Tokyo e i rifugiati degli Internet café

Tokyo e i rifugiati degli Internet café

Secondo uno studio del governo giapponese, solo a Tokyo i senzatetto che passano la notte negli Internet point sono più di 4mila: uomini, 30 anni, con un impiego regolato da contratti flessibili. I nuovi poveri del Giappone lavorano, ma non abbastanza per stare al passo della metropoli tra le più ricche al mondo

 

Entrano negli Internet café come se fossero degli avventori notturni di locali, pagano qualche yen per l’accesso alla connessione, si sistemano in una delle postazioni web e ci rimangono fino al mattino. Non hanno posta elettronica da consultare d’urgenza né altra necessità di girare per la rete. Semplicemente, in mancanza di una casa, gli Internet café aperti 24 ore su 24 sono diventati un’alternativa interessante che oggi è una routine per oltre quattromila persone a Tokyo.

A quantificare per la prima volta questo fenomeno – noto da qualche anno grazie a uno scatto del fotogiornalista Shiho Fukada – è stato il governo metropolitano di Tokyo in uno studio realizzato in una della città più sviluppate al mondo, che però non riesce a colmare il divario tra ricchi e poveri. Una disuguaglianza che emerge dunque anche da quest’ultimo rapporto realizzato su oltre 500 cybercafè notturni tra il novembre 2016 e il gennaio successivo e svelato dalle autorità giapponesi pochi giorni fa.

Tra i quindicimila che frequentano durante la settimana gli Internet point di Tokyo, i «rifugiati degli Internet cafè» sono ben 4mila. Dei clienti che hanno accettato di farsi intervistare per il sondaggio (circa trecentosessanta), il 90 per cento sono impiegati eppure circa un terzo ha spiegato di non avere una casa perché non ha un reddito sufficiente per pagarsi l’affitto. L’87 per cento di loro dichiara infatti di lavorare con posizioni part-time, impieghi temporanei oppure senza contratto regolare: il risultato è che il 47% nell’ultimo anno ha guadagnato tra i 100mila e i 150mila yen al mese (più o meno 750 e 1100 euro) e il 13 per cento anche meno. Secondo il sondaggio, infine, nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di uomini dei quali la fetta più grande (il 39%) è sulla trentina.

Il profilo del cyber rifugiato – della generazione dei millenials e senza posto fisso – non deve lasciar spazio a paragoni nostrani. Se infatti la crisi finanziaria del 2008 ha un suo ruolo nella formazione di questa nuova categoria di poveri, la situazione di Tokyo è un problema vecchio. Un lavoratore senza posto fisso guadagna qui in media 100mila yen ma un appartamento economico in città ne costa quasi 75mila. Inoltre, una persona senza contratto regolare per un affitto deve pagare cifre astronomiche (anche un milione di yen ossia 7mila euro) fra cauzione e commissioni d’agenzia, proprio perché non ha altri elementi di garanzia.

Proprio per questo sistema, gli Internet café aperti 24 ore al giorno con le loro postazioni di un metro quadrato, bagni con doccia e distributori automatici sono diventati un rifugio a buon mercato. Per dodici ore di permanenza si pagano tra i 10 e i 18 euro e ormai – vista l’aria che tira a Tokyo – i gestori hanno anche aggiunto la possibilità di acquistare pacchetti a lungo termine per i frequentatori abituali.

Alla luce dei risultati dello studio, le autorità giapponesi hanno spiegato che faranno di più per risolvere la questione e lo stesso si augura d’altronde Ren Ohnishi, presidente dell’organizzazione benefica Moyai Support Centre for Independent Living di Tokyio. «Il paradosso è che questi ragazzi non guadagnano abbastanza per ottenere un posto dove vivere, ma non hanno nemmeno i requisiti per accedere ai servizi di welfare previsti dallo Stato perché hanno un reddito. Questa è la realtà: occorre che la politica faccia una riflessione e aiuti i tanti che oggi hanno bisogno».