Quel che resta del sogno

Quel che resta del sogno

Sembrano lontani i giorni del sogno bolivariano di Hugo Chavez. Oggi il Venezuela si dibatte in una crisi economica molto grave, accentuata dal crollo del prezzo del petrolio e da politiche ottuse. E si avvia verso le elezioni col fiato sospeso

 

I marciapiedi che costeggiano i supermarket venezuelani si riempiono già da notte fonda. Qualche coperta, buste con un po’ di cibo e tanto sonno. Una fila di anziani, giovani e bambini. Tutto ciò perché accaparrarsi i beni, anche quelli di prima necessità, è diventata cosa complicatissima in Venezuela. I primi raggi del sole spuntano e quelle che erano sagome anonime sul cemento diventano intere famiglie in attesa del prodotto regolato del giorno: la farina. Sì, perché fare la spesa di provviste, ai costi calmierati dalle autorità, è possibile solo in alcuni momenti della settimana, seguendo l’ordine numerico del proprio documento d’identità. Non è solamente questa la limitazione: a ogni giorno il suo prodotto. Quest’oggi tocca, appunto, alla farina.

Il grande supermercato, dove sono assiepate decine di persone, si trova a Valencia, a circa centocinquanta chilometri a ovest di Caracas: una delle città più grandi del Venezuela, dove una buona fetta della popolazione vive sotto la soglia della povertà. I barrios di estendono a perdita d’occhio, in particolare nelle periferie meridionali della città, partendo da piazza del Toro, dove il mercato alimentare si mescola a quello nero, con contrabbandieri dotati di ogni merce.

Il supermercato “El Bicentenario” è il più grande dell’intera provincia. È stato nazionalizzato per volere del governo e ogni giorno è assediato da migliaia di persone. La ragione principale è che i beni di prima necessità sono venduti a prezzi irrisori. Ad esempio, un litro d’olio costa 103 bolivar, l’equivalente di quindici centesimi di euro. Per procurarselo, però, è necessario restare in fila per diverse ore, sperando di raggiungere la cassa prima dell’esaurimento delle scorte. «Oggi vendono olio e farina – spiega un’anziana signora -. La distribuzione è riservata a coloro il cui numero di documento finisce con uno, due o tre. Gli altri dovranno presentarsi domani o dopodomani, e così via con gli altri prodotti. Non ci sono alternative: l’unica è morire di fame!».

L’insofferenza per le lunghe attese genera incredibili risse tra miserabili, il che va ad aumentare la lista di morti e feriti. Anche per questo all’entrata dei più grandi punti vendita del Paese ci sono presidi di soldati, con tanto di kalashnikov a tracolla, che controllano la fila per prevenire o sedare eventuali incidenti. Nonostante la presenza dell’esercito, tuttavia, sono ricorrenti risse, coltellate e addirittura scontri con arma da fuoco. Una vera guerra tra poveri, i cui protagonisti cercano di accaparrarsi semplicemente le briciole.

Basta guardarsi attorno, all’interno del grande supermercato, per rendersi conto che buona parte degli scaffali è desolatamente vuota. Shampoo e sapone sono introvabili. Lo stesso vale per buona parte delle medicine, con l’inquietante penuria anche di acqua. Nel supermarket “El Bicentenario” la merce viene sistemata in maniera tale che queste mancanze non diano troppo nell’occhio, con interi settori riempiti d’inutilità. E mentre nei banchi frigo non c’è l’ombra di un prodotto, in un’altra ala dell’immenso supermercato le mensole sono piene di palette e secchielli, giochi in scatola, fiori di plastica, detersivi per parabrezza o lumini per le tombe. «Tanto questa roba non è necessaria!», si lamenta una ragazza in coda.

Tale scenario è figlio di politiche economiche che ormai vanno avanti da anni, e aggravate dal crollo vertiginoso del prezzo del petrolio. L’oro nero è l’affare principale per il Venezuela, uno dei principali produttori al mondo. Negli ultimi mesi si è generata un’inflazione micidiale. Soffermandosi al cambio ufficiale, si potrebbe acquistare 1 dollaro con 6,3 bolivar. Tuttavia tale tasso è valido solo sulla carta. Per acquistare un dollaro sono attualmente necessari almeno settecento bolivar, ovvero oltre venti volte ciò che predica il governo. La borsa reale viene dettata dal mercato nero, in base a “misteriose contrattazioni”, che avverrebbero al confine con la Colombia, da cui si importano molte delle merci. Tutto ciò detta anche l’agenda economica del Paese.

L’inflazione ha creato tutta una serie di meccanismi che stanno letteralmente trasformando il portafogli dei venezuelani: e non si tratta solo di un modo di dire. Il taglio più alto di banconota è diventato quello da cento bolivar, che allo stato attuale vale poco più di dieci centesimi di dollaro. Le monete hanno smesso di circolare, mentre i tagli cartacei più piccoli – uno, due, cinque e dieci bolivar – sono così svalutati che il loro valore nominale è diventato più basso di quello materiale. Letteralmente, dunque, non valgono la carta sulla quale sono stampati. Il cambio clandestino ha soppiantato quello ufficiale e il mercato nero divora ogni giorno l’intera economia.

