La Cina che tenne il suo Concilio a Shanghai

La Cina che tenne il suo Concilio a Shanghai

All’evento del 1924 parteciparono anche missionari di quello che sarebbe diventato il Pime. Fu sottolineato il valore di questo popolo e della sua cultura

Il 15 maggio 1924 la processione di apertura del primo Concilio nazionale della Chiesa cattolica in Cina fu un evento imponente e commovente. Una cinquantina di vescovi e una quarantina di sacerdoti di varie nazioni sfilarono nei loro paramenti solenni entrando nella cattedrale di Sant’Ignazio a Xujiahui nella città di Shanghai. Quel giorno l’allora vicario generale di Nanyang padre Lorenzo Balconi, missionario delle Missioni Estere di Milano (che due anni dopo, insieme al Pontificio Istituto dei Santi Apostoli Pietro e Paolo di Roma, avrebbero dato vita al Pime), tirò un sospiro di sollievo: «Ne avevo sentito ripetutamente parlare, ma credevo che ormai si fosse rassegnati a una dilazione sine die».

La pro­­po­sta di tenere un Concilio nazionale della Chiesa «in Cina e nei regni adiacenti» risaliva, infatti, già a settant’anni prima, suggerita dalle condizioni difficili e precarie che esistevano nelle missioni in Asia orientale. Per motivi politici e mancanza di convinzione, non si era però attuata, riducendosi a una visita apostolica di un legato pontificio, monsignor Celestino Luigi Spelta, negli anni tra il 1860 e il 1862.  La proposta era stata poi ripresa nel 1914 dal prefetto di Propaganda Fide, il cardinale Benedetto Gotti; a causa della guerra mondiale, però, si era nuovamente ridotta alla visita pastorale di monsignor Jean-Baptist Budes de Guébriant nel biennio 1919-1920. Fu poi il nuovo prefetto di Propaganda, il cardinale Willem M. Van Rossum, a passare all’azione, convocando per il 1922 incontri preparatori di questo Concilio. Nel frattempo la Santa Sede stabiliva nell’agosto 1922 la delegazione apostolica in Cina con a capo monsignor Celso Costantini, affidandogli tre specifici obiettivi: attuare questo Concilio, rinnovare l’apostolato e il metodo missionario e preparare l’erezione della gerarchia ecclesiastica in Cina.

Il nuovo delegato apostolico si mise subito all’opera: convocò per un mese a Wuchang, nella provincia dell’Hubei, 22 sacerdoti cinesi e stranieri, tra cui il sopra menzionato padre Balconi, per i preparativi immediati del Concilio. Così dal 15 maggio al 12 giugno 1924 l’evento poté essere celebrato. I delegati erano di diverse nazionalità e congregazioni religiose o istituti missionari e provenivano da tutti i vicariati apostolici della Cina. Tra loro spiccavano i due prefetti apostolici cinesi, monsignor Oderico Cheng Hede di Puqi e monsignor Mel­chior­re Sun Dezhen di Lixian. Seppure un po’ nascosti, vi partecipavano anche altri nove sacerdoti cinesi: l’inizio chiaro dello sviluppo del clero nativo in Cina.   

Dai vicariati affidati alle Missioni Estere di Milano c’erano i monsignori Giuseppe Tacconi di Kaifeng, Flaminio Bellotti di Nanyang e Martino Chiolino di Weihui. Da Hong Kong erano presenti il vicario capitolare Giovanni Spada  (che però – per una caduta sulla nave durante il viaggio – dovette passare qualche giorno in ospedale) ed Enrico Valtorta, invitato a lavorare nella segreteria perché abile stenodattilografo. Il posto di monsignor Antonio Maria Ca­pettini, del Pontificio Istituto missionario di Roma, vicario apostolico di Hanzhong allora convalescente, venne preso dai padri Ottavio Casuscelli e Luigi Rossi.   

Gli argomenti trattati coprirono tutti i problemi pratici della vita della Chiesa. L’intento era uniformare principi e opera pastorale, che – essendo decisi da responsabili provenienti da diverse nazioni e culture – si diversificavano. La formazione e il ruolo del clero ricevettero particolare attenzione, come pure il tema dei laici e delle associazioni laicali. Interessante è l’introduzione di canoni che sottolineano i molteplici aspetti positivi della personalità del popolo cinese, del suo patriottismo e della sua cultura, sebbene sommersi in una marea di dettagli legali.

Il Concilio stabilì varie commissioni esecutive, tra cui una per l’apostolato missionario. Il loro obiettivo era di promuovere un rinnovamento metodologico dell’evangelizzazione. Lo strumento più efficace per sostenere la nuova strategia fu la terza Commissionale sinodale, istituita con l’incarico di seguire i problemi dell’educazione che in quei tempi erano molto scottanti data la reazione negativa popolare, come pure le iniziative nel settore della stampa e dell’Azione cattolica. Diventò in breve tempo un laboratorio del rinnovamento delle missioni cinesi.  

La recezione di questi nuovi atteggiamenti fu accolta con gioia ed entusiasmo da parte dei cattolici cinesi, ma divenne oggetto di una certa opposizione da parte di elementi conservatori tra le file del clero straniero.

Anche la cerimonia conclusiva del Concilio del 1924 fu uno spettacolo memorabile: culminò nella consacrazione ufficiale della Cina alla Vergine, nella firma dei documenti finali del Concilio da parte di tutti i delegati e nel canto solenne del Te Deum di ringraziamento.  

Il Concilio è ricordato come un evento di primaria importanza nella storia della Chiesa cattolica in Cina: segni del suo successo furono soprattutto l’ordinazione episcopale dei primi sei vescovi cinesi, avvenuta in San Pietro a Roma il 28 ottobre 1926, l’abolizione del protettorato civile sulle missioni per mano di Pio XI il 15 giugno 1926 e l’importanza data alla formazione del clero locale con la fondazione a Pechino dell’Università cattolica Furen nel 1927.