Pakistan, la vittoria di Imran Khan

Pakistan, la vittoria di Imran Khan

Dai primi dati l’ex campione di cricket sembra aver fatto il pieno alle urne nel voto di ieri. Ma restano molti punti di domanda sul suo populismo islamico

 

Il voto di ieri per il rinnovo dell’assemblea nazionale e delle assemblee provinciali in Pakistan potrebbe avere segnato quella svolta che non soltanto i gruppi di opposizione, ma anche la società civile pachistana cercavano da tempo. Ma a prima vista sembra una svolta verso un’identità islamica più radicale che solleva qualche perplessità anche all’estero.

Ci vorrà tempo prima di arrivare a un risultato ufficiale, sempre che le accuse di brogli e di regia militare della consultazione elettorale sollevate da più parti non spingano le autorità a una revisione o un annullamento del voto. Ma stando ai dati già disponibili, per il secondo Paese al mondo come popolazione musulmana sta emergendo un vincitore certo e una prospettiva diversa.

In grande vantaggio sarebbe il partito islamista Tehreek-e-Insaf di Imran Khan, ex campione di cicket, ex playboy poi convertitosi a un islamismo radicale sul piano legale e morale quanto aperto su quello sociale e non ostile per principio a quell’Occidente in cui è vissuto a lungo e di cui spesso segnala valori e risultati. Con 120 seggi al momento a lui attribuiti su 274 in palio nell’assemblea nazionale, Tehreek-e-Insaf ha superato di slancio la Pakistan Muslim League-N, la forza politica finora maggioritaria e che si ritroverebbe più che dimezzata con soli 61 seggi.

Il partito che ha come ispirazione un islam moderato e dialogico – sempre più però sotto il tiro degli estremisti – ha pagato pesantemente la fama di corruzione e malgoverno, come pure la recente condanna a 10 anni di carcere in base a rivelazioni emerse dai Panama Papers del suo leader storico e più volte primo ministro, Nawaz Sharif. Il fratello Shehbaz Sharif, a sua volta governatore del Punjab, la provincia più popolosa del grande Paese asiatico, non ha saputo cambiare la percezione generale. Un problema che ha riguardato anche l’altro grande concorrente, il Pakistan Peoples Party, guidato da Bilawal Bhutto Zardari. Un movimento progressista nei programmi, che però risente insieme dell’inesperienza del ventinovenne leader, degli ideali e del prestigio della madre Benazir Bhutto e del nonno Zulfikar Ali Bhutto, ma anche del nepotismo e malaffare che il padre Asif Ali Zardari, già businessman e premier, sembra incarnare agli occhi dei pachistani.  Al Ppp, se confermate le prime stime, aldrebbero 40 seggi.

Su Imran Khan, che ha fama di onestà e pragmatismo, si è registrata la convergenza di molti settori della società pachistana e anche del potente apparato militare, che da tempo preme per un suo ruolo maggiore – che ha una sponda nella necessità di contrastare militarmente i gruppi jihadisti – ma non aspira a un potere diretto come è stato in passato per lunghi periodi. A Khan, come confermano anche fonti cattoliche locali, guardano con interesse le minoranze religiose che chiedono piena integrazione e sicurezza.

Il voto – che ha coinvolto 106 milioni di elettori su 210 milioni di pachistani – è stato segnato da una violenza che ha fatto centinaia di vittime, in molti casi firmata dal Daesh o dai talebani a cui la popolazione ha risposto con una affluenza alle urne superiore alla media.

 

Foto: Imran Khan durante un comizio (Flickr / Mustafa Moshin)