Tutti i «parenti» del Pime

Tutti i «parenti» del Pime

In 170 anni di storia, i missionari dell’Istituto hanno dato vita a una trentina di famiglie religiose, soprattutto femminili, creando un’ampia rete specialmente in Asia. Il primo incontro in India.

In 170 anni di storia, grazie alla fondazione o all’ispirazione di missionari del Pime, sono sorti circa trenta congregazioni e movimenti missionari attivi in varie parti del mondo, soprattutto in Asia. Le più conosciute sono le missionarie dell’Immacolata, che dal 1936 sono cresciute a Milano, in via Masaccio, a poche decine di metri dalla casa madre del Pime di via Monte Rosa. In molti Paesi del mondo, missionari del Pime e dell’Immacolata condividono l’annuncio del Vangelo. Le suore considerano Paolo Manna, insieme a Giuseppina Dones e Giuseppina Ridolfi, come loro ispiratore, e Lorenzo Balconi (missionario in Cina e superiore generale) come co-fondatore. La loro prima missione fu in India, dove giunsero nel 1948, su invito di mons. Domenico Grassi, vescovo di Bezwada, ora Vijayawada. Gli inizi furono difficili, ma è proprio l’India che ha permesso all’Istituto di crescere in modo notevole, tanto da poter inviare missionarie in varie parti del mondo.

Il primo incontro delle comunità fondate o ispirate dal Pime si è tenuto proprio in India, dall’11 al 16 febbraio, presso la Nirmala House, un’accogliente casa delle missionarie dell’Immacolata nella grande città di Hyderabad. Erano rappresentate una dozzina di comunità, in grande parte femminili, sparse in tutta l’Asia.

L’incontro è stato davvero un’occasione unica per conoscersi e condividere, come sorelle e fratelli, le gioie e le fatiche della missione oggi. L’iniziativa è partita da suor Antonella Tovaglieri e da padre Ferruccio Brambillasca, superiori delle missionarie dell’Immacolata e del Pime. Erano presenti altre due superiore generali: delle Catechiste di Sant’Anna e della Provvidenza.

L’incontro è stato arricchito da lezioni sul rinnovamento missionario e sulla spiritualità del Pime. Ma i momenti più forti sono stati soprattutto quelli di condivisione, animati da video, foto, canti e danze.

Tre giovani suore cinesi hanno raccontato con emozione la storia difficile e dolorosa delle Missionarie di San Giuseppe, fondate a Anyang (Henan) da padre Isaia Bellavite nel 1920, dopo la devastante inondazione del Fiume Giallo e di fronte alla necessità di soccorrere efficacemente le famiglie con l’aiuto di donne capaci di entrare negli ambienti familiari proibiti ai missionari. Dodici ragazze aderirono all’invito di padre Bellavite, e diverse di loro sono morte di tubercolosi e affaticamento. Lo stesso fondatore morì di stenti, a 62 anni, nel 1934.

Nel 1949, l’anno della conquista comunista, la congregazione contava più di 70 sorelle, impegnate nell’ospedale della città, in cliniche e nell’orfanotrofio, oltre che nelle stazioni missionarie. La persecuzione durata fino agli anni Ottanta del Novecento dissolse la congregazione. Ma una ventina di sorelle anziane nel 1983 hanno ripreso il filo della loro vocazione, seguite da alcune giovani. Ora la comunità è composta da 130 sorelle quasi tutte molto giovani, impegnate attivamente nell’assistenza sanitaria e nella vita della loro diocesi.

A Hyderabad, le suore di Anyang hanno chiesto di poter conoscere meglio il loro fondatore e di aggiornarsi per affrontare le difficoltà causate dall’inasprimento della politica religiosa in Cina.

Difficile è anche la situazione delle sorelle della Divina Provvidenza della remotissima diocesi di Kengtung, in Myanmar, fondate da padre Erminio Bonetta, poi vescovo della diocesi. “Provvidenza” è il nome della comunità; ed è così che i missionari chiamavano quella missione, tanto lontana e davvero difficile, che con fatica erano riusciti a iniziare dopo tanti penosi fallimenti. Afflitte da difficoltà di ogni genere, tra cui l’estrema povertà e la mancanza di considerazione anche da parte dei membri del clero, le 35 sorelle superstiti furono accolte nel gennaio 2002 dalle Suore della Provvidenza, fondate a Udine nel 1837. Le due famiglie non condividevano solo il nome, ma anche lo spirito con il quale interpretavano la loro vocazione. L’unificazione ha permesso alla famiglia birmana di ripartire, dando continuità all’annuncio del Vangelo in una terra difficile. Ma anche l’istituto di Udine ha ricevuto nuova salutare linfa. La storia di questo incontro e sodalizio è molto bella, persino sorprendente, frutto di generosità e fiducia reciproca. Suor Sandra del Bel Belluz, madre generale, era presente con la sorella birmana Cecilia Daw Daw, orgogliose di presentare la loro storia e la loro vita. Le sorelle birmane sono ora una settantina e svolgono un lavoro pastorale e missionario indispensabile in un ambiente dove, anche all’interno della Chiesa, accadono episodi e comportamenti poco rispettosi della dignità e della vocazione delle donne.

