Messico, la “cocaina del mare” minaccia una specie protetta

Messico, la “cocaina del mare” minaccia una specie protetta

La vaquita marina – mammifero che vive nelle acque del Mare di Cortéz in Messico – è a rischio estinzione. La sua esistenza è minacciata dalle grandi reti da pesca utilizzate per pescare il totoaba che viene pescato illegalmente per essere venduto in Cina dove è ricercatissimo per i suoi presunti benefici medicinali

 

Il mammifero marino oggi più minacciato del pianeta è la vaquita marina – una focena dal colore argenteo e dagli occhi larghi da panda – la cui sopravvivenza dipende da uno scontro di interessi tra pescatori e ambientalisti. Questa specie si trova solo in Messico, nel Mare di Cortéz conosciuto anche come Golfo di California e gli scienziati stimano che potrebbe esserne rimaste meno di una dozzina.

La vaquita avrebbe i giorni contati a causa della pesca illegale di un’altra specie protetta: il totoaba. Il totoaba costituiva una fonte importante di cibo prima che fosse inserito nella lista delle specie in pericolo del Messico. “I pescatori illegali sono così forti che li puoi vedere con le loro reti e i totoaba alla luce del giorno”, racconta alla BBC Ramón Franco Díaz. Infatti, ogni pomeriggio, è possibile vedere un flusso di furgoni rimorchiare barche da pesca fino al mare. Queste imbarcazioni sono per lo più senza licenza e il loro equipaggio usa reti che possono uccidere la vaquita.

“Le reti possono essere lunghe centinaia di metri e alte 10 metri”, racconta Valeria Towns, che lavora con una ONG messicana, il Museo de la Ballena. Per proteggere la vaquita, tutte le reti da pesca sono vietate nell’alto Golfo. Tuttavia, sono ampiamente utilizzate, anche da pescatori con permessi per halibut o gamberi. Le dimensioni delle maglie variano a seconda della pesca e le più pericolose per la vaquita sono le reti a maglie larghe usate per il totoaba. “Non è facile per i mammiferi marini liberarsi da quelle reti – la vaquita rimane impigliata”, racconta Towns. Al largo della costa di San Felipe, tutta la pesca commerciale dovrebbe essere proibita all’interno della Riserva di Protezione della Vaquita – un’area più grande di 1.800 km quadrati al cui interno c’è anche una zona più piccola di tolleranza zero.

“Il totoaba lo catturavamo negli anni 60 e 70”, ricorda Díaz, presidente di una federazione di pescatori nella città costiera di San Felipe, sulla penisola della Bassa California. “Poi sono arrivati i cinesi con le loro valigie piene di dollari e hanno comprato le nostre coscienze”. Sono arrivati volendo la vescica natatoria del totoaba, l’organo che aiuta il pesce a galleggiare. In Cina è molto apprezzato per le sue percepite proprietà medicinali. Secondo l’ONG Earth League International, le vesciche natatorie essiccate di 10 anni possono essere vendute per 85.000 dollari al chilo in Cina, ma i pescatori di San Felipe ne guadagnano solo una piccola parte e, in una comunità povera, gli affari sono esplosi per questa sostanza che viene definita la “cocaina del mare”.

L’impunità e l’assenza di forze dell’ordine possono spiegare le decine di imbarcazioni di totoaba che partono dalla spiaggia di San Felipe e si dirigono nella riserva. “Nessuna autorità li ferma”, racconta Díaz. “Se osassi avvicinarli, risponderebbero con una pallottola. Il crimine organizzato ha rubato il mare di Cortéz”. “Prima bisognava badare al vento e al mare – afferma un ex pescatore di totoaba -. Ora si vedono tanti pazzi in giro con le pistole”.

Il Museo de la Ballena sostiene alcuni pescatori interessati a porre fine alla dipendenza dalle reti e sponsorizza alternative alla pesca come la coltivazione di ostriche. È anche una delle ONG che rimuove le reti dall’area protetta. Tuttavia, questa attività ha intensificato le tensioni tra la gente del posto e gli ambientalisti. Il 31 dicembre 2020, un pescatore è stato ferito a morte e un altro gravemente dopo che il loro peschereccio si è scontrato con una nave più grande, appartenente alla ONG internazionale Sea Shepherd, che era fuori a raccogliere le reti.

I fatti sono contestati, ma il risultato fu una rivolta a San Felipe, dove la nave di Museo è ormeggiata. Ora c’è una tregua scomoda. La Marina dice che continua a pattugliare e rimuovere le reti dalla riserva, ma ci sono poche ONG coinvolte. A San Felipe il commercio illecito di totoaba, il coinvolgimento del crimine organizzato e la poca differenziazione dell’economia – dovuto a una radicata cultura tradizionale della pesca – creano un mix tossico.

Il governo messicano sta considerando proposte che potrebbero gratificare i pescatori, ma allo stesso tempo arrabbiare gli ambientalisti preoccupati per il destino della vaquita: revocare lo status di specie in pericolo del totoaba e legalizzare gli altri tipi di pesca che già avvengono nella riserva. “Vogliamo stabilire diverse zone di pesca, per esempio, per la corvina e i gamberi”, afferma Iván Rico López della task force governativa che esplora la sostenibilità nell’alto Golfo. “L’area protetta è enorme. Se il divieto di pesca fosse rispettato lì, i pescatori non mangerebbero. Quindi dobbiamo andare verso la legalizzazione della pesca”.

Il governo messicano ha anche distribuito 3.000 reti a prova di vaquita, ma i pescatori si lamentano che queste riducono le loro battute dell’80%. “Dobbiamo cercare il modo di aumentare il volume delle pescate”, afferma López. “Stiamo cercando delle alternative, ma dobbiamo convincere le comunità – se non sono coinvolte nel processo decisionale non avremo successo”.

 

Foto: Flickr.com