Gesù e il Corano

Gesù e il Corano

Padre Salvatore Carzedda – ucciso a Mindanao nel 1992 – aveva studiato a fondo i testi musulmani su Gesù. Indicando in un libro alcune strade per un incontro reciproco

 

Martire della quotidianità del dialogo tra cristiani e musulmani. Attraverso il Silsilah, il movimento in cui era impegnato insieme a padre Sebastiano D’Ambra, nel difficile contesto di Zamboanga. Ma – a venticinque anni di distanza da quel tragico 20 maggio 1992 che vide l’uccisione di padre Salvatore Carzedda, proprio mentre tornava da un incontro comune tra cristiani e musulmani nella grande isola del Sud delle Filippine – c’è anche un’eredità specifica di questo missionario del Pime che vale la pena di ricordare: una serie di riflessioni che testimoniano come la sua vita donata non sia stato il frutto di un atteggiamento ingenuo, ma il punto di arrivo di un dialogo che padre Carzedda aveva preparato studiando con molta attenzione l’islam.

Era successo soprattutto negli anni tra 1986 e il 1989, quando i superiori lo avevano chiamato a svolgere un servizio per l’istituto nel seminario del Pime negli Stati Uniti. Padre Salvatore – che accettò con fatica questo periodo di distacco temporaneo dalle Filippine – volle cogliere quel soggiorno proprio come un’occasione per un approfondimento teologico sul tema del dialogo con l’islam: a Chicago, dunque, si iscrisse alla facoltà di Missiologia della Catholic Theological Union, oltre a frequentare dei corsi anche presso la Lutheran School of Theology. Ne nacque una tesi di dottorato intitolata The Quranic Jesus in the Light of the Gospel. Exploring a Way to Diaologue (Il Gesù del Corano alla luce del Vangelo. Ala ricerca di una via per il dialogo) che fu proprio il Silsilah a pubblicare in un libro, quando nel 1990 Carzedda rientrò nelle Filippine.

Centocinquanta pagine in inglese che rappresentano una testimonianza molto interessante su quale livello di profondità padre Salvatore avesse in mente come meta quando viveva i suoi incontri con i musulmani.

Il suo libro, infatti, è una ricostruzione rigorosa di quanto il Corano dice su «Gesù figlio di Maria», anche alla luce delle interpretazioni dei più autorevoli esegeti musulmani. Il missionario non si fermava però qui: studiando la visione islamica della nascita di Gesù, i nomi con cui è citato nelle diverse Sure, la figura di Maria, i riferimenti alla croce, Carzedda si poneva anche un domanda impegnativa. Vale a dire: appurato che il Corano parla di un volto diverso di Gesù rispetto a quello tramandato dai Vangeli, come deve porsi il cristiano di fronte a questa figura? «”Voi chi dite che io sia?” è la domanda intrigante di Gesù nel Vangelo – annotava -. Ma chi è il Gesù dell’islam?».

L’ipotesi su cui nel libro il missionario ucciso venticinque anni fa a Zamboanga fondava tutta la sua riflessione era molto forte: non pretendeva in alcun modo di annullare le differenze; però invitava cristiani e musulmani a prendere sul serio il «Gesù dell’altro». E in questo modo lasciarsi interrogare anche sul «proprio Gesù», per verificare se è davvero fedele a quanto rivelato dal Libro che ciascuno dei due considera come sacro. Proponeva espressamente che anche a questo tema fosse applicata la dottrima dei «semi del Verbo» che il Concilio Vaticano II riprese dai Padri della Chiesa per affermare la presenza di tracce della verità di Dio nelle religioni non cristiane. «I semi del Verbo – scriveva Carzedda, con una frase che probabilmente oggi scandalizzerebbe molti – devono essere stati seminati anche attraverso Muhammad nella “casa dell’islam”». Lo stesso discorso – aggiungeva però subito – vale anche per i musulmani in rapporto al loro sguardo sul Nuovo Testamento. Tanto più che – spiegava – il Profeta dell’islam «non conobbe il cristianesimo attraverso la posizione ortodossa della Chiesa»; quelle che rigettò furono «visioni di Gesù ampiamente condizionate da due eresie della Chiesa primitiva: l’adozionismo e il docetismo».