All’incontro in India erano presenti anche cinque sorelle Catechiste di Sant’Anna, in rappresentanza delle oltre 450 suore della congregazione fondata nel 1914 dal missionario Silvio Pasquali, nella stessa Hyderabad. Cominciata con sette ragazze, la comunità ha collaborato all’attività missionaria attraverso la promozione della catechesi, l’educazione dei bambini, l’assistenza ai malati, la vicinanza ai poveri, agli orfani e alle vedove. Le Catechiste di Sant’Anna, presenti anche in Tanzania e in Italia, promuovono l’educazione di migliaia di ragazze attraverso una settantina di scuole, collegi e case di accoglienza. Alcune studentesse, con bellissimi abiti tradizionali, hanno allietato con spettacolari danze una delle serate.

Tre missionarie provenienti dal Bangladesh hanno raccontato la storia della loro comunità, le suore catechiste del Cuore Immacolato di Maria Regina degli Angeli – conosciute più semplicemente con il nome di “Shanti Rani” (Regina della pace) – fondate nel 1951 da mons. Giuseppe Obert, vescovo di Dinajpur. L’Istituto conta ora circa 170 sorelle, ed è il secondo più numeroso in Bangladesh. In questi decenni, le sorelle di “Shanti Rani” hanno lavorato non solo come catechiste, ma anche come vere e proprie missionarie, raggiungendo i villaggi più remoti del Bangladesh, entrando in contatto con donne e famiglie inaccessibili ai missionari stranieri, e portando il Vangelo a persone che non lo conoscevano.

Le suore della Riparazione, nate nel 1859 per iniziativa di Carlo Salerio, sono state il primo Istituto femminile fondato da un missionario del Pime (allora Missioni estere di Milano). Con circa 600 sorelle, e ancora fortemente radicato a Milano, l’Istituto si è sviluppato in diversi Paesi, soprattutto in Myanmar, dove le suore sono arrivate nel 1995 su invito dei missionari del Pime. Oggi, con i loro servizi molteplici e qualificati nel campo dei bisogni sociali e della formazione scolastica, non solo sono la congregazione più numerosa, ma anche una delle protagoniste assolute della vitalità della Chiesa birmana, che sta risalendo la china dopo i durissimi anni della feroce dittatura militare.

Si discostano dalla linea delle congregazioni femminili e di impostazione catechistica i due movimenti fondati da padre Sebastiano D’Ambra, missionario ancora attivo nella tormentata isola di Mindanao, nelle Filippine. Si tratta di Silsilah ed Emmaus.

Il movimento Silsilah – che significa “catena” – è stato presentato, con l’entusiasmo, la simpatia e il coinvolgimento che i filippini sanno creare, dalla sua presidente Aminda Sano. Si tratta di un gruppo interreligioso (oggi riconosciuto anche come ong), nato nel 1984, nel quale musulmani e cristiani cercano insieme una via di pace, armonia e solidarietà. Il Villaggio dell’Armonia è un luogo per sperimentare non solo il superamento dei conflitti, ma anche la possibilità di vivere insieme, praticando sempre meglio la propria fede, in solidarietà con le persone più disagiate e nel rispetto del Creato.

Il movimento di dialogo Emmaus, fortemente collegato a Silsilah, è invece un’associazione cattolica di laici riconosciuta dalla diocesi di Zamboanga. Chi ne fa parte è chiamato alla vocazione al dialogo e alla preghiera per esso, in particolare con l’islam. La testimonianza di due donne, entrambe madri di famiglia, attivamente impegnate con Emmaus, ha colpito molto i partecipanti, specialmente quando hanno descritto la catena di preghiera continua per la pace e il dialogo, che coinvolge simpatizzanti in tutto il mondo.

Emmaus e Silsilah operano in una realtà drammaticamente segnata dal conflitto e dalla violenza, giustificata in termini religiosi. In quella zona tre missionari del Pime sono stati uccisi (Tullio Favali nell 1985, Salvatore Carzedda nel ’92 e Fausto Tentorio nel 2011) e due rapiti. La vocazione dei due movimenti risponde a una esigenza profonda e molto sentita del popolo filippino nell’isola di Mindanao. È ammirevole il coraggio degli animatori e dei volontari, che rischiano non poco per diffondere un messaggio davvero evangelico, ispirati dall’esempio e dall’insegnamento di padre D’Ambra, lui stesso sopravvissuto a diversi attentati.

Quello di Hyderabad è stato un incontro soprattutto – ma non esclusivamente – al femminile, che ha fatto emergere anche la difficoltà di operare, come donne, suore e comunità femminili, in società e in Chiese ancora afflitte dai mali del maschilismo, del paternalismo e del clericalismo. Gli episodi di discriminazione e persino di sfruttamento non mancano, come pure non mancano tra i leader della Chiesa coloro che sanno riconoscere, rispettare e valorizzare la presenza delle donne e delle religiose. È stato affermato, con forza, che se tutti i missionari sono chiamati a servire, le missionarie non sono serve di nessuno: «Non vi chiamo più servi, ma amici», ha detto Gesù. E l’amicizia è stata presentata, durante l’incontro, come uno dei nuovi nomi della missione.

A Hyderabad, si è cominciato un nuovo cammino innanzitutto di reciproco riconoscimento, che avrà certamente altre tappe. Pur vivendo in realtà molto diverse, le famiglie missionarie nate dal Pime hanno riconosciuto di avere una radice comune, e hanno trovato fratelli e sorelle su cui contare per rispondere alle impegnative sfide della missione oggi.