Levatrici sotto accusa: quando la tradizione diventa peccato

Levatrici sotto accusa: quando la tradizione diventa peccato

Appena un mese fa sono diventate patrimonio immateriale della Colombia, ma le levatrici tradizionali indigene rischiano di scomparire dagli Stati del Pacifico. La loro arte a supporto delle donne in gravidanza è infatti al centro di un pregiudizio culturale condiviso anche da alcune chiese cristiane locali.

Sono entrate nella lista rappresentativa del «patrimonio culturale immateriale della Colombia» ma le levatrici indigene del Pacifico temono che si tratti soltanto di un premio alla carriera. Dopo 25 anni di lotta per ottenere il prestigioso riconoscimento di una figura tradizionale di tutta l’America latina, infatti, le «parteras» temono per la propria sopravvivenza.

Da quanto emerge dal Piano Speciale di Tutela (PES) finanziato dal Ministero della Cultura della Colombia sei anni fa e consegnato al governo nel giugno scorso, le levatrici sudamericane sono sotto attacco. Il rapporto segnala la mancanza di apprezzamento per la loro pratica considerata «empirica» dal sistema sanitario e ritenuta non equiparabile alla medicina. Dopo essere state dichiarate patrimonio immateriale statale, le levatrici tradizionali avrebbero dovuto essere tutelate dalle leggi nazionali di protezione culturale:ù, per adesso però il servizio che prestano è «a pagamento volontario» e non è riconosciuta loro nemmeno l’autorità di certificare la nascita di un bambino perché non in possesso di un diploma in ambito sanitario.

Eppure, in molte aree rurali dove l’assistenza sanitaria statale è nulla, questa è l’unica alternativa per le madri in gravidanza. I dati dell’associazione delle ostetriche unite del Pacifico (Asoparupa) rivelano che ogni anno le «parteras» assistono tra le 4500 e le 5000 nascite nella regione della Colombia affacciata sul Pacifico. Oltre a seguire materialmente le partorienti durante il travaglio, le levatrici si occupano delle neomamme sia prima sia dopo la gravidanza, consigliando l’uso di erbe e bevande naturali per curare complicanze fisiche e spirituali, secondo un sapere che si tramanda di generazione in generazione da secoli. Le ostetriche tribali sono esperte in botanica e massaggi, ma conoscono anche l’emotività femminile e tutti i possibili contesti familiari e sociali. «Questa tradizione – ha spiegato Lizeth Quinones presidentessa dell’Asoparupa – rafforza il dialogo tra anziane e giovani. Inoltre favorisce scambi interregionali e internazionali con levatrici di Brasile, Messico e dell’Africa dove è diffusa la stessa cultura».

Ma proprio per queste pratiche tradizionali le levatrici, pur essendo figure di riferimento di intere comunità, sono malviste anche dalle chiese cristiane locali. «È un duro colpo per noi – spiega la Quinones, lanciando l’allarme – vedere come le parteras più anziane abbandonano l’attività perché la loro chiesa la definisce stregoneria. Il rischio è che le donne scelgano di non tramandare alle figlie e nipoti questa tecnica, destinandola all’estinzione».

A partire da questa dichiarazione il quotidiano «La Silla Pacifico» ha intervistato sull’argomento sei pastori di diverse chiese cristiane del luogo (tra cui un prete cattolico). Da un lato c’è chi etichetta le pratiche come «non secondo gli insegnamenti di Dio», mentre altri definiscono il lavoro «necessario» e «rispettabile, anche perché non interferisce in alcun modo con il cristianesimo».

In generale la piccola inchiesta conferma lo stesso pregiudizio culturale evidenziato dal Piano Speciale di Tutela che, nelle sue conclusioni, auspica un dialogo tra religione e cultura capace di cancellare l’equivalenza tradizione-uguale-peccato. La contraddizione tra quest’arte secolare e la fede cristiana, d’altronde, non esiste per le dirette interessate. Tra loro, per esempio, Juana Alberta Caicedo, 68 anni di cui 50 spesi a far nascere bambini, racconta: «Fare la levatrice non è facile, soprattutto all’inizio. Per riuscire a fare bene il mio lavoro ho pregato spesso. Sì, sono cristiana: anche prima di raccogliere le erbe chiedo il permesso a Dio».