Ultima cena maya

Ultima cena maya

IL BELLO DELLA FEDE

Sulle sponde del lago Atitlán, tra gli altopiani del Guatemala sud-occidentale, riposano una dozzina di villaggi che hanno conservato con fierezza la lingua e i costumi maya delle loro origini, l’antica cultura tzutujil. A partire dalla metà del Novecento, nel paese di Santiago Atitlán si è sviluppata un’arte pittorica con un forte valore partecipativo. Si tratta di dipinti definibili naïf o primitivisti, caratterizzati da spontaneità espressiva, colori vivaci e realismo. Il contesto in cui nascono queste opere è un’esperienza collettiva sia orale sia visiva: un intenso dialogo tra la vitalità artistica dei giovani e la memoria culturale degli anziani, volto a conservare le radici e il rapporto tra generazioni.

Manuel Reanda nasce a Santiago Atitlán nel 1948. Dotato di un precoce talento artistico, trascorre un’infanzia serena anche se segnata dalla morte del padre e dalla povertà. A sedici anni, incoraggiato dal prete locale, inizia a lavorare con Juan Sisay, suo compaesano e artista già affermato. Dopo questa esperienza quinquennale e gli studi di arte a Città del Messico (1972-’73) diventa pittore di professione e insegnante. La produzione di Manuel Reanda è caratterizzata da colori brillanti, dalla serenità dei paesaggi che giocano con le tonalità dei blu e dei rosa, dalla dolcezza dei tramonti che costituiscono il tempo privilegiato delle tele. Tra i suoi numerosi soggetti pittorici, che comprendono scorci naturali, ritratti, scene di vita e rituali, si distingue una produzione a tema religioso che regala una sintesi dolce e originale tra tradizioni maya e cristianesimo. La pittura per Manuel Reanda è sia un gesto della memoria tributato alle proprie radici, l’antica e ricca cultura tzutujil, sia un mezzo per diffondere il Vangelo e testimoniare l’amore di Dio per le popolazioni indigene.

La sua “Ultima cena” è una serena e coloratissima scena lacustre, in cui ogni apostolo indossa l’abito tradizionale di uno dei dodici villaggi indigeni che attorniano il lago Atitlán; sul tavolo è disteso un tipico scialle femminile; sulle pareti sono appesi oggetti di uso quotidiano come la zappa (azadon) e le zucche per la raccolta dell’acqua (tecomates). Tutti questi particolari affermano, nelle intenzioni dell’artista, che gli apostoli sono uomini comuni. Poveri. Indigeni. E proprio per questo particolarmente amati da Dio.