriere

Prende il via oggi a Roma il Giubileo dei malati e delle persone disabili. E a tenere la prima delle catechesi è padre Cyril Axelrod, un sacerdote sudafricano sordo cieco dalla storia straordinaria

 

Tra gli appuntamenti giubilari in questo fine settimana a Roma sono attesi gli ammalati e le persone disabili. Un momento che non può non apparire centrale in un Anno Santo che ha messo al centro le opere di misericordia. E il segno più forte – probabilmente – sarà domenica la presenza di alcuni chierichetti down accanto al Papa durante la celebrazione in piazza San Pietro.

Ma il Giubileo è fatto anche di testimonianze e tra quelle proposte in questa occasione ce n’è una molto significativa anche per il mondo missionario: questo pomeriggio, infatti, nella chiesa di Santa Maria in Vallicella, la prima delle catechesi del Giubileo dei malati sarà tenuta da padre Cyril Axelrod, un sacerdote sudafricano dalla storia incredibile. Neanche un handicap gravissimo – che in tanti Paesi è ancora una condanna all’incomunicabilità assoluta – hanno fermato il desiderio di padre Cyril di annunciare il Vangelo. Divenendo un pioniere in questa frontiera del tutto particolare dell’evangelizzazione.

Avevamo raccontato qualche anno fa la storia di padre Axelrod su Mondo e Missione. Riproponiamo qui sotto l’articolo pubblicato nel numero di febbraio 2009

 

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È NATO ED È CRESCIUTO nel Sudafrica dell’apartheid, dove si è speso in prima persona per il superamento delle barriere tra bianchi e neri. Poi è andato a Macao, alle porte della Cina continentale, dove è rimasto per dodici anni. Prima di partire di nuovo – nel 2000 – per una missione del tutto nuova. In un «luogo» contrassegnato dal buio e dal silenzio. Ma non per questo chiuso a una parola di speranza. È la storia straordinaria del missionario redentorista padre Cyril Axelrod. E del ministero che lui – sordo dalla nascita e da alcuni anni anche completamente cieco – svolge tra quanti condividono questa stessa condizione di isolamento estremo. Un annuncio fatto di parole comunicate sfiorando con sapienza le dita della mano. Per affermare – da prete – un messaggio grande: nessuno può davvero sentirsi escluso dall’amore di Dio.

È la storia che padre Cyril stesso ha raccontato nel libro «And the Journey Begins» («E il viaggio comincia») pubblicato per la casa editrice britannica Douglas McLean. Un’autobiografia scritta da un sacerdote sordo-cieco con l’aiuto di tanti amici. Ci sono voluti tre anni per metterla per iscritto, con un lavoro di équipe svolto pagina dopo pagina con il Braille e il linguaggio del palmo della mano. Ne valeva assolutamente la pena, perché le 200 pagine del libro sono una parabola straordinaria, che parla non solo a chi è portatore di un handicap.

Ad esempio è una grande storia sull’incontro possibile tra cristiani ed ebrei. Perché Cyril nasce a Cape Town nel 1942, figlio unico in una famiglia di ebrei ortodossi giunti fin qui per sfuggire alle persecuzioni dell’Europa Orientale. Nasce sordo e (come lui scoprirà solo molto più tardi) affetto dalla sindrome di Usher, una malattia che con il tempo colpisce anche l’apparato visivo fino a portare anche all’assoluta cecità. E subito per il piccolo Cyril c’è una grossa barriera da superare. Perché a Cape Town l’unica scuola per i bambini sordi, l’unica possibilità per poter uscire dall’isolamento, è una scuola retta da suore domenicane tedesche. Per la famiglia Axelrod – ebrea osservante – è un passo difficile. E i sospetti di «indottrinamento cattolico» non mancano. Così il padre decide di mandarlo alla scuola. Ma allo stesso tempo si adopera perché anche la comunità ebraica si attrezzi in modo da educare i piccoli ebrei sordi nello studio della Torah e del Talmud. E Cyril si appassiona in questo studio. Al punto che – una volta cresciuto – vorrebbe diventare rabbino. Crede che così potrà mettere tutta la sua vita completamente al servizio delle persone sorde. Ma deve scontrarsi con una grossa delusione: l’interpretazione della Torah data dagli ebrei ortodossi non ammette che un disabile possa essere ordinato rabbino.

