I missionari del Pime tra Cina e Hong Kong

I missionari del Pime tra Cina e Hong Kong

L’intervento di padre Gianni Criveller, missionario del Pime e sinologo, al convegno “Un’altra Cina”: “La missione in Cina e a Hong Kong non è solo una storia trascorsa da rimpiangere; è anche un presente difficile e persino incerto; ed è anche un futuro per il quale impegnarsi e per il quale sperare”

 

Pubblichiamo il testo dell’intervento di padre Gianni Criveller al convegno “Un’altra Cina” tenutosi a Milano sabato 3 ottobre 2020 per iniziativa del Centro missionario Pime, del Seminario internazionale di Monza e dello Studio teologico Pime in occasione dei 150 anni dall’arrivo dei primi missionari dell’istituto nella Cina Continentale. Per rivedere il video dell’intero convegno clicca qui. 

Il mio intervento oscilla tra storia e attualità, tra situazioni di un passato irripetibile, e le vicende inquietanti e cariche di possibili conseguenze drammatiche del presente. La missione in Cina e a Hong Kong, per noi missionari del PIME non è solo una storia trascorsa da rimpiangere; ma è anche un presente difficile e persino incerto; ed è anche un futuro per il quale impegnarsi e per il quale sperare.

Il primo luglio 2020, solo tre mesi fa, con l’introduzione della nuova legge sulla sicurezza nazionale, la società, la chiesa e la comunità del Pime di Hong Kong sono entrati in una situazione completamente nuova, piena di incertezze, pericoli e preoccupazioni. Non è la prima volta che i nostri missionari sono davanti ad una grave difficoltà, e temono per la stessa possibilità di una continuità nell’evangelizzazione. La missione evangelica è portatrice di un messaggio di gioia e di pace, ma si scontra con opposizione, sconfitte, fallimenti e ripartenze. Non siamo dunque stupiti di trovarci oggi in un momento di difficoltà, anzi siamo contenti di condividere le ansie e le fatiche dei nostri amici e dei discepoli di Gesù della Cina e di Hong Kong. E non smettiamo di credere in Dio, che guida la storia provvidenzialmente, per quanto misteriosamente.

Per questo il titolo di questo Convegno, che il mio intervento conclude, si chiama “Un’Altra Cina”. E poi ancora: tempo di crisi, tempo di cambiamento. In un tempo di crisi lo siamo certamente, il cambiamento lo desideriamo con tutte le nostre forze.

Certo, spetta ai cinesi costruire il loro futuro. E tra loro abbiamo amici, e tanti fratelli e sorelle di fede, che hanno creduto al Vangelo grazie alla predicazione e alla testimonianza dei nostri predecessori e dei nostri confratelli ancora impegnati a Hong Kong. Anche i cristiani di Cina hanno diritto a contribuire all’edificazione del loro paese e della loro città. La loro fede li ispira non al disordine e alla ribellione, ma alla partecipazione responsabile al bene pubblico. Se tante persone che a Hong Kong si sono impegnate per la libertà e la democrazia provengono dalle comunità e dalle scuole cattoliche, è perché sono consapevoli della loro dignità di figli di Dio, del primato della coscienza e della vocazione battesimale ad impegnarsi a costruire una società veramente giusta.

Il mandato di Gesù di annunciare il vangelo non valeva solo per il passato; vale anche per il presente e per il futuro. Il nostro presente è oggi Hong Kong, una città che sta attraversando uno dei momenti più difficili e cruciali della propria storia. Non possiamo, in buona coscienza, prescindere da quanto i nostri amici di Hong Kong stanno vivendo. Noi speriamo di poter continuare ad offrire la nostra testimonianza evangelica a Hong Kong anche nel futuro.

La nostra presenza in Cina inizia proprio da Hong Kong, nel 1858: la città era una colonia britannica. Il loro primo leader è stato il missionario di Saronno Paolo Reina; poi è subentrato il milanese Timoleone Raimondi, che ha avuto nell’ottimo missionario bolognese Giuseppe Burghignoli il principale collaboratore.

A Hong Kong, la “Perla d’Oriente”, hanno operato 220 missionari. Fino al 1949 questa diocesi includeva ampi territori della provincia del Guangdong, nel continente cinese. Oggi 30 nostri missionari continuano il servizio missionario in questa meravigliosa città. La città di Hong Kong, giova ricordarlo, amministrata secondo il principio di “Un paese – due sistemi, e con alto grado di autonomia” è tornata sotto la sovranità della Repubblica Popolare Cinese già dal1997.

