Missione di famiglia

«Metter su casa» in Thailandia. Ecco cosa accade ogni estate alla famiglia Carlini. Che lascia Milano per fare «missione» a Bangkok. Da cinque anni, con cinque persone

 

Né eroi, né santi. Ma famiglia. I Carlini lasciano, ogni estate, Milano, per raggiungere la Thailandia. Questa terra lontana ormai da cinque anni trasforma le loro vacanze in missione. «ʺAndate in tutto il mondo e annunciate il Vangelo”: un invito che chissà quante volte abbiamo sentito, ma mai avremmo pensato fosse diretto proprio a noi», esordisce papà Carlo.

Tra gli incontri e le riflessioni di un corso per famiglie tenuto dai frati del Santuario del S.S. Crocefisso a Musocco, quartiere del capoluogo lombardo, i Carlini si riscoprono “missionari”. «Abbiamo scelto di partecipare al percorso perché eravamo alla ricerca di un cammino da fare insieme. Un momento da dedicare a noi per crescere come famiglia. Volevamo capire che posto dare alla missione nella nostra vita. Ma mai avremmo pensato di fare le valigie sul serio». E invece, la missione chiama così forte che le vacanze prenotate in Sardegna nel 2011 subiscono un’improvvisa modifica, che si ripeterà sistematicamente per tutte le estati successive fino ad oggi: «In fondo, Thailandia fa rima con vacanza» dice Elisa, 13 anni, la piccola di famiglia. Con lei annuiscono Silvia 19 e Alessandro 17 i suoi fratelli maggiori.

Al termine del cammino, i frati del Musocco propongono ai Carlini di raggiungere la parrocchia Our Lady of Mercy alla periferia di Bangkok, nel distretto di Nonthamburi. La località, gestita da più di quarant’anni dai missionari del Pime, raccoglie diverse congregazioni religiose, che collaborano insieme nell’animazione pastorale e l’assistenza alle popolazioni locali.

Indicata la nuova meta, restano però molti dubbi: il costo dei biglietti, i brevi tempi di organizzazione, la lingua sconosciuta, le difficoltà logistiche, l’età dei ragazzi… Ma alla fine, il desiderio di vivere un’esperienza di condivisione e sobrietà che segni il cammino è più forte delle perplessità. Così, nel luglio 2011, la Casa degli angeli accoglie la famiglia Carlini. Questo luogo, gestito dalle missionarie saveriane sotto il coordinamento di suor Maria Angela Bertelli, sorge all’interno della parrocchia del Pime e offre assistenza a bambini disabili e alle loro mamme. I piccoli ospiti ricevono un servizio di fisioterapia, seguono sessioni di sviluppo intellettivo e vengono inseriti nelle attività di gruppo per accrescere il più possibile le loro potenzialità. Il tutto avviene attraverso il coinvolgimento delle mamme che, vivendo sotto lo stesso tetto, prendono coscienza del loro importante ruolo e imparano a prendersi cura dei propri figli. L’obiettivo, infatti, è far diventare questi piccoli nuclei più autonomi in un complesso percorso di accettazione e gestione della disabilità. Nella casa sono presenti anche bambini abbandonati, che vengono accolti con semplicità in questa unica grande famiglia.

«In Thailandia non mancano i motivi per essere abbattuti. È quasi tutto difficile: la lingua, il caldo, la cultura, le povertà presenti, le ingiustizie silenziose… Ma non il rapporto con la gente. Oggi, grazie a loro possiamo chiamare questo Paese “casa” e non semplicemente “missione”», precisa Alessandro. «Quando siamo partiti la prima volta avevamo solo 8, 12 e 14 anni. Avevamo già fatto diverse esperienze di attività in oratorio e animazione con i disabili, ma mai in una realtà così sconosciuta. Una volta arrivati lì ci siamo affidati completamente a suor Angela e la missione ha cominciato a farsi spazio», aggiunge Silvia.

Un’estate di condivisione: tempo, lavoro e preghiera. Questo ha creato uno legame molto stretto tra i Carlini e la gente di quella terra: «Qui a Milano svolgiamo delle professioni che non sono proprio da “missione”: mio marito – interviene Teodora, la mamma della famiglia – è costumista teatrale e io lavoro in ufficio. L’unica cosa che ci siamo ritrovati a fare in Thailandia è stato intessere relazioni. La missione poi, piano piano, ci ha “lavorati” e ha fatto emergere in noi talenti e capacità insospettabili. Carlo si è riscoperto pittore e ha disegnato murales per tutto l’edificio; io mi sono affiancata alle mamme nel quotidiano tra cucina e pulizie; mentre i ragazzi sono diventati compagni di gioco, fisioterapia e studio dei piccoli. L’amicizia, però, con gli ospiti della casa e i parrocchiani è sempre la nostra attività principale».

Come famiglia, spiegano, è più facile entrare nella vita della gente, condividere con loro le preoccupazioni e le gioie, scandire il quotidiano con gli stessi ritmi. Tra le mamme di Nonthamburi e questa famiglia milanese, infatti, è nato ormai un senso di corresponsabilità così forte che ha portato i Carlini a operare anche fuori le mura della Casa degli angeli: «Con suor Angela abbiamo sostenuto alcune mamme nell’apertura di un piccolo negozio di alimentari accanto all’edificio, un passo in più verso la loro autonomia».

Non sono mancati neppure gli interventi negli slum della capitale, le attività di primo annuncio, l’animazione e le lezioni di inglese per i bambini di strada. Tra queste, però, sono due le esperienze che i piccoli della famiglia tengono a raccontare: le settimane che Alessandro ha trascorso con i ragazzi che padre Paolo Salomone ospita nella casa del Pime e l’incontro che Silvia ed Elisa hanno avuto con le giovani tribali nel nord.

«La sveglia alle 5, le poche parole in thai per comunicare, le corse alla discarica per raccogliere il cibo da dare ai maiali non fanno parte della mia quotidianità di liceale milanese… Ma la stessa noia nel fare i compiti di latino io, e quelli di inglese loro, quello sì! – scherza Alessandro -. Ho trovato in questi ragazzi i miei stessi sogni ed emozioni».

«Vedere la soddisfazione delle ragazze dei villaggi tribali che, con l’aiuto delle suore della Carità (ndr. congregazione presente nel Nord) possono iscriversi all’università di un Paese che non riconosce neppure la loro cittadinanza, è il regalo più bello che mi ha fatto la Thailandia», ricorda Silvia che dopo questa esperienza ha scelto di intraprendere la professione di educatrice.

E poi, conclude Elisa, nel modo più semplice: «Se non fossi andata in missione oggi non sarei quello che sono. Quindi passino in fretta questi mesi, perché là ci stanno aspettando!».