È un grosso colpo. Accompagnato a distanza di poco tempo anche dalla perdita del padre. Comincia a lavorare come contabile. Eppure quel desiderio di donare completamente la propria vita resta. Così un giorno – spinto dalla curiosità – lui ebreo entra nella cattedrale di Cape Town. E qualcosa scatta. Con l’aiuto di un amico cattolico, anche lui sordo, comincia un percorso di ricerca. Fino alla decisione: voglio diventare prete. Per la madre e il resto della famiglia è un nuovo shock. Inizialmente tagliano tutti i ponti con Cyril. Ma l’amore è più forte. E una mano la dà anche il rettore del seminario, che invita a mantenere viva nel giovane Axelrod la radice ebraica. Ogni venerdì sera tornerà dalla madre a celebrare lo Shabbat. E alla fine – il giorno dell’ordinazione sacerdotale, nel 1970 – sarà lei ad accompagnarlo all’altare.

Al momento dell’ordinazione Cyril è il terzo sordo mai ordinato sacerdote nella Chiesa cattolica. Pochi mesi dopo è a Roma, dove incontra Paolo VI. Un incontro che si rivelerà molto importante. «Quando sentì il mio nome – ricorda padre Cyril nel libro – un sorriso illuminò il suo volto. “Il vescovo Green mi ha raccontato della tua ordinazione – mi disse -. Sei il primo prete sordo che incontro”. Abbracciandomi con calore, mi chiese di portare un messaggio a mia madre. Disse che l’ammirava come ebrea che aveva presentato il suo unico figlio a Dio, e voleva ringraziarla per il dono che aveva fatto alla Chiesa. Poi mi benedì e mi disse: “Va’ e predica l’amore di Dio alle persone sorde”. Questo atteggiamento del Papa e le sue parole decise – conclude il missionario redentorista – mi fecero commuovere fino alle lacrime. Quali meraviglie Dio aveva preparato per me».

RIENTRATO in Sudafrica, il primo incarico è in un istituto per ragazzi neri sordi a King William’s Town. Per padre Cyril è l’impatto con le conseguenze della segregazione razziale sulle persone sorde. «Apartheid – racconta – in questo caso voleva dire che tutti gli alunni erano neri e che a loro non era consentito alcun contatto con persone sorde di altri gruppi etnici in Sudafrica. Ma il più grande shock per me fu scoprire come questi bambini sordi fossero isolati anche dai loro genitori che per la maggior parte vivevano molto lontano. La politica dell’apartheid di fatto creava una barriera di comunicazione tra genitori e figli».

Il giovane sacerdote sordo si sente chiamato anche alla vita di comunità. Così sceglie di entrare in un ordine religioso, quello dei Redentoristi. E arriva una nuova destinazione: Soweto, uno dei luoghi cruciali della lotta all’apartheid. È una battaglia che padre Cyril affronta dalla sua prospettiva, quella dei ragazzi sordi che vivono nella township. «I ragazzi appartenevano a diversi gruppi etnici di Soweto e questo rendeva molto difficile scegliere quale lingua usare – scrive -. Lo Special Education Department for Black Disabled Children insisteva perché usassimo la lingua zulu, ma questo provocò la protesta di molti genitori. Così decisi di chiedere al governo di autorizzare l’insegnamento dell’inglese agli studenti sordi in modo che, al di là delle diverse etnie, potessero avere una lingua in comune. Andai avanti a insistere fino a quando il permesso mi fu accordato. Così la nostra divenne in Sudafrica la prima scuola per ragazzi neri in cui si insegnava la lingua inglese. E questo fu un punto di svolta in questo Paese ancora sotto le regole dell’apartheid».

