La forza della fragilità

La forza della fragilità

Oltre vent’anni di lavoro in Cambogia, specialmente con le persone disabili e gli ammalati di Aids. La Comunità missionarie laiche, sostenuta agli inizi dal Pime, racconta la sua esperienza di servizio

 

A dar vita all’ultimo progetto è stato un bambino disabile. «Si tratta di un ragazzo autistico. La mamma, una nostra amica cambogiana, ha girato tutte le scuole della capitale Phnom Penh senza trovarne una che potesse includerlo. Così ha deciso di avviare lei stessa una scuola per ragazzi autistici, la prima in tutta la Cambogia. Noi le stiamo dando una mano, collaborando con lei». Cristina Togni, 53 anni, bergamasca originaria di Prezzate di Mapello, il 13 ottobre scorso ha ricevuto il premio “Cuore Amico”, il “Nobel dei missionari”, per la sua attività ventennale in Cambogia con persone disabili. La motivazione sembra semplice, in realtà la vicinanza e la cura di persone con gravi disabilità, sia fisiche che mentali, è una vera rivoluzione culturale e religiosa, che nel Paese asiatico sta avvenendo solo in questi ultimi anni. Una rivoluzione partita dalla fragilità, perché spesso sono proprio le persone più deboli a innescare un cambiamento.

Cristina fa parte della Comunità missionarie laiche (Cml), un’associazione privata di fedeli nata nel 1989 nella diocesi di Milano con il sostegno del Pime, donne consacrate che si sono inserite nelle comunità via via incontrate, in Cambogia, Perù e Camerun, con uno stile semplice e fraterno, che punta più sulle relazioni che sulle strutture. Con il desiderio di comunicare una  “buona notizia”, una storia cominciata anch’essa dalla fragilità, in una grotta di Betlemme.

In Cambogia Cristina Togni è arrivata nel 1996, insieme alle due compagne Antonella Marinoni e Stefania Agatea, quando il Paese si stava appena riprendendo dal sanguinoso regime dei khmer rossi e versava in condizioni di profonda miseria. «Era la nostra prima destinazione, e in Cambogia non era possibile essere presenti come missionarie: questa è stata la nostra prima fragilità – spiega Cristina -. A partire dalle nostre professionalità, abbiamo cominciato a collaborare con l’organizzazione non governativa del Pime, New Humanity, in diversi settori, da quello sanitario a quello agricolo e, poi, educativo. Visitando i villaggi e le famiglie più povere ci siamo rese conto del forte bisogno delle persone con disabilità, soprattutto mentale».

I disabili sono stigmatizzati in molti ambiti della società cambogiana: la loro condizione viene vista come l’effetto di una colpa, commessa dalla persona stessa in una vita precedente o da qualche altro membro della famiglia. «Specialmente allora non esisteva nessun tipo di servizio – continua Cristina -. Quando vedi i bambini abbandonati nei cortili dei villaggi o legati in piccole capanne fuori dalle case, a mangiare dalle ciotole dei cani, non puoi non provare a fare qualcosa. Di fronte a questa grande necessità ci siamo semplicemente dette: “Cominciamo!”».

Da questa attività delle missionarie laiche, e di Cristina Togni in particolare, che è operatrice socio-assistenziale per persone disabili, nasce nel 2001 il primo centro di ospitalità diurna per bambini, giovani e adulti portatori di disabilità nel distretto di Kandal, con quattro insegnanti e otto persone con disabilità mentale. Nel 2005 a Kampong Chhnang, su richiesta del vescovo di Battambang, Cristina avvia un’iniziativa di educazione e cura rivolta ai disabili mentali che vede, per la prima volta, il coinvolgimento della popolazione e delle comunità locali nell’apertura di centri pubblici per la riabilitazione e per l’assistenza a domicilio. I centri diventano due, poi cinque.

