Thailandia, tribunale dà ragione alla «fabbrica dei bambini»

Thailandia, tribunale dà ragione alla «fabbrica dei bambini»

Riconosciuta al cittadino giapponese Mitsutoki Shigeta “l’esclusiva genitorialità” su 13 bambini nati con pratiche surrogate. Una vicenda paradossale che crea un precedente pericoloso

 

Dopo quattro anni di battaglie legali e di un interesse crescente dei media, un tribunale di Bangkok ha riconosciuto al cittadino giapponese Mitsutoki Shigeta “l’esclusiva genitorialità” di 13 bambini nati con pratiche surrogate. Si tratta di una sentenza su una vicenda emersa nel 2014 e che portò il governo thailandese a bloccare l’anno successivo l’utilizzo di donne locali per garantire una prole a individui e coppie straniere. Ora questa sentenza non solo apre le porte alla concessione della custodia (non appena la magistratura avrà fatto apposita richiesta al ministero per lo Sviluppo sociale e la Sicurezza umana che ha in custodia i minori), ma crea anche un precedente di rilievo.

Nel 2014 il Paese fu sconvolto dalla notizia che i controlli sul Dna di nove bambini ospitati in un appartamento della capitale thailandese coincidevano con quello dell’erede di una delle più ingenti fortune del Giappone ma al tempo residente a Hong Kong. A questi le indagini associarono presto altri quattro piccoli, nati con certezza da madri surrogate. Il ritrovamento di quella che immediatamente venne indicata dai mass media come la “fabbrica dei bambini”, portò a scoprire la personalità complessa dell’oggi ventottenne Shigeta, che ha sempre dichiarato di voler dotarsi di una discendenza numerosa per potere condividere la sua fortuna. Ma portò alla luce anche una “industria” della maternità surrogata cresciuta in Thailandia a livelli di vera a propria “centrale globale”, facendone non solo un centro privilegiato di servizi di maternità “su commissione” ma anche un centro di diffusione in Paesi limitrofi. Una “industria” diffusasi poi con rapidità in Cambogia, Laos, Malaysia e perfino in Nepal e India. Al punto di attirare in strutture specializzate genitori potenziali e donne disposte a garantire la gestazione e la nascita di bambini non propri.

Shigeta, che non ha più potuto rimettere piede in Thailandia, pur continuando a seguire con partecipazione le vicende processuali, ha citato in giudizio il ministero per lo Sviluppo sociale e la Sicurezza umana per potere ottenere la custodia dei figli. La richiesta è stata accolta dai giudici del Tribunale minorile centrale di Bangkok che nella sentenza hanno sottolineato come “per la sicurezza e le opportunità che i 13 bambini potranno ricevere dal padre biologico che non ha trascorsi di comportamento negativo, la corte decide che i bambini nati con la surrogata saranno figli legittimi del querelante”.

La soluzione positiva per Shigeta – per quanto eccezionale e con tutte le perplessità che sta sollevando in Thailandia anche per la deriva nazionalista in atto oltre che per le evidenti questioni etiche – è stata sicuramente facilitata dalle possibilità economiche di Shigeta (che gli hanno concesso di predisporre locali e personale appositi per l’accoglienza dei figli in Giappone). Ma ha certamente giocato anche la mancanza di opposizione da parte delle madri surrogate che hanno firmato la rinuncia  a ogni rivendicazione.