Teranga

Teranga

Il Senegal si è sempre presentato come il Paese della “teranga”, l’ospitalità, un’isola pacifica in un’Africa Occidentale sempre più destabilizzata. Ma anche questa “eccezione” sembra vacillare come ci spiega lo scrittore Pap Khouma

Perché il Paese della “teranga”?

In Senegal, sin da piccoli, veniamo educati al senso di accoglienza e alla sacralità dell’ospite. Nella mia famiglia c’era sempre il piatto per il visitatore imprevisto. È un’usanza presente non solo nei villaggi, dove queste tradizioni sono più radicate, ma anche in città e nelle famiglie povere. Esprime proprio il senso della condivisione. Ci sono tantissimi cantanti che hanno evocato il valore della “teranga”. Ma anche presidenti, come Léopold Sédar Senghor, che hanno fatto del Senegal un luogo di elezione per l’accoglienza di rifugiati politici o di intellettuali “scomodi” nei loro Paesi. Anche sul piano sociale, ci sono sempre stati molti stranieri, provenienti dai Paesi limitrofi, ma anche europei e libanesi. Questo è stato possibile non solo per cultura e tradizioni, ma anche perché il Senegal è sempre stato un Paese stabile e con una democrazia piuttosto matura.

È così ancora oggi?

Alcune di queste tradizioni sono cambiate, anche perché ci sono più povertà e malessere sociale e specialmente i giovani sentono di non avere prospettive ed esprimono sempre di più la loro esasperazione e rabbia, manifestando e protestando, come abbiamo visto recentemente, dopo l’arresto del leader dell’opposizione Ousmane Sonko. Purtroppo il potere ha reagito molto duramente, definendo tutti i giovani terroristi. È un gioco molto pericoloso.
Ci sono stati anche diversi morti. Non penso, però, che questa situazione possa degenerare. Credo che la democrazia senegalese sia ancora abbastanza solida. Inoltre, i capi religiosi, che sono molto influenti, hanno reagito in maniera positiva, sia quelli muridi che quelli di altre confraternite così come i cattolici, e hanno fatto di tutto per calmare le acque.

È finita l’ “eccezione senegalese”?

Non credo. La vicenda di Sonko ha esasperato gli animi. I giovani avevano contribuito a portare democraticamente al potere l’attuale presidente Macky Sall, ribellandosi contro Abdoulaye Wade. E ora vedono che si comporta allo stesso modo e cerca di perpetuare un sistema corrotto e nepotista, anche per potersi avvantaggiare dei proventi delle recenti scoperte di petrolio e gas. Per questo la gente teme che stia cercando di potersi candidare per un terzo mandato. La prepotenza degli attuali governanti ha esasperato gli animi. Ma penso che il Paese abbia gli anticorpi necessari per reagire. Ad esempio, non esistono conflittualità etniche e questo è un fattore importantissimo. Inoltre, c’è un sistema di informazione sostanzialmente libero e plurale. Il popolo senegalese ha già dimostrato in più occasioni che non si fa rubare la sua democrazia. Ogni tanto il Paese subisce qualche scossone. Ma poi riesce a reagire.

Il Covid-19 ha aggravato la crisi?

Moltissimo! E non sono in Senegal, ma in tutta l’Africa Occidentale, dove il tasso di crescita si attestava attorno al 6/7% del Pil: ora si parla del 3%. Praticamente si è dimezzato. Ma al di là dei dati, lo si può vedere immediatamente dalle condizioni di vita della gente. Quella del Senegal è ancora un’economia basata molto sull’informale. Oggi la precarietà è drammatica. Chiuse in casa, le persone non muoiono di Covid-19, ma di fame. Poi ci sono anche questioni più strutturali, come il problema della pesca, ad esempio. Il governo continua a fare accordi con l’Unione Europea o altri Paesi come Cina e Giap­pone, che stanno svuotando il nostro mare che un tempo era pescosissimo. E così anche i pescatori senegalesi oggi si trovano in grande difficoltà. Per non parlare poi della disoccupazione giovanile. Tantissimi ragazzi non riescono a trovare un’occupazione stabile anche se hanno studiato.

E così sono riprese anche le migrazioni?

Certo. Sia interne che verso l’Europa. È un fenomeno che si è consolidato nel tempo. Recen­te­mente molti giovani si sono orientati verso la rotta atlantica delle Canarie, che è molto pericolosa, anche perché compiono l’attraversata con le piroghe dei pescatori che, impossibilitati a praticare la pesca, si riciclano in trasportatori di uomini. Il fenomeno della migrazione dal Senegal, tuttavia, non è alimentato solo dal bisogno, ma anche dal sogno. C’è una sorta di “mito” dell’emigrazione. Anche perché chi è partito non racconta fatiche e fallimenti. Manda soldi – e sappiamo che le rimesse superano i fondi della cooperazione -, mostrano ricchezza. L’Europa continua a essere l’Eldorado. Recen­temente è stato arrestato un padre per aver fatto partire il figlio minorenne, annegato in un naufragio al largo di Dakar. È una vicenda che ha fatto molto discutere in Senegal. Ma poi c’è anche chi certe cose non le vuole sentire…

 

CHI E’

Pap Khouma è uno scrittore e giornalista senegalese di nascita, italiano di ado­zione. Ha scritto diversi libri, l’ultimo dei quali è “Noi italiani neri” (Baldini Castoldi, 2010), confer­mandosi come uno dei principali esponenti della letteratura migrante in Italia. Un impegno che porta avanti anche attraverso El Ghibli, prima rivista on line di questo genere.
È inoltre fondatore e diret­tore respon­sabile di Assaman, rivista on line di informazione italo-africana.