Pechino e la crisi del sangue

Pechino e la crisi del sangue

Negli ospedali cinesi il sangue sta finendo dopo che le autorità hanno soppresso il sistema di donazioni familiari con il quale ogni paziente arruolava un parente per donare sangue per le operazioni. La decisione è stata presa per contrastare il mercato nero del sangue, ma le tempistiche d’adozione della misura fanno discutere

 

Dalle sacche di sangue degli ospedali cinesi stillano le ultime gocce. La crisi dei globuli rossi dovuta al cambiamento del sistema di donazioni attanaglia ormai da settimane l’intero Paese. E Pechino è la città rappresentativa di questa impasse: proprio da qui, infatti, il sei febbraio è cominciato tutto, con l’autorità sanitaria della città che ha cancellato il sistema di donazione sostitutivo che permetteva ai pazienti sottoposti a interventi chirurgici negli ospedali di arruolare amici e familiari per donare il sangue necessario. Entro la fine di marzo l’abolizione del sistema di donazione sostitutivo – già estesa ad altre province – dovrebbe essere applicata a tutto il Paese, ad eccezione delle aree remote.

Ma la misura genera problemi. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, infatti, il cento per cento delle scorte di sangue in Cina viene raccolto proprio grazie a volontari non retribuiti, di cui una grandissima parte è rappresentata proprio dai donatori di famiglia. Queste figure sono previste da una legge degli anni Novanta che incoraggia ogni paziente a trovare un donatore personale per un intervento programmato o per le emergenze, anche perché altrimenti il sangue non basterebbe per tutti. Sempre gli ultimi dati dell’OMS sul tema (riferiti al 2011) rivelano che appena lo 0,92% della popolazione cinese ha donato sangue in modo completamente volontario, mentre per coprire la richiesta degli ospedali questa percentuale dovrebbe stare tra l’1 e il 3%. La differenza fino a oggi veniva coperta proprio da parenti e amici, secondo un metodo regolamentato a livello nazionale.

E allora perché sospendere un sistema che funziona? Ufficialmente le autorità hanno detto che finalmente in Cina i volontari stanno aumentando (senza però citare alcuna statistica), in realtà però sono in molti a pensare che la misura abbia a che vedere con il mondo sotterraneo di donazioni a pagamento che è da sempre legato al sistema familiare. Il metodo ha infatti favorito la nascita delle cosiddette “blood heads”, agenti che vendono le sacche a pazienti soli e disperati: un business che fa guadagnare in media 2000 yuan per 400 millilitri di sangue.

L’idea di attuare contro misure al mercato nero in sé potrebbe anche essere buona, ma le tempistiche di applicazione dell’ordinanza lasciano a desiderare. Mentre l’autorità sanitaria di Pechino dava l’annuncio, infatti, migliaia di pazienti in attesa d’intervento si sono trovati dall’oggi al domani senza il sangue necessario per le operazioni e hanno così riempito i propri account Weibo con delle petizioni per cercare di invertire la decisione. Anche il sito web della Croce Rossa di Pechino ha avvertito che – a seguito di questa iniziativa governativa – i livelli dei gruppi sanguigni A e 0 sono già molto bassi. Da parte loro, nelle ultime settimane le autorità di Pechino hanno creato dei centri mobili per favorire la donazione del sangue nelle strade e dei servizi di trasporto di sacche tra varie province ma queste misure non sembrano sufficienti per una società che necessiterebbe invece di una forte spinta informativa per incoraggiare le donazioni volontarie di sangue.