Yemen: la guerra di cui non parla nessuno

Yemen: la guerra di cui non parla nessuno

Lo Yemen è stato il paese con il maggior numero di attacchi violenti contro i civili tra gennaio e luglio del 2015, ancora più che la Siria. E adesso attira mercenari persino dalla Colombia. Eppure di questa guerra non parla nessuno


Venticinquemila raid aerei da marzo a oggi (circa 140 al giorno). In un conflitto che – secondo le stime delle Nazioni Unite – in pochi mesi ha provocato oltre 5500 morti, di cui la metà civili. Bombardamenti che hanno colptio matrimoni e monumenti di incomparabile valore. Ieri anche un ospedale di Medici Senza frontiere. Ben 12,9 milioni di persone (più della metà della popolazione) sono in condizioni di insicurezza alimentare. Eppure resta il più invisibile dei conflitti di oggi: della guerra in Yemen non parla praticamente nessuno.

Le Nazioni Unite hanno classificato la guerra in Yemen come crisi umanitaria di terzo livello, al pari di quella siriana, con oltre due milioni di profughi in fuga dal paese. Secondo l’ong britannica Action on Armed Violence (AOAV), che pubblica un report mensile sulle vittime – morti e feriti – di violenza nel mondo, lo Yemen è stato il paese con il maggior numero di attacchi violenti contro i civili tra gennaio e luglio del 2015, ancora più che la Siria.

«Abbiamo già troppe crisi da seguire», si dirà. E forse sarà anche vero. Però è un dato di fatto che nella «guerra mondiale a pezzi» – come la chiama papa Francesco – ci sono angoli dei quali è più sconveniente occuparsi. Perché la guerra nello Yemen è la guerra nel cortile di casa dell’Arabia Saudita.

Ricapitoliamo la situazