Il piatto piange: la Cina rilancia la lotta allo spreco alimentare

Il piatto piange: la Cina rilancia la lotta allo spreco alimentare

Tra le conseguenze del Covid a Pechino c’è anche una maggiore attenzione alla sicurezza alimentare. In un Paese oggi alle prese con una contrazione della produzione agricola, mentre milioni di tonnellate di cibo continuano a finire nelle pattumiere delle sue metropoli

 

Da settimane Pechino accentua con insistenza la richiesta di valutare la sicurezza alimentare come una questione prioritaria. L’attenzione è triplice: in primis, per limitare gli sprechi – come evidenziato da una apposita campagna che coinvolge l’intera industria alimentare e della ristorazione; poi ci sono le prospettive di contrazione della produzione agricola e le difficoltà attuali a garantire la disponibilità; infine l’obiettivo di rendere maggiormente sicuro il cibo che finisce sulle tavole dei cinesi

Apparentemente aderendo all’Agenda Onu per “Fame Zero” entro il 2030, Pechino ha deciso di contrastare lo spreco alimentare con iniziative che gli esperti internazionali considerano comunque limitate, data l’estensione del fenomeno; a trainare lo spreco sono in parte le dimensioni della popolazione cinese (1,44 miliardi di abitanti), in parte le abitudini alimentari connesse ai nuovi stili di vita. Una ricerca condotta insieme dal Wwf e dall’Accademia cinese delle scienze mostrava già nel 2015 che in quattro metropoli di riferimento come Pechino, Shanghai, Chengdu e Lhasa, lo spreco aveva raggiunto tra i 17 e 18 milioni di tonnellate all’anno, cioè il cibo necessario per sfamare 50 milioni di individui. Uno spreco concentrato tra turisti, studenti elementari e medi, banchetti ufficiali. Un dato dell’Ufficio nazionale di statistica per lo stesso anno evidenziava uno spreco complessivo di 50 milioni di tonnellate, equivalente al fabbisogno annuali di 350 milioni di abitanti. Una situazione in contrasto con le abitudini tradizionali, ma anche con i criteri di frugalità stabiliti (sulla carta) dalla Costituzione cinese.

L’aumento degli sprechi di cibo dipende evidentemente anche da una maggiore disponibilità di generi alimentari. Dalla sua nascita – il 1° ottobre 1949 – la Repubblica popolare cinese ha incrementato di cinque volte la produzione di cereali, arrivando a un sostanziale equilibrio tra domanda e offerta. Ma questo risultato eccellente potrebbe avere già visto il suo culmine e la contrazione della popolazione rurale anticipa una necessaria ristrutturazione della produzione agricola nei prossimi anni. Necessaria anche per ragioni strategiche e di approvvigionamento. La sostanziale autonomia per prodotti come riso, grano e frumento non vale per la soia – essenziale nell’allevamento commerciale e di cui occorre importare grandi quantità, anche dagli Stati Uniti – e per buona parte dei semi oleosi, anche questi importati ogni anno per 100 milioni di tonnellate. Per questo i cinesi vanno sviluppando raccolti più redditizi e meno avidi di risorse, recuperando suolo, dove possibile, ma anche migliorando i sistemi di irrigazione e di sfruttamento meccanizzato.

Tuttavia abbondanza di cibo non significa che questa situazione continuerà per sempre; né – tanto meno – garanzie sulla sua qualità.  A ottobre 2019, l’ultimo “libro bianco” dell’Ufficio per l’Informazione del Consiglio di Stato ha confermato come l’attenzione ufficiale si vada spostando dalla disponibilità di cibo alla sua qualità, a partire quindi dal controllo più severo dell’alimentazione animale, soprattutto in settori determinanti come quello caseario e delle carni. Questioni cruciali che saranno utili all’elaborazione del nuovo piano quinquennale che seguirà quello in scadenza. All’inizio di agosto, il Centro nazionale per l’individuazione dei rischi per la sicurezza alimentare ha confermato che esiste la possibilità di contagio se l’ambiente di trasformazione degli alimenti è contaminato o se i lavoratori vengono infettati. Una conferma indiretta del ruolo dei wet market nell’esplosione del Coronavirus a Wuhan all’inizio della pandemia. Ma che contiene anche la richiesta ai partner stranieri di adottare misure più stringenti, di elaborare standard più rigorosi, di applicare sanzioni più severe per i trasgressori e di individuare le responsabilità nei casi di sofisticazione alimentare o contagio attraverso il cibo. Le autorità hanno dunque messo sotto i riflettori anche la logistica dell’industria alimentare interna legata alla catena del freddo.

Secondo Li Xingqian, direttore del dipartimento per il commercio estero del Ministero cinese del Commercio, le imprese del settore dovrebbero osservare le linee guida emanate in collaborazione dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) e dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) in questo momento particolare.

 

Foto: Flickr / Edwin Lee