AL DI LA’ DEL MEKONG
«Secondo le scritture»

«Secondo le scritture»

Conosco Choeun e Nieng Kanha da anni e non potevo mancare al loro matrimonio khmer. Pur in ritardo, sono arrivato in tempo per il taglio dei capelli… Un gesto che, per gli sposi, significa l’inizio di una vita nuova

 

«Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna» (Par. XXXIII, 85-87) (1)

Qualche giorno fa ho partecipato alle nozze di due nostri ex-alunni. Si erano conosciuti frequentando la nostra scuola, ma a differenza di molti giovani cambogiani per i quali sono i genitori a combinare l’amore, loro invece si sono scelti. Anzi, sono certo che lui, Choeun, non abbia mai avuto altre lei e che lei, Nieng Kanha, non abbia mai avuto altri lui! Come a dire, l’un per l’altra, da prima del tempo e per sempre! Anche per loro, buddisti, l’amore coniugale implica una certa indissolubilità. E anche se la vita moderna fa scadere tutto, quasi fosse d’obbligo ad un certo punto prendersi delle pause, esplorare altri corpi, trastullare i sentimenti a suon di sms, nel loro caso non ho dubbi. Andrà tutto bene!

Conosco Choeun e Nieng Kanha da anni e non potevo mancare. Pur in ritardo, sono arrivato in tempo per il taglio dei capelli! La ritualità delle nozze khmer è complessa, lunga, estenuante perché prevede diversi riti, cambi d’abito, recite di benedizioni. Tra i riti, anche il taglio dei capelli. Ad un certo punto i padri della sposo e della sposa, in piedi, alle spalle dei due seduti, hanno inscenato il taglio accennando il gesto, senza procedere! Essendo arrivato in quel momento, totalmente impreparato, mi hanno messo in mano il pettine e le forbici rituali, quasi fossi uno di famiglia e, con evidente imbarazzo, sono passato al “taglio”.

Quel “taglio”, per gli sposi, significa l’inizio di una vita nuova. Ma richiama anche il taglio dei capelli di tradizione monastica, come segno di rinuncia alle frivolezze della vita e a tutto ciò che potrebbe compromettere la fedeltà coniugale. Insomma, c’è una prospettiva monastica quasi che gli sposi si consacrino l’uno all’altra e c’è anche un profondo senso del limite che solo può custodire l’amore. Non come chiusura e castrazione, ma nel senso che Heidegger richiamava e cioè che «il limite non è il punto in cui una cosa finisce, ma (…) ciò a partire da cui una cosa inizia la sua essenza» (2). Meraviglioso!

Ebbene, rientrando pensavo a quel gesto così paterno, come ad un gesto «secondo le Scritture». Anzi, la mia presenza tra di loro, pur di un’altra religione, la storia vissuta insieme, la missione in Cambogia, il mio sacerdozio, tutto mi è parso in un istante «secondo le Scritture», come fosse stato scritto e predestinato dalla Grazia di Dio, non per merito, ma per dono della Provvidenza. Ho infatti sentito dal profondo che era giusto per me essere lì. Ed era giusto che anni fa avessi incontrato quelle persone. Costruito quella scuola. Vissuto quella storia. Intuivo la presenza di una traccia, di un’energia vitale, provenire da lontano, confermare il presente, rilanciare il futuro. Più volte nei Vangeli si precisa che tutto quello che accade, compreso il fallimento dei discepoli, fino alla passione di Gesù, muove da lontano e tende in avanti «perché si compissero le Scritture» (cfr. Mt 26,56).

C’è una terzina nell’ultimo canto del Paradiso di Dante che spiega bene il senso di tutto questo. È il momento in cui Dante si trova al cospetto di Dio e ha una prima visione del Mistero: «Nel suo profondo vidi che s’interna,/ legato con amore in un volume,/ ciò che per l’universo si squaderna:/ sustanze e accidenti e lor costume/ quasi conflati insieme, per tal modo/ che ciò ch’i’ dico è un semplice lume (…)». In quell’istante, nella luce di Dio, Dante ha visto tutto ciò che esiste, «sustanze e accidenti e lor costume», che non solo è «legato con amore in un volume», ma che anche «per l’universo si squaderna».

Dice bene Benigni. In quell’istante, Dante «ha visto tutta l’eternità, ha visto l’infanzia di tutti noi, i cieli di tutti i mondi, ha visto gli amori che non sono andati a termine, quelli appena sbocciati, ha visto ognuna delle nostre vite, ci ha visto qui questa sera che parlavamo di Lui, ha visto Giulio Cesare, … ha sentito il tonfo di una castagna che cade ad ottobre, … ha visto tutto il coraggio non giunto a compimento,… ha visto dei meli che sono cresciuti per anni in silenzio senza dire niente a nessuno … ha visto una volpe che fa paura a un coniglio mentre lo azzanna, … ha visto la vita di ogni insetto del mondo e ha visto perché dovevano esserci tutti gli insetti del mondo e tutti i tipi di vita del mondo …».

Ha visto lo sbocciare di quell’amore e il suo andare in porto, ha visto la costruzione della scuola e il taglio dei capelli… Quasi fosse stato scritto da qualche parte, ma solo ed in quanto è tutto eternamente abbracciato e benedetto da Dio. Anche i nostri tradimenti, la miseria della nostra libertà o le tante pagine della nostra vita che vorremmo strappare dal quel volume. Ebbene, anch’esse sono abbracciate, ancora, da quell’«amor che move il sole e l’altre stelle».

 

1. Benigni spiega il senso della terzina in questo video

2. M. Heidegger, Saggi e discorsi, Milano 1985, 103

 

Foto: Flickr / Suong Photography