L’8 febbraio 1870, 150 anni fa, quattro pionieri delle Missioni estere di Milano, oggi Pime, lasciarono Hong Kong e, dopo una sosta a Shanghai, navigando lungo il fiume Yangzi raggiunsero Hankou (oggi parte della città di Wuhan). Era circa la seconda metà di febbraio, e si fermarono qualche giorno ospiti dei Francescani. Proseguirono in barca per un paio di settimane, poi due giorni a piedi per raggiungere Jingang (l’antica Jin Jia Gang, che divenne la famosa –almeno nel Pime- cittadella murata). Siamo al centro della Missione del Henan, il Vicariato apostolico affidato loro dalla Santa Sede l’anno precedente. Lì furono accolti da un gruppo di cristiani guidati da due sacerdoti cinesi. Le cronache riportano che c’era molta gioia. Era il 19 marzo 1870.

I quattro missionari erano Angelo Cattaneo, 26 anni, bergamasco; Gabriele Cicalese, 28 anni di Nocera inferiore; e Vito Ruvolo-Ospedale, 26anni, di Mazara del Vallo, che morirà purtroppo nello stesso anno. Il loro capo Simeone Volonteri, 39 anni, milanese, missionario ad Hong Kong dal 1860, un campione dell’evangelizzazione e un importante cartografo.

La storia del PIME in Cina è fatta di vicende esaltanti, dolorose e complesse. I protagonisti sono 263 missionari. Se includiamo le missionarie dell’Immacolata e i missionari di Hong Kong superiamo il numero di 500 missionari e missionarie. L’inizio a Jingang, che diverrà poi diocesi di Nanyang, è strepitoso: in soli 12 anni i pochi missionari milanesi raddoppiano il numero dei fedeli; fondano scuole; aprono seminari; soccorrono i poveri e chiamano le Canossiane a prendersi cura delle bambine, dell’educazione delle ragazze e delle donne, e della loro salute.

Vorrei spendere una parola sulle missionarie Canossiane, collaboratrici dei missionari del PIME a Hong Kong e in Cina: quest’anno ho avuto modo di studiare a fondo la loro vicenda, che è davvero impressionante. Sono arrivate a Hong Kong nel 1860, accompagnate da p. Burghignoli. Leggere le difficoltà dell’inizio, le incomprensioni e la poca attenzione verso di loro da parte delle missionari uomini, suscita un sentimento di grande considerazione per la qualità e il dono di sé di queste donne missionarie. Quando sono arrivate a Hong Kong, per difficoltà di comunicazione e per una certa dose di sciatteria che l’autorità ecclesiastica qualche volta ha verso le donne, non avevano un luogo dove abitare. Un’umiliazione che hanno subito con cristiana rassegnazione. La stessa cosa è successa –incredibile ma vero- al loro arrivo in Cina. Il vescovo che aveva tanto insistito per averle era fuori sede, e nessuno aveva preparato una casa per le missionarie. Eppure queste donne hanno fatto cose a dir poco strepitose per la salvezza delle bambine, l’istruzione delle ragazze e la promozione delle donne nella città di Hong Kong, in Cina e in tutta l’Asia.

Torniamo al Pime: le forze erano sempre inadeguate alle necessità, ma l’entusiasmo dei giovani missionari, trasmesso fino a noi dalle loro lettere, era contagioso. Un entusiasmo e una generosità in mezzo ad una situazione drammatica, fatta di frequenti carestie, inondazioni, brigantaggio, attacchi e guerre civili. A soffrirne era sempre la popolazione, in particolare le donne e i bambini, verso i quali i missionari e le missionarie si prodigarono con uno specifico intervento di salvezza e promozione.

La descrizione delle sofferenze patite dalla gente nelle lettere dei missionari impressiona moltissimo. La provincia di Henan è attraversata dal Fiume Giallo, le cui inondazioni devastano la vita di centinaia di migliaia di contadini. Molto drammatica fu l’inondazione del 13 e 14 giugno 1938, causata dall’apertura delle dighe decisa dalle autorità nazionaliste per contrastare l’avanzata giapponese. Devastò la città di Kaifeng e la zone intorno, seminando sofferenza e morte. Almeno mezzo milione di morti, milioni di senza tetto, e la distruzione di numerose “cristianità” fondate dai nostri missionari.

