Coronavirus, la paura dell’India

Coronavirus, la paura dell’India

Per il momento i casi ufficialmente rilevati sono 425, concentrati soprattutto nel Rajasthan. Un numero esiguo per un Paese di 1,4 miliardi di abitanti, ma ieri si è svolta comunque una giornata di chiusura generale di tutte le attività. In caso di estensione del contagio preoccupa la divaricazione tra metropoli immense e aree rurali

 

Per un momento, venerdì 20 marzo, l’India ha recuperato l’interesse per un efferato caso di violenza di gruppo e la successiva morte della vittima, nota come Nirbhaya (l’Impavida) risalente al dicembre 2012. L’impiccagione all’alba dei quattro condannati per quel delitto che scioccò l’intero Paese è stata appoggiata da buona parte dell’opinione pubblica alle prese con una casistica di abusi sulle donne e i minori che sembra inarrestabile e che si è anche trasformata in una pessima pubblicità per il Paese asiatico nonostante l’impegno di settori della società civile e anche della Chiesa indiana.

L’evento ha però distratto solo temporaneamente una nazione che comincia a metabolizzare la minaccia incombente della pandemia finora esorcizzata dai dati ufficiali. Sono cinque finora i decessi e 425 i casi di contagio concentrati in maniera particolare nello Stato nord-occidentale del Rajasthan; un numero ancora esiguo su una popolazione che ormai contende il primato demografico a quella cinese avvicinandosi a 1,4 miliardi di individui. Tuttavia la coscienza del rischio si fa strada ogni giorno di più tra le autorità che chiamano alla calma ma insieme a un’opera di prevenzione. In un discorso teletrasmesso a reti unificate, il primo ministro Narendra Modi ha decretato una giornata di chiusura totale della nazione, avvenuta ieri domenica 22 marzo e chiesto alla popolazione di evitare l’assalto a negozi e centri commerciali.

L’immenso Paese asiatico ha una rete medico-sanitaria obsoleta, sottofinanziata, anche se con aree di eccellenza, tuttavia ha centri di ricerca e strutture efficienti per lo studio delle patologie e dispone di un’industria farmaceutica all’altezza della densità della popolazione. In particolare, dopo una battaglia durante molti anni contro “Big Pharma”, ha una vasta capacità produttiva di farmaci equivalenti o di elaborazione locale che si affiancano alla tradizionale medicina ayurvedica.

A supporto dell’attività degli ospedali, sono state aperte apposite linee telefoniche nei vari vari Stati e Territori e, a livello nazionale, attivati 57 centri per testare chi presentasse sintomi del contagio.

I timori maggiori riguardano la dicotomia sempre più accentuata in India tra aree urbane e rurali. Nelle metropoli i servizi sono messi alle corde dall’immensità dei bisogni e dalla densità di popolazione; nella campagne risultano difficili i controlli sanitari e gli interventi tempestivi a causa della distanza degli insediamenti da vie di comunicazione primarie e per la precarietà delle strutture sanitarie di emergenza.

Venerdì, il ministro della Sanità, Harsh Vardhan, rispondendo a interpellanze nella Camera bassa del Parlamento centrale, aveva confermato che il Paese attualmente non si trova davanti a una diffusione estesa del virus e che sono già stati approntati protocolli di intervento a vari livelli. Inoltre, gli esperti e scienziati locali sarebbero già al lavoro in contatto costante con le controparti internazionali. Ufficialmente, al momento non si riconosce un’emergenza, ma a livello governativo centrale e locale si preparano piani per affrontare una diffusione vasta del contagio coinvolgendo anzitutto il sistema sanitario e quello scolastico. La situazione mette a rischio anche lo svolgimento del censimento nazionale previsto nell’anno in corso.