Togni non lavora mai da sola, ma sempre collaborando e incoraggiando collaboratori locali ad assumere personalmente la responsabilità dei progetti. Nel frattempo anche la vita spirituale della comunità è coltivata con cura, così come la collaborazione con la Chiesa locale. Alle missionarie si affianca padre Mariano Ponzinibbi (morto dieci anni fa – ndr), allora referente del Pime nell’organizzazione New Humanity. «A Kampong Chhnang nel 2005 eravamo una piccola comunità fraterna: noi laiche, le Suore della Provvidenza, padre Mariano, lo staff di New Humanity cambogiano e buddhista e alcuni cattolici vietnamiti», racconta Cristina.

Oggi le difficoltà delle persone disabili in Cambogia sono ancora le stesse, ma sono nate diverse esperienze che provano a cambiare la mentalità e a offrire delle alternative. Oltre a seguire la prima casa-scuola per alunni autistici, avviata il 3 giugno scorso in collaborazione con la Chiesa locale, Cristina ogni lunedì aiuta una casa-famiglia nata sulla scia dell’esperienza dell’Arche di Jean Vanier: quattro anni fa una coppia francese ha dato la disponibilità ad avviare questo progetto, il primo del genere in Cambogia, con l’associazione cambogiana Action Cambodian Handicap. Oggi in questa speciale famiglia vivono già 13 disabili mentali, insieme ad altre persone normodotate, in un’ottica di condivisione e fraternità.

Per la sua esperienza nell’ambito della disabilità, Cristina Togni è diventata un punto di riferimento in Cambogia, ha collaborato con associazioni locali e internazionali e con le tre diocesi del Paese. Dal 2015 il suo servizio principale è in una scuola professionale per persone disabili presso il “Centro colomba”, creato dai gesuiti a Banteay Priep, non lontano da Phnom Penh, in una ex prigione e campo di sterminio dei khmer rossi, trasformati oggi in luogo di pace, giustizia e riconciliazione. «La scuola è nata dopo la fine della guerra per insegnare un mestiere ai mutilati a causa delle mine – spiega  Togni -. Oggi ha quasi 120 studenti. Negli anni le persone con disabilità fisica sono diminuite, mentre sono aumentati i casi di disabilità mentale: paralisi, schizofrenia, ritardo mentale, epilessia sono le patologie più comuni. Nel 2015 abbiamo iniziato la formazione con 8 disabili mentali e oggi gli studenti sono già diventati 20. Con loro sviluppiamo un percorso di due anni. Il primo ha come obiettivo la conoscenza di sé, l’autostima e la relazione con gli altri. Il secondo l’acquisizione di competenze: puntiamo a insegnare loro un mestiere e cerchiamo di capire se, a partire dalle proprie capacità, possono avviare una piccola attività economica per mantenersi».

Nel frattempo, l’attività delle missionarie laiche in Cambogia ha intercettato nuove fragilità. Paola Maiocchi, cha fa parte della Comunità, ha lavorato nel Paese dal 2001 al 2012 con i bambini ammalati di Aids, le disabili e i malati terminali. «Sono infermiera, e quando sono arrivata ho cominciato a lavorare con i missionari americani di Maryknoll che, insieme alle suore di Madre Teresa, erano gli unici a occuparsi  degli ammalati di Aids – racconta Paola -. Questa malattia faceva molta paura. Se l’avevi, era perché te l’eri meritata, per colpe tue o di altri: questo era il primo pensiero della gente nei confronti di queste persone, anche dei più piccoli. Consolare un bambino che si chiede cos’abbia fatto di male è stata l’esperienza più dura e dolorosa che ho vissuto in Cambogia».

