AL DI LA’ DEL MEKONG
La posta in gioco non solo per Hong Kong

La posta in gioco non solo per Hong Kong

Se il popolo di Hong Kong dovesse fallire o cedere alla tentazione della violenza, allora da nessuna parte si potrà più manifestare il proprio dissenso, perché prevarrà il regime di turno

 

La T-shirt è stata tolta dal mercato e le scuse ufficiali rese pubbliche. Così la casa di moda italiana Versace è corsa ai ripari dopo aver commercializzato una maglietta le cui scritte lasciavano Hong Kong e Macao senza “copertura”. Perché come Milano sta (sotto) all’Italia, così Hong Kong e Macao stanno (sotto) alla Cina. La sovranità nazionale del gigante asiatico su quei territori è un dato di fatto non negoziabile. Al punto che anche una maglietta può rivelarsi inopportuna ed essere ritirata dal mercato di tutto il mondo. Per non essere boicottati nel mercato più grande del mondo.

È solo un episodio del tutto marginale, a tratti surreale. Quello che invece sta avvenendo a Hong Kong – con l’ennesima dura repressione delle proteste in queste ore – è, al contrario, reale ed epocale. Ha a che fare con il futuro della civiltà umana. Perché non è in gioco solo la cancellazione della legge sull’estradizione in Cina, ma più in generale sono in gioco i paradigmi del pensiero che concorrono a definire l’umano e il suo destino.

Mi chiedo perché la gente di Hong Kong è terrorizzata da quella legge? Che cosa verrebbe meno, che cosa perderebbero? Che cosa c’è di là dalla frontiera di così inaccettabile al punto da spingere milioni di persone a scendere in piazza? Si tratta solo di quella legge?

E poi ancora, se la Cina è così sensibile alla propria sovranità nazionale, perché non è altrettanto attenta all’altrui sovranità nazionale? La Belt and Road Initiative che coinvolge più di 150 Paesi, non ha forse, come rovescio della medaglia, un’importante ingerenza cinese negli affari interni dei Paesi coinvolti? Può la Cina aver già usurpato l’altrui sovranità nazionale, ben più pesantemente di una semplice scritta su una maglietta? Ma allora perché tutti corrono a chiedere scusa alla Cina, pur di conservare l’accesso e la visibilità nel suo mercato, o si adeguano alle sue strategie geopolitiche – mentre, per le sue ingerenze e violazioni, la Cina non chiede mai scusa a nessuno? Bastano i flussi di denaro o di click a ricucire gli strappi e a soffocare il dissenso interno a questi Paesi?

Quel processo che va sotto il nome di sinicizzazione, non ha solo a che fare con le istituzioni, le geopolitiche, le economie, ma anche con l’Abc dell’umano. Con qualcosa che la gente di Hong Kong percepisce come essenziale e universale perché concorre a definire la natura dell’uomo. La natura delle cose, minacciate, in questo caso, da una progressiva “sinicizzazione della verità”. E qui non alludo solo alla verità dei fatti che accadono, spesso demonizzati dalle varie narrazioni diffuse a suon di click, ma alludo alla verità tout-court. Circa l’uomo, la sua natura più intima e ogni aspetto del suo vivere. Il problema dunque non è solo politico o economico. Non ha a che fare appena con il mercato della casa e del lavoro, ma con qualcosa di più profondo.

Anche in questo caso, nessuno è ingenuo da guardare solo a Est. Le superpotenze, nel corso della storia, si sono sempre date il cambio, e si sono sempre mosse con gli stessi obiettivi. Anzitutto compromettendo le libertà fondamentali e poi riducendo l’orizzonte dei significati. Perché «prima che un campo di gioco di pulsioni impersonali – scrive Umberto Galimberti – l’uomo è apertura al senso, e la sua libertà (…) si esercita nell’ampiezza di questa apertura». Quindi – continua – «prima che la piena esplicazione delle pulsioni, ciò che una società codificata teme e perciò reprime è un’eccedenza di senso rispetto a quello che essa è in grado di controllare». (1)

Non esito a definire le manifestazioni in corso ad Hong Kong come quell’eccedenza di senso che il regime teme. Ma se il popolo di Hong Kong dovesse fallire o cedere alla tentazione della violenza, allora da nessuna parte si potrà più manifestare il proprio dissenso, perché prevarrà il regime di turno che farà valere una qualsivoglia legge sulla sicurezza. A Hong Kong, proprio per i fronti in campo, si sta giocando una partita epocale per il futuro della democrazia come forma di civiltà. Da una parte una città nota a tutti, democratica, plurale e cinese, non una minoranza sconosciuta. Dall’altra ancora Cina!

Eppure, se il popolo di Hong Kong con i suoi numeri e la sua cultura democratica dovesse perdere, tutti perderanno. Tutti i popoli di questo mondo, per la gran parte meno evoluti di Hong Kong, verranno prima o poi messi a tacere da ragioni di Stato, con procedure di sicurezza sempre più lesive della libertà e della privacy individuali. Che ne sarà della pluralità di esperienze e pensieri, che da sempre nutrono l’eco-sistema umano?

Riconosco la sovranità della Cina su Hong Kong o su Macao, ma secondo gli accordi. E nondimeno, temo, a livello planetario, l’avanzare di un autoritarismo dispotico. E l’imporsi subdolo di un potere acefalo, del più ricco e del più forte, che divora tutto e onora solo il funzionamento efficace e redditizio dei propri sistemi. La posta in gioco dunque è immensa. Non solo per Hong Kong.

 

  1. U. Galimberti, La casa di psiche, Milano 2009, 139-140