Intanto padre Cyril imparava a vivere il suo ministero sacerdotale anche tra i normodotati. Ad esempio in confessionale. «Quando mi ci mandarono la prima volta protestai – racconta -; mi fu detto che non era importante sapere tutto quello che la gente stava dicendo ma essere generosi nel mostrare la misericordia di Dio. Così, fuori dal mio confessionale, appesi un cartello in cui scrissi: “Padre Cyril Axelrod (sacerdote sordo)”. La prima penitente che si presentò fu una donna di mezza età. Dalle vibrazioni del mio Breviario avvertii che mi stava parlando con un tono di voce molto alto. Mi voltai verso di lei e con il dito sulle labbra le feci segno di abbassare la voce. Sorpresa esclamò: “Ma allora lei non è sordo!”. Imbarazzato non sapevo come spiegarmi. Così le diedi la benedizione e le dissi: “Vai in pace”. Pochi minuti dopo arrivò un altro parrocchiano. Ma quando aprii la grata mi accorsi che era un uomo molto alto: vedevo solo il suo petto e la sua cravatta. Per poter leggere le sue labbra dovetti mettere da parte la sedia e sedermi sul pavimento del confessionale. Era così imbarazzato della situazione che due settimane dopo tornò da me con una offerta…».

NEL 1985 compie un viaggio a Singapore dove resta tre mesi, avviando anche lì nuove attività per i sordi. Però fu in quello stesso periodo che iniziò a manifestarsi la retinite pigmentosa, con i primi seri problemi alla vista. «Intorno alla Pasqua del 1988 – continua padre Axelrod – venne in visita in Sudafrica il nostro padre generale, Juan Lasso de la Vega. A pranzo si avvicinò a me e, attraverso un confratello che faceva da interprete mi disse: “Mi hanno raccontato del tuo lavoro straordinario a Singapore. Ti piacerebbe partire missionario per la Cina?”. La mia mente andò in tilt. Riuscivo a pensare solo alla mia vista che andava deteriorandosi e alle persone sorde che avrei lasciato in Sudafrica. I miei confratelli e la comunità dei sordi, però, sapevano che era il Signore a chiamarmi, e così mi diedero tutto il loro supporto. Quanto al padre generale mi disse che la vista non era un mio problema. Era un problema di Dio. Così incominciò il mio nuovo viaggio, quello verso l’Oriente».

Una nuova missione, con nuove sfide. Ad esempio: anche un sordo quando cambia continente deve imparare una nuova lingua. «Quando cominciai ad avere dimestichezza con il linguaggio dei segni cinese – ricorda il missionario – le persone sorde cominciarono ad avere fiducia in me e a raccontarmi di come si sentissero trattati come cittadini ignoranti, poco più che medicanti, e di come sognassero di avere un centro apposta per loro. Incontrai anche i genitori dei bambini sordi e subito cominciai a capire come la disabilità in Cina fosse considerata una vergogna e un’’occasione di imbarazzo per le loro famiglie. I genitori spesso li volevano tenere chiusi in casa, nascosti dalla società, a volte non denunciavano neppure alle autorità la loro esistenza. Capii che c’era un grosso lavoro da fare».

QUANDO PADRE Cyril arrivò a Macao, non esisteva nulla per i sordi. Con lui nacque un Centro che – anche in vista dell’imminente passaggio della colonia portoghese alla Cina (avvenuto nel 1999) – affidò presto alla responsabilità dei sordi locali. E poi fu la volta dei nuovi progetti avviati nelle Filippine e a Hong Kong, e dei contatti con la Cina continentale. Ma ormai la vista andava sparendo del tutto. E nel 2000 fu la volta di un nuovo viaggio, quello probabilmente più difficile: destinazione una residenza per sordo-ciechi a Londra.
«Le radici del mio cuore erano con il popolo cinese, con il loro stile di vita, la loro cultura e la loro comunità dei sordi – spiega padre Axelrod -, e adesso lasciavo il mio lavoro e i miei amici. Il Signore mi aveva portato altrove, in un Paese a me straniero dove tutto era completamente nuovo per me. Solo poche persone conoscevano la mia storia e il servizio che avevo svolto. Improvvisamente mi ritrovai solo un sordo-cieco. Mi sentivo abbastanza perso. Non avevo idea di che cosa Dio avesse in mente per me, ma sapevo che dovevo andare avanti».