Affrontare problemi così grandi con poche forze sembra impossibile. Anche in questo caso si è cominciato senza sicurezze e risorse: «Da qualche parte ho letto che la giustizia è fatta di scelte concrete – dice Paola -. Ci siamo dette: “È vero, sembra impossibile, ma cominciamo. Con questi dieci bambini”. Poi i piccoli ammalati di Aids che seguivamo sono diventati 20, 100, 150. Abbiamo iniziato una collaborazione con la Clinton Foundation e Bill Clinton è venuto in Cambogia a conoscere i bambini. Ma spesso sono state piccole somme inviateci da singole persone a farci andare avanti. A fine 2012, i piccoli che riuscivamo ad aiutare erano 600, fra quelli che vivevano in case-famiglia e quelli assistiti a domicilio».

Negli anni successivi Paola si è occupata anche dei malati terminali, quelli per i quali “non serve” spendere soldi. «In Cambogia le cure palliative non esistono – spiega -. Mi è capitato di dover tagliare una pastiglia di morfina in quattro, per dare un po’ di sollievo a più pazienti. Alcuni dicono che ci sono altre urgenze, eppure quando vedi un ventenne dilaniato dal dolore ti rendi conto che non c’è niente di più urgente. Noi, come Chiesa, possiamo anche smarcarci dai finanziatori e fare una scelta verso gli ultimi che nessun altro sta facendo».

Un altro ambito di impegno che si è aperto di recente per la Cml in Cambogia è quello dell’università: Valeria Spelta, laureata in Farmacia, lavora come tutor in un’università cattolica, l’istituto St. Paul di Takeo.

«Ci siamo sempre sentite provocate dalla fragilità, quella delle persone che abbiamo incontrato ma anche la nostra, perché, semplicemente, è la realtà a presentarcela – afferma Antonella Marinoni, membro della Comunità missionarie laiche, che in Italia ha sede a Busto Arsizio, in provincia di Varese -. Siamo convinte che una comunità laicale debba sentirsi interpellata da quelli che sono i segnali della vita, e rispondere per quello che è possibile, con gesti anche minimi. In più, siamo anche una comunità e quindi c’è una fraternità che va al di là della singola persona. Siamo insieme, ci aiutiamo. La vita ci ha messo a contatto con la nostra fragilità. Abbiamo incontrato noi stesse malattie serie, che ci hanno portato a ricalibrare il nostro impegno in alcuni contesti. E spesso abbiamo sperimentato la difficoltà a far capire che una realtà piccola, femminile, laicale, aveva qualcosa da dire, rimanendo nella sua unicità. La fragilità è anche economica: la comunità si sostiene con la messa in comune del lavoro di ciascuna. Credo che la precarietà ci abbia aiutato a sviluppare una diversa modalità di essere presenti, anche in missione, secondo uno stile molto incentrato sulle relazioni interpersonali, sul generare reti e collaborazioni, sviluppando un’attenzione agli altri, ma anche a noi stesse. La priorità non è il singolo progetto, ma ciascuna di noi rispetto all’appello che la vita ci fa, che il Vangelo ci fa».

Nel 2006 è nata un’associazione, “Cam to me”, che affianca la Cml: «L’abbiamo creata per dare forma e trasmettere in Italia quello che avevamo capito in missione – spiega Antonella -. L’obiettivo è sensibilizzare su temi come la solidarietà, la vicinanza, la fragilità della vita, il rispetto dell’altro, visto che lavoriamo con persone di altre religioni. Tanti amici giravano intorno alla nostra comunità, ma non volevano essere “gli aiutanti delle missionarie laiche”: abbiamo sentito che ci stavano vicino perché trovavano nella nostra esperienza qualcosa di importante per la loro vita. Quindi, la onlus è diventata uno strumento di intraprendenza per altre persone, oltre che di autonomia economica, per fare raccolta fondi in modo trasparente».

Lo staff con cui lavora Cristina Togni è totalmente cambogiano, e buddhista. «Rispetto i miei colleghi, vado alle loro feste, non cerco di convertirli – spiega Cristina -. Evangelizzare secondo me è comunicare il Vangelo con la tua vita, far capire attraverso quello che fai ciò che sei».