Fu l’esercizio della carità da parte dei missionari a far avanzare l’evangelizzazione. Molti si convertono commossi dal soccorso ricevuto dai missionari. È una lezione che vale sempre nella chiesa, anche oggi: ciò che porta le persone alla fede in Gesù è la testimonianza dell’amore. I missionari si rendono conto che le motivazioni di alcune adesioni non sono spiritualmente del tutto disinteressate. Ma è una legge costante dell’evangelizzazione: anche da conversioni inizialmente scarsamente spirituali si trasformano con la vita e la pratica cristiana. Da essere fioriscono vocazioni e provengono martiri.

Il martirio è una parte importante nella storia che andiamo narrando. Non è un incidente, una parentesi… è la condizione quotidiana della vita cristiana. I missionari non cercano la persecuzione, e non desiderano vedere le loro comunità soffrire. Costruiscono villaggi cristiani dove i fedeli siano al sicuro; in qualche caso anche delle vere o proprie cittadelle fortificate in grado di resistere agli attacchi. Avvenne così durante la rivolta dei boxers, o durante le violenze sistematiche dei Signori della Guerra. I confessori della fede e i martiri sono numerosi, sia tra i fedeli che tra i sacerdoti cinesi e i missionari.

Oltre a san Alberico Crescitelli nello Shaanxi, ai due uccisi a Hong Kong, il PIME conta in Cina sei martiri, uccisi nel 1941 e 1942 in Henan. Voglio ricordare il loro nome, per debito di giustizia e di rispetto: Antonio Barosi, Mario Zanardi, Bruno Zanella e Girolamo Lazzaroni e Cesare Mencattini (19 novembre 1941); Carlo Osnaghi, insieme al suo domestico, il 2 febbraio 1942.

Il Pime ha creato e guidato, nella Cina continentale, quattro vicariati poi diventati diocesi: tre nella provincia dell’Henan: Kaifeng, Nanyang e Anyang (conosciuta come Weihui); e una nello Shaanxi meridionale, ovvero Hanzhong, la missione di Alberico Crescitelli e del famoso fotografo Leone Nani. Ognuna di queste missioni ha dato alla chiesa numerose comunità di battezzati, martiri e confessori, presbiteri, religiose e religiosi. C’è stata la collaborazione delle missionarie canossiane, già menzionate, e quella delle Missionarie di San Giuseppe, fondate nel 1920 a Anyang (Henan) da padre Isaia Bellavite, dopo la devastante inondazione del Fiume Giallo. Occorrevamo donne capaci di entrare nelle famiglie, cosa proibita ai missionari, per soccorrere efficacemente le donne. Dodici ragazze aderirono all’invito di padre Bellavite, e diverse di loro sono morte di tubercolosi e affaticamento.

Nel 1949 la congregazione contava più di 70 sorelle, impegnate nell’ospedale della città, in cliniche e nell’orfanotrofio, oltre che nelle stazioni missionarie. Una ventina di sorelle anziane nel 1983 hanno ripreso il filo della loro vocazione, seguite da alcune giovani. Ora, parlo dell’anno 2020, la comunità è composta da 130 sorelle quasi tutte molto giovani, impegnate attivamente nell’assistenza sanitaria e nella vita della loro diocesi.

Ma torniamo alla missione del Pime in Cina non manca di limiti e difetti, essendo parte di un’epoca missionaria di luci ed ombre. L’affidamento della guida delle chiese al clero locale e l’inculturazione sono state attuate con grave ritardo. Ciò è dovuto a contraddizioni all’interno del mondo missionario e persino della Santa Sede. In qualche caso abbiamo un sentimento nazionalista di missionari, che ha dato adito ad un certo commistione tra missione e imperialismo, un problema che Benedetto XV ha voluto correggere con l’enciclica Maximun Illud del 1919.

Subito dopo, Pio XI inviò in Cina un delegato apostolico, Celso Costantini, che iniziò la sua missione cinese proprio da Hong Kong, essendo il vescovo Domenico Pozzoni, sempre del Pime, amico fidato del papa. Pio XI disse a Costantini che avrebbe dovuto fidarsi delle opinioni del vescovo di Hong Kong.

