Lo Yemen che non ci interessa già più

Lo Yemen che non ci interessa già più

Dopo l’emozione per le suore di Madre Teresa ieri in un bombardamento su un mercato affollato sono morte 107 persone. Superare davvero la globalizzazione dell’indifferenza vuol dire capire che è la stessa storia. E alzare la voce anche per «quelli che non sono dei nostri»

 

Veniamo da giorni in cui abbiamo ripetuto tutti il nostro sdegno per la scarsa attenzione che l’informazione ha dedicato alla strage di Aden, con l’uccisione delle quattro suore di Madre Teresa e di dodici altre persone che lavoravano con loro. Abbiamo puntato con forza il dito sull’indifferenza che ha circondato queste morti. E abbiamo fatto bene.

Solo che alzare la voce comporta sempre assumersi anche delle responsabilità. Perché se ci abbiamo messo la faccia poi non possiamo far finta di niente se quella stessa tragedia va avanti. E invece – purtroppo – è quanto sta succedendo di fronte a una notizia ancora più terribile giunta ieri pomeriggio dallo Yemen e che sta passando via come uno degli ordinari orrori delle guerre di oggi. Sono 107 infatti le vittime di un bombardamento su un mercato affollato, compiuto ieri nello Yemen dalla coalizione a guida saudita. 107 persone rimaste uccise tutte insieme in un mercato di al Khamis nella provincia di Hajjah. Pare che l’obiettivo fosse un convoglio di tre veicoli di ribelli houthi colpiti anche se si trovavano proprio nella zona del mercato. E non è nemmeno la prima volta che succede: una strage analoga, sempre in un mercato, aveva avuto luogo a Sana’a due settimane fa, pochi giorni prima dell’assalto alla casa delle Missionarie della Carità ad Aden.

Su nessuna prima pagina oggi abbiamo trovato la notizia delle bombe sul mercato. Anche sui siti di informazione stamattina bisogna scendere parecchio con il cursore per trovarla. Ecco: a noi piacerebbe che oggi ci stracciassimo le vesti nello stesso modo in cui abbiamo reagito per il silenzio sull’uccisione delle Missionarie della Carità. Perché è comodo alzare la voce quando vengono colpiti «i nostri»; è facile ergersi a voci che denunciano la «globalizzazione dell’indifferenza». Ma la sfida vera è farlo anche quando a essere colpite sono 107 persone che non avevano nulla di eroico, ma stavano semplicemente andando al mercato per provare a sopravvivere nel mezzo di una guerra che va avanti nell’indifferenza del mondo. Era per stare accanto a loro che le suore di Madre Teresa sono rimaste nello Yemen. E se declassifichiamo una notizia di queste proprozioni a un orrore tra tanti – comunque lontano da noi – alla fine vuol dire che abbiamo già dimenticato anche loro.

Ma c’è anche un altro motivo per cui i morti nel mercato della provincia di Hajjah dovrebbero scuoterci ancora di più della strage di Aden. Sono morti in un bombardamento aereo. E il nostro Paese – nonostante la guerra vada avanti da un anno e la legge italiana dica con chiarezza che è vietata la vendita di armi a Paesi belligeranti – continua a inviare rifornimenti di munizioni aeree all’Arabia Saudita e agli altri Paesi del Golfo impegnati in questo conflitto. A dirlo non sono solo i soliti pacifisti rompiscatole, ma gli stessi dati ufficiali dell’Istat che hanno certificato pochi giorni fa vendite di armi e munizioni dalla provicnia di Cagliari all’Arabia Saudita per 10 milioni di euro nel solo IV trimestre del 2015. Quella commessa era fatta di bombe per aerei. Le stesse che oggi vanno a finire sui mercati dello Yemen. Possiamo rimanere indifferenti? E possiamo separare la memoria delle suore di Madre Teresa da tutto questo?