E un passo alla volta – con la stessa tenacia con cui anni prima aveva studiato il cinese – a sessant’anni ha ricominciato da capo con il Braille e le tecniche per sviluppare la propria autonomia. Ma soprattutto ha scoperto che anche i sordo-ciechi sono un ambito in cui si può essere chiamati a vivere la propria missione di prete. Così oggi, nella parrocchia di Our Lady of Hal in Camben Town, padre Cyril è responsabile del ministero per i sordo-ciechi dell’arcidiocesi di Westminster. Quando celebra la Messa chiama intorno a sé i bambini. E durante l’omelia – ricordando la parola «Seguimi», pronunciata da Gesù – racconta quante volte nel Vangelo si parla delle mani di Gesù che toccavano le persone. E li invita ad andare a portare questo tocco alle persone non vedenti, presenti nell’assemblea.
«La maggior parte delle persone considera la condizione dei sordo-ciechi come qualcosa di di indescrivibile, impensabile, inimmaginabile – commenta – . Per me è diventato un nuovo modo di vivere, che mi ha offerto una nuova direzione. Ci sono certamente frustrazioni da superare ma anche molte nuove gioie da sperimentare e molte nuove sfide. In un certo senso la mia condizione di sordo-cieco è diventata la lezione più importante della mia vita».

«Padre Cyril Axelrod – ha scritto su di lui Oliver Sacks, l’autore di Risvegli, il libro da cui è stato tratto un celebre film sul mondo dell’handicap – ha dato al mondo un contributo unico e profondo. E lo ha fatto non nonostante la sua sordità e la sua cecità, ma proprio attraverso di esse. La sua è la storia commovente ed esemplare del viaggio di un uomo in una vita di compassione e cura nei confronti dell’altro». La storia – aggiungiamo noi – di un grande missionario che spende la vita per portare – anche a chi non può vedere e sentire – la Parola più bella

 

 

Colpisce tra i 3 e il 6 per cento dei sordi

La Sindorme di Usher – la malattia di padre Cyril Axelrod – è una delle principali cause della condizione dei sordo-ciechi. Di origine genetica, si manifesta gradualmente, portando a una perdita pressoché totale della vista oltre che dell’udito. Non esistono numeri precisi su quante siano nel mondo le persone che vivono in questa condizione estrema di isolamento. Le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità dicono però che la Sindrome di Usher colpisce tra il 3 e il 6 per cento di coloro che sono affetti da sordità. Per comunicare queste persone utilizzano un particolare linguaggio che passa attraverso il contatto tra le dita delle mani. In Italia è chiamato alfabeto Molossi. Ma – come racconta molto bene nel libro padre Cyril – uno dei problemi dei sordo ciechi è che anche questa «lingua» cambia da Paese a Paese. Dunque due sordo-ciechi di aree geografiche diverse per comunicare possono avere bisogno di un interprete che faccia da tramite tra due linguaggi dei segni.
Nonostante queste difficoltà i sordo ciechi hanno sviluppato una capacità di autonomia straordinaria. Grazie a uno speciale computer – ad esempio – padre Cyril è in grado di comunicare con chiunque via e-mail. E con l’aiuto di alcune persone continua a viaggiare per portare la propria testimonianza. L’associazione internazionale dei sordo ciechi gli ha assegnato un particolare riconoscimento per l’immagine che ha saputo dare di chi vive in questa particolare condizione. Ma il suo è solo uno dei tanti esempi.