Amazzonia, anche Parintins chiusa per Coronavirus

Amazzonia, anche Parintins chiusa per Coronavirus

L’epidemia del Covid19 è arrivata anche nella città sul Rio delle Amazzoni dove il Pime ha una sua storica presenza. Si conta già una vittima e il porto – unico collegamento con il resto del Brasile – è chiuso. La testimonianza di Michele Lazzerini, missionario laico di Pisa: «Cambia anche il nostro modo di vivere la missione»

 

Il coronavirus è arrivato anche nelle aree più remote dell’Amazzonia. Si registrano le prime morti e le prefetture prendono le misure per contrastare l’ermegenza. Parintins, città di 70mila abitanti nel cuore della Foresta Amazzonica brasiliana, sul Rio delle Amazzoni, da settant’anni frontiera dell’apostolato dei missionari del Pime, non è solo isolata dal resto del mondo: lì è anche scattato il coprifuoco. In questo tempo di blocco, di emergenza, di sospensione delle attività, Michele Lazzerini, 53 anni, pisano, terziario francescano vive il suo impegno quotidiano di missionario fidei donum nella diocesi guidata dal vescovo del Pime mons. Giuliano Frigeni. In servizio nella parrocchia Nossa Senhora de Lourdes insieme a padre Paolo, sacerdote di San Paolo, anch’egli in missione temporanea, Michele racconta come sta cambiando la sua missione di laico.

Com’è la situazione in città?
“Il virus è arrivato anche qui. Dopo i casi di Manaus, qui a Parintins si erano trovati 6 sospetti. Uno di questi è risultato positivo: era un signore di 49 anni che sabato è stato trasferito a Manaus e martedì è morto. Ci sono anche persone che stanno aspettando la risposta del test. Le scuole e i luoghi di culto sono chiusi da tempo, come tutte le attività: restano aperti solo supermercati e farmacie. Venerdì è stato chiuso il porto, in entrata e uscita. E’ l’unica via di accesso, quindi siamo isolati, completamente isolati. Anche il piccolissimo aeroporto locale è fermo. Per il momento i beni di prima necessità si trovano ancora. Dopo la notizia della morte di questo signore hanno deciso il ‘coprifuoco’, cioè non si può uscire di casa dalla sera alle 8 fino alla mattina alle 6”.

Le strutture sanitarie sono pronte a questa emergenza?
“L’ospedale Padre Colombo (costruito dal Pime e che porta il nome di un suo missionario ndr) è diventato il riferimento per le emergenze di ostetricia e chirurgia, qui vengono dirottati i casi gravi. Tutti gli altri servizi di assistenza sanitaria sono praticamente sospesi a meno che non si tratti di qualcosa di grave. In tutto qui ci sono 85 posti letto. L’Ospedale Jofre invece è stato trasformato in struttura per il coronavirus. Qui vanno i casi accertati e anche i sospetti. Ci sono 70 posti letto. Al momento ci sono solo 4 respiratori”.

Gli abitanti stanno seguendo le disposizioni?
“Le persone fin dall’inizio hanno capito l’mportanza di rispettare e ascoltare i vari comunicati e decreti che prefettura e strutture sanitarie stanno emettendo. Un po’ di sana paura è servita. Anche le notizie che arrivano dalle altre parti del mondo. I servizi in tv hanno funzionato. Ci sono poche persone in giro, chi esce lo fa solo per necessità”.

Come sta cambiando la vita delle famiglie della città?
“Questo tempo diventa una opportunità per stare più insieme. Per conoscersi anche meglio. Qui le relazioni sono slegate, ognuno fa la sua vita”.

E nelle comunità rurali?
“Alcune famiglie si sono dovute separare per la paura del contagio. Molte donne con figli sono tornate nelle comunità di origine, nella foresta, all’interno. Anche alcuni anziani hanno fatto questa scelta per cercare di tutelarsi”.

Ci sono ricadute sociali o economiche?
“Già ci sono e ci saranno anche in futuro. Il Festival di Parintins è stato rimandato. Le attività direttamente coinvolte così come l’indotto non avranno questa entrata, e questo sarà un enorme problema per la comunità locale. La sospensione degli esercizi commerciali anche: chi viveva di commercio e di questo guadagno giorno dopo giorno sta già soffrendo. Sicuramente è un popolo che sa adattarsi e affrontare le difficoltà. Però al momento non si può dire, resta un grande punto interrogativo”.

La Chiesa locale come sta reagendo?
“La vita dei padri, dei religiosi e dei missionari è cambiata, le attività pastorali sono bloiccate, così come quelle sociali. E’ una situazione nuova. Però le necessità concrete arrivano lo stesso, l’ufficio della nostra parrocchia resta aperto al mattino e ci sono le solite richieste di aiuto. Cerchiamo quindi di ascoltare quelle più urgenti, con le giuste precauzioni. Questo vuol dire vivere la quarantena a metà. Anche le celebrazioni sono sospese. In cattedrale ci sono 2 Messe, trasmesse in diretta in tv e sulla radio della Diocesi, Radio Alvorada. Stare chiusi in casa è difficile: il ponte che si è creato con le comunità rurali è sospeso, interrotto”.

La tua missione come sta cambiando?
“La missione da vivere ora è diversa da quella che vivevo 10 giorni fa. Prima mancava il tempo per organizzare le cose, per incontrare le persone, per le visite nelle comunità. Oggi l’attività è ai minimi termini. La missione ‘del fare’ è ferma. Si può sperimentare una certa inutilità. Ma questo momento di fermo mi sta facendo vedere la missione dal lato più spirituale. E’ un’occasione: la missione è esperienza di fede, Dio ha voluto la missione e l’ha affidata alla chiesa. Il primo terreno da essere evangelizzato è la nostra vita. Dobbiamo affidare il nostro servizio ala preghiera e non sempre abbiamo il tempo per farlo in maniera degna. Dobbiamo fermarci, ascoltare, pregare, lasciarci guidare. Oggi possiamo farlo. Questo momento mi aiuta a tornare a vedere quanto sono profonde le mie radici in questo terreno di fede”.