Di qui, l’auspicio: «I musulmani sul Nuovo Testamento e i cristiani sul Corano dovrebbero cominciare a fare i conti con una nuova comprensione di quanto i Libri Sacri rappresentano. Entrambi sbaglierebbero ad abbandonare la sfida del dialogo e l’esperienza dell’incontro a causa delle incongruenze tra le due fedi. Il mio tentativo è invece quello di facilitare una nuova comprensione e un nuovo ascolto reciproco, senza livellare le differenze tra le tradizioni religiose. E a guidarmi è la convinzione che il dialogo con l’islam è possibile e necessario per porre fine alle dolorose incomprensioni che vanno avanti da secoli».

È con questo sguardo che – in maniera analitica – nelle pagine del libro sono affrontati nodi teologici impegnativi come il mistero dell’incarnazione, la messianicità di Gesù, lo scandalo della croce, la definizione di Gesù come Figlio di Dio, il mistero della Trinità. In molti casi sono solo piste di riflessione che il dialogo all’interno del Silsilah avrebbe poi probabilmente portato a sviluppare ulteriormente.

Ma è interessante notare anche il legame che padre Salvatore – nei ringraziamenti all’inizio del libro – insieme ai tanti amici incontrati in dieci anni di ministero nelle della verità di Dio nelle religioni non cristiane. «I semi del Verbo – scriveva Carzedda, con una frase che probabilmente oggi scandalizzerebbe molti – devono essere stati seminati anche attraverso Muhammad nella “casa dell’islam”». Lo stesso discorso – aggiungeva però subito – vale anche per i musulmani in rapporto al loro sguardo sul Nuovo Testamento. Tanto più che – spiegava – il Profeta dell’islam «non conobbe il cristianesimo attraverso la posizione ortodossa della Chiesa»; quelle che rigettò furono «visioni di Gesù ampiamente condizionate da due eresie della Chiesa primitiva: l’adozionismo e il docetismo».

Di qui, l’auspicio: «I musulmani sul Nuovo Testamento e i cristiani sul Corano dovrebbero cominciare a fare i conti con una nuova comprensione di quanto i Libri Sacri rappresentano. Entrambi sbaglierebbero ad abbandonare la sfida del dialogo e l’esperienza dell’incontro a causa delle incongruenze tra le due fedi. Il mio tentativo è invece quello di facilitare una nuova comprensione e un nuovo ascolto reciproco, senza livellare le differenze tra le tradizioni religiose. E a guidarmi è la convinzione che il dialogo con l’islam è possibile e necessario per porre fine alle dolorose incomprensioni che vanno avanti da secoli».

È con questo sguardo che – in maniera analitica – nelle pagine del libro sono affrontati nodi teologici impegnativi come il mistero dell’incarnazione, la messianicità di Gesù, lo scandalo della croce, la definizione di Gesù come Figlio di Dio, il mistero della Trinità. In molti casi sono solo piste di riflessione che il dialogo all’interno del Silsilah avrebbe poi probabilmente portato a sviluppare ulteriormente.

Ma è interessante notare anche il legame che padre Salvatore – nei ringraziamenti all’inizio del libro – insieme ai tanti amici incontrati in dieci anni di ministero nelle Filippine, citasse anche padre Tullio Favali, il suo confratello missionario del Pime che era già stato ucciso l’11 aprile 1985 per il suo impegno in favore della giustizia. «Che il suo sangue, versato per la pace a Mindanao – scriveva Carzedda -, sfidi ogni cristiano a farsi carico del processo di pace attraverso il dialogo nella situazione di conflitto nella quale ci troviamo a vivere».

È quanto lui per primo aveva scelto di fare fino al punto di arrivare a donare la vita. Ed è la sfida che rende la sua domanda sul senso della presenza del mistero di «Gesù figlio di Maria» anche nelle pagine del Corano un tema quanto mai attuale per i cristiani di oggi.