I missionari del Pime, in gran parte e nei suoi esponenti più significativi, furono risparmiati dal virus antievangelico del nazionalismo. Il vescovo Simeone Volonteri, fondatore della missione PIME in Henan, si al protettorato francese, ovvero alla politica imperialista. Volonteri la considerava più dannosa che utile. Denunciò la totale negligenza dei cosiddetti ‘protettori’ nell’adempimento del loro compito. Fu il primo, già nel 1881, a scrivere dalla Cina circa la necessità di un delegato ufficiale della Santa Sede a Pechino.

Anche il vescovo Stefano Scarella rifiutò il protettorato italiano sui missionari italiani in Cina. I missionari italiani in Cina, avversi al governo italiano anticlericale, erano preoccupati per la sorte del Collegio dei Cinesi di Napoli –la prima istituzione che accoglieva cinesi in Europa- che il governo di Roma decise di sopprimere. Ne scrisse Alberico Crescitelli, martire e santo, con amaro sarcasmo: “Non riesco a capire come il governo italiano abbia la faccia tosta di fingere di proteggere le missioni italiane in Cina. Una protezione dannosa per lo scopo per il quale siamo venuti qui.”

Timoleone Raimondi, vescovo di Hong Kong e procuratore per l’intera Cina, che visitò le missione in Cina per conto di Pio IX nel 1869, fu contrario al protettorato francese e a qualsiasi protezione straniera. Il nazionalismo era, secondo Raimondi, il cancro delle missioni. La protezione militare francese faceva un male immenso. Senza di essa, scrive a Roma Raimondi, avremmo cristiani e missionari migliori e più rispettati.

Nel 1885 papa Leone XIII inviò una delegazione in Cina, guidata da Francesco Giulianelli, missionario del Seminario Romano di san Pietro e Paolo, che nel 1926 confluì nel PIME. Giulianelli aveva il compito di stabilire contatti diretti tra la Santa sede e l’impero cinese. L’anno successivo il papa decise di stabilire relazioni diplomatiche con la Cina. Il 5 agosto 1886 la decisione venne pubblicata nella prima pagina dell’Osservatore Romano.
Il piano fu sabotato dall’invincibile opposizione francese. Papa Leone XIII “con le lacrime agli occhi”, dovette cedere alle pressioni della Francia. Fu, nelle stesse parole di Leone XIII, il più grande dolore del suo pontificato.

Anche il primo delegato apostolico Celso Costantini – in Cina dal 1922 al 1933 – ha dovuto superare l’opposizione della potenza protettrice. Le relazioni diplomatiche furono stabilite nel 1946, con l’arcivescovo Antonio Riberi come primo nunzio e John Wu Qingxiong, amico e collaboratore di p. Nicola Maestrini del PIME di Hong Kong, come primo ambasciatore. John Wu scrisse il bellissimo libro “La scienza dell’Amore”, dedicato a Santa Teresa di Lisieux, patrona delle missioni, che abbiamo ricordato due giorni fa.

L’avvento del comunismo e l’espulsione dei missionari sembra segnare l’ultima parola sulle cristianità fondate dai missionari del PIME. L’ultimo missionario del PIME in Cina, fratel Raffaele Comotti, lascia la missione di Nanyang il 31 maggio 1954.

Le “cristianità” fondate dal PIME hanno continuato a vivere nel travaglio della persecuzione: arresti, imprigionamenti, processi. La sorte dei preti e fedeli cinesi è, se possibile, ancora più dolorosa di quella dei missionari. La loro detenzione e la loro umiliazione è più lunga e devastante. Molti sono chiamati a confessare la fede di fronte ai tribunali del popolo, nelle carceri e nei campi di lavoro; alcuni sono chiamati al martirio. Le comunità cattoliche dell’Henan tentano di resistere all’imposizione della separazione della chiesa dal papa e il controllo da parte dell’Associazione patriotica.

Verso la fine degli anni settanta, dopo gli anni bui delle campagne politiche, si apre una nuova stagione, quella della “politica della libertà di fede religiosa”, inaugurata da Deng Xiaoping. Arrivano le prime notizie dalla Cina. Particolarmente commoventi sono state le lettere ricevute da p. Domenico Maringelli tra la fine degli anni 70 e gli inizi degli anni 80 dai suoi cristiani di Anyang. Esse furono raccolte in un prezioso libro da parte di Piero Gheddo. Anche i missionari del PIME Mario Marazzi, Giancarlo Politi – tra gli altri – curano la pubblicazione di una ventina di libri-testimonianza che portano al pubblico la conoscenza della vita dei cristiani durante gli anni buoi del silenzio.