Oltre alle famiglie, che si radunano in fila a ridosso dei supermercati, ci sono pure gruppetti di bachaquero. La crisi ha generato questa nuova figura “lavorativa”: colui che fa incetta di prodotti di prima necessità, rivendendoli poi, in strada o nelle piazze, a prezzi sensibilmente maggiorati. Se nei negozi non si trova nulla, ai bachaquero si può domandare di tutto. Così la nostra bottiglia d’olio, che ufficialmente costa 103 bolivar, può essere recuperata sul mercato nero – senza risse né code – ma al prezzo di 250 bolivar. Lo stesso vale per le medicine, il sapone, l’acqua e tanto altro. Come la benzina, che viene quasi “regalata” al prezzo politico di circa 50 bolivar al pieno, l’equivalente, grosso modo, di 6 centesimi di euro.

Diventa così un gioco a chi ha più soldi da investire in nero. Nonché un enorme paradosso in un Paese che ha fatto della lotta alle derive del capitalismo il cavallo di battaglia di Hugo Chavez quando giunse trionfalmente al potere sedici anni fa. Oggi, in quello che continua a definirsi un Paese socialista, deve fare i conti con una crescente povertà, nonostante le ingenti ricchezze energetiche.

Il business del mercato nero ha portato con sé anche una forte illegalità. Gruppi criminali, bande e nuove mafie lo hanno trasformato in uno dei Paesi più violenti e pericolosi al mondo, con un tasso di omicidi secondo solo all’Honduras. Ogni anno se ne contano più di venticinquemila.

Il governo del sempre più contestato presidente Nicolas Maduro, che è stato a suo tempo delfino del comandante Chavez, ha cercato di mettere in campo provvedimenti d’impatto, utili ad attenuare la devastante crisi economica, e ha pensato bene di “esternalizzare” il problema: per questo ha dato vita a una serie di vere e proprie “deportazioni” al confine con la Colombia. La polizia venezuelana, infatti, ha espulso dal Paese migliaia di cittadini colombiani, rei – secondo le accuse governative – di «aver fomentato il contrabbando dei bachaquero e aver dato vita a gruppi paramilitari antigovernativi». Una tesi che appare piuttosto scricchiolante, dal momento che tra i deportati figurano anche diversi anziani e bambini. Nicolas Maduro ha annunciato: «Dobbiamo unirci tutti. Solo in questo modo potremo porre fine alla guerra economica che sta affamando il nostro popolo». Ma quello delle deportazioni non è che uno specchietto per le allodole che ha il duplice ruolo di sviare l’attenzione dalle vere responsabilità del governo, giustificandone – nel contempo – ogni decisione politica.

«Il “chavismo” ha creato una vera e propria economia parallela, che oggettivamente sarà molto difficile da smantellare». Sono le parole del professor Pablo Polo, responsabile della facoltà di Studi economici presso l’Università di Valencia. Per Polo, il fatto che molti beni vengano distribuiti sottocosto, senza rispettare alcun valore di mercato, sviluppa figure come quelle del bachaquero. «Chi lavora non può permettersi di trascorrere intere giornate in fila di fronte a un supermercato. Il bachaquero, in compenso, ha a disposizione un piccolo surplus di denaro, che verrà investito nella borsa nera». Il professore rintraccia in questo meccanismo anche una scappatoia per il governo, che così tiene a bada una fascia di popolazione che altrimenti sarebbe disoccupata. «Erano gli inizi degli anni Duemila, quando il governo decise di introdurre il cosiddetto dollaro assistito – ricorda il professore -. In questo modo, si facilitarono le importazioni, ma al contempo la moneta iniziò ad assumere un valore fittizio, con effetti a dir poco disastrosi. Molte industrie smisero di produrre, oppure si spostarono all’estero. Come diretta conseguenza, la moneta cominciò a svalutarsi pesantemente, mentre il governo, preso alla sprovvista, decise di stampare nuovi biglietti di banca: inflazione garantita». In questo clima, il 6 dicembre i cittadini venezuelani si recano alle urne per il rinnovo del Parlamento di Caracas: un test che potrebbe rivelarsi fatale per Nicolas Maduro e i suoi colleghi di governo, la cui popolarità non ha mai raggiunto livelli così bassi. Intanto, s’intensifica lo scontro politico, in cui gli oppositori al governo di Maduro denunciano repressioni e persecuzioni di ogni genere.

Il caso più noto è quello di Leopoldo Lopez, leader dell’opposizione parlamentare venezuelana, del partito “Voluntad Popular”, arrestato e condannato a tredici anni e nove mesi, perché ritenuto responsabile d’incidenti durante una manifestazione studentesca. Il suo caso, e quello di molti altri, fanno temere che il Paese possa piombare in una disastrosa guerra civile. Intanto, pare già evidente che il Venezuela ha smarrito il sogno della sua rivoluzione bolivariana.

Hanno collaborato A. Sceresini e G. Borello