Robot al posto dell’uomo? Etiopia in cima alla lista

Robot al posto dell’uomo? Etiopia in cima alla lista

Uno studio dell’Università di Oxford ha misurato, nazione per nazione, la possibilità che nel 2016 il lavoro umano venga sostituito da macchine. Tra i primi della lista Etiopia, Thailandia e Nigeria: tutti Paesi dove, però, l’avanzata dei robot potrebbe essere distruttiva

Saremo sostituiti dai robot. La paura messa in scena da decine di film fantascientifici sembra ormai diventata realtà, almeno secondo una serie di ricerche maturate entro la prestigiosa università di Oxford dalle cui stanze nello scorso marzo proviene l’inquietante vaticinio: l’automazione sostituirà entro il 2035 il 47% del lavoro umano.

Secondo questo studio del professor Michael Osborne, il cambiamento riguarderebbe soprattutto i lavori poco qualificati, come camerieri, autisti e receptionist (che in Giappone alcuni alberghi hanno già sostituito con robot specializzati in check-in) ma anche direttori amministrativi e traduttori messi in crisi da algoritmi informatici sempre più intelligenti. Una ricerca del World Economic Forum parla di 5 milioni di posti di lavoro nel mondo soppressi nei prossimi 4 anni proprio a causa dell’automazione del lavoro. Anche alcuni settori specializzati (eccetto quello dell’informatica, ovviamente) temono l’ascesa dei robot: la finanza per esempio – che oggi è una materia calda per il mondo – guarda con sospetto la nascita di advisor hi-tech in grado di consigliare investimenti meglio di un consulente d’impresa; mentre un sistema di intelligenza artificiale potrebbe presto essere impiegato per effettuare diagnosi complesse in ambito medico.

Ma la trasformazione di portata epocale riguarda tutti ed è senza Paese tanto che stupisce la classifica, diramata dalla Citi and Martin School dell’università britannica, secondo la quale nel 2016 saranno proprio le nazioni in via di sviluppo ad essere maggiormente toccate da questa «rivoluzione» della manodopera.

In cima alla lista del Techology at work v2.0: The future is not what it used to be sulle nazioni più a rischio figura infatti l’Etiopia che ha una probabilità dell’85% di sostituire lavoro umano con i robot già entro la fine dell’anno. Tra i primi paesi anche la Cina (col 77%), Thailandia (72%), India (69%), Sud Africa (67%) e Nigeria (65%).

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Una buona notizia? Non proprio. La rivoluzione tecnologica – se già in Occidente crea problemi di disoccupazione – risulta ancor più distruttiva per i Paesi in via di sviluppo. Infatti coloro che operano nel settore industriale in queste nazioni sono soprattutto manodopera non specializzata e a basso costo, esattamente il profilo di lavoratori che gli automi oggi sono adatti a sostituire. Assumendo robot, la delocalizzazione delle imprese verso questi Paesi dal basso costo del lavoro – che hanno attratto tradizionalmente aziende manifatturiere – perde d’attrattività e con essa diminuisce lo spostamento dei lavoratori dal settore primario al secondario, obbligando i governi a studiare modelli di crescita alternativi.

Infatti, durante il XX secolo, l’adozione di nuove tecnologie è stata una componente essenziale nelle strategie di sviluppo delle nazioni. L’industrializzazione – spostando la produzione da prodotti ad alta intensità di lavoro ad attività ad alta concentrazione di capitale economico o umano, come i servizi di tecnologia dell’informazione e della comunicazione – ha permesso a molte economie (come Singapore, Sud Corea e Taiwan) di avvicinarsi ai ritmi di quelle occidentali. In questo senso l’automazione è per molti Paesi prematura perché ostacola la crescita e un possibile aumento di salari per i lavoratori.

Non è un caso che l’automazione toccherà proprio quei paesi di Africa e Asia già interessati da una certa concentrazione di capitale ma non ancora pienamente sviluppati, lasciando da parte gli Stati dalle economie più arretrate dove l’immediato futuro lascia ancora presagire una disponibilità di manodopera più conveniente dell’investimento nell’adozione di macchine.

Per limitare i danni dell’avanzata dei robot, dunque, servono investimenti nell’istruzione per garantire alla popolazione di procurarsi un lavoro meno soggetto ai cambiamenti portati dall’automazione. Altrimenti, i benefici portati dalla tecnologia toccheranno solo la classe alta di lavoratori escludendo dal progresso e penalizzando i poveri, il cui lavoro verrà sostituito facilmente da macchine intelligenti.