Negli anni ottanta del secolo scorso i missionari del PIME riprendono contatto con le loro antiche comunità. Nel contesto delle libertà concesse dalle autorità, ci sono visite e permanenze in Cina, all’insegna dell’amicizia, dello studio e della carità. Non mancano ombre, divisioni e sofferenze. Ma ci sono anche segni di speranza: la vita delle comunità cattoliche riprende, si riaprono seminari e conventi, ci sono giovani preti e conversioni.

I missionari espulsi che hanno potuto, dopo quasi 40 anni, visitare i luoghi da loro evangelizzati, come p. Amelio Crotti, tornato con grande emozione a Kaifeng nel 1991. Le comunità cattoliche, anche quelle evangelizzate dal PIME, avevano resistito e stavano sperimentando una stagione di crescita.

Furono almeno una ventina i membri del PIME che si dedicarono alla studio della situazione attuale e ai contatti con le nostre “antiche missioni”, non per tornare al passato, ma per sostenere fratelli e sorelle nello sforzo di rialzarsi. Sono soprattutto due i missionari del PIME che si sono dedicati generosamente alla causa della Cina e al ristabilimento dei contatti con le comunità dell’Henan e dello Shaanxi. L’infaticabile Angelo Lazzarotto, -oggi 95enne, che sta spendendo i suoi ultimi anni nella nostra casa di rancio di Lecco- un uomo di dialogo e dai mille contatti. E poi Giancarlo Politi, -missionario a Hong Kong- già direttore di questo Centro Missionario e direttore spirituale del nostro Seminario, formidabile raccoglitore di notizie circa la situazione dei vescovi e delle chiese in Cina negli anni ottanta. Credo che fu per questa specifica competenza che fu richiesto a collaborare come funzionario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Abbiamo ricordato p. Politi due settimane fa nel corso del Congressino.

Nei primi due decenni del presente secolo i missionari si sono dedicati in Cina nel servizio a persone portatrici di disabilità, sostenendo organizzazioni non governative, fortemente inserite nel territorio, tra i quali p. Mario Marazzi. Alcuni dei nostri hanno soccorso persone povere, hanseniani, ammalate o senza tetto, con iniziative personali e di gruppo, in collaborazione con comunità di Hong Kong o di altre chiese locali. Altri si sono dedicati allo studio e all’insegnamento, offrendo presso università e seminari conferenze storiche e teologiche; scrivendo libri e studi specializzati.

Questo excursus storico, certamente sommario e lacunoso, spero che abbia mostrato che l’attenzione del PIME verso la Cina è viva e attuale, e si esprime nei modi possibili che le circostanze attuali permettono. E non possiamo che tornare ad Hong Kong, la città nella quale la nostra missione cinese è nata e nella quale ancora continua. Una città meravigliosa e amatissima: non solo ha paesaggi naturali bellissimi e l’architettura postmoderna e lo skyline più eleganti del mondo. Ancora più bella è la gente di Hong Kong, la sua resilienza e la sua dignità.

Nella chiesa cattolica di Hong Kong, senza il vescovo ordinario dal 3 gennaio 2019, si rischia – Dio non voglia – di aumentare la polarizzazione dei sentimenti e delle posizioni. Molti ci dicono che i missionari stranieri non avranno, in quanto tali, immediate conseguenze. Fino a quando?

La nuova legge sulla sicurezza nazionale, richiamata all’inizio, incombe su tanti ambienti cruciali della vita sociale, associativa e culturale, nelle scuole e nelle università. L’argomento ‘politica’ viene evitato nelle conversazioni pubbliche e nei social. Prima non era così. La Chiesa cattolica, nella quale operano i nostri missionari, vive un momento di difficoltà. Fino ad oggi le chiese erano chiuse a causa del coronavirus. La prolungata sospensione della vita liturgica e ecclesiale aumenta la sfiducia, la demoralizzazione e il senso di impotenza.

Ritengo un vero peccato quanto sta succedendo. Hong Kong aveva un significato straordinario: una città cinese, sotto l’autorità di Pechino, che viveva nella libertà e tendeva ad aumentare gli spazi di partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica. Non dimentichiamoci di Hong Kong, della sua gente, della sua chiesa e dei suoi missionari.