La Corea, il Coronavirus e il mondo delle «mega-chiese»

La Corea, il Coronavirus e il mondo delle «mega-chiese»

La Shincheonji Church of Jesus – la setta religiosa che è stata individuata come l’epicentro del contagio del Covid 19 in Corea del Sud – è uno spaccato del fenomeno molto più ampio dei culti religiosi millenaristi in Corea del Sud. Accomunati dalla presenza di un fondatore carismatico, stretto controllo tra i membri, partecipazione e proselitismo accentuati

 

La cronaca di questi giorni indica con chiarezza che oltre la metà delle vittime sudcoreane del contagio da coronavirus appartengono o sono connesse a un culto millenaristico, lo Shincheonji Church of Jesus. La cattedrale del gruppo nella città di Daegu – la quarta del Paese come popolazione con i suoi 2,5 milioni di abitanti – è infatti il principale focolaio di un contagio che nella Corea del Sud ha coinvolto finora oltre 6.000 individui, con almeno 40 decessi.

A facilitare la diffusione è stata la coincidenza delle regole che impongono una stretta vicinanza tra gli adepti e la presenza di una rappresentanza coreana del culto nella metropoli cinese di Wuhan prima dell’imposizione del cordone sanitario che ha isolato la città a metà gennaio. Una circostanza negata solo parzialmente dal leader e fondatore del culto, Lee Man-hee (nella foto sopra) durante l’apparizione pubblica del 2 marzo in cui ha chiesto scusa per le sue responsabilità nell’inarrestabile diffusione del contagio in Corea del Sud.

Lo Shincheonji presenta tante delle caratteristiche tipiche di una setta: fondatore carismatico, stretto controllo tra i membri, partecipazione e proselitismo accentuati, ritualismo e testi specifici, assorbimento di tratti stranieri. Nello specifico di questa setta fondata nel 1984 si ritrovano molti elementi mutuati dal cristianesimo (ad esempio uno studio intenso della Bibbia per sei mesi prima di essere accolti nella comunità) e come altre simili iniziative ha una forte impronta millenarista.

«I culti promettono il Regno sulla terra e la fine imminente del mondo che apre a un cambiamento totale» secondo Tark Ji-il, docente di religioni all’Università Presbiteriana di Busan e esperto di una realtà religiosa che conta un centinaio di sette e culti in parte nati, in parte consolidati dopo la fine dei regimi dittatoriali alla fine degli anni Ottanta. La democrazia portò allora uno slancio religioso aperto al rinnovamento, come dimostrato anche dalla forte crescita della Chiesa cattolica, ma anche al recupero di istanze che in qualche modo, direttamente o indirettamente, erano state represse se non perseguitate.

La carica proselitista ma anche la coesione e la spregiudicatezza hanno caratterizzato anche in modo negativo la loro presenza, segnata da attività illegali e persino delittuose. Come è stato per la Chiesa evangelica battista coinvolta nel disastro del traghetto Sewol il 16 aprile 2014 con la morte di 306 persone, in maggioranza studenti in gita scolastica, dovuta a incuria e speculazione, o per la Chiesa della vita eterna la cui caduta in disgrazia per una vicenda di corruzione e tangenti ha trascinato con sé l’ex presidente Park Geun-hye e una parte della potentissima “cupola” industriale-finanziaria del paese.

Sotto accusa è in particolare l’onnipotenza dei leader – lo scorso luglio Shin Ok-ju, fondatore della setta millenarista Chiesa della via della grazia che aveva posto in sostanziale schiavitù centinaia di adepti è stato condannato a sei anni di carcere – ma i casi di assoggettamento, psicologico o sessuale sono tutt’altro che rari e ampiamente riportati dai mass media. Tuttavia le “mega-chiese” mantengono una presenza consistente in una società in cui i movimenti religiosi riescono ancora a proporre a una società contraddittoria e incerta sotto l’apparente coesione un orizzonte spirituale, partecipazione e benessere.

Il caso più noto in Occidente è forse quello della Chiesa dell’Unificazione, fondata nel 1954 dal “reverendo” Sun Myung Moon. Di matrice presbiteriana come altre sette che hanno acquisito tratti anglosassoni dalla presenza statunitense sul territorio dopo la Guerra di Corea, un po’ appannata dopo la scomparsa nel 2012 del fondatore e costretta una minore visibilità da sospetti e vicende giudiziarie che l’hanno coinvolta, resta con almeno un milione di adepti una realtà con attività molteplici, ampie possibilità finanziarie e riti esclusivi. Tra questi i matrimoni di massa tra individui selezionati dalla stessa “chiesa”. Ultimo quello che il 7 febbraio, pochi giorni prima che in Corea del Sud si manifestasse con una eccezionale virulenza il Covid-19, ha portato 6.000 coppie provenienti da 64 Paesi a partecipare alla cerimonia celebrata davanti a una folla di 30mila persone in occasione del centenario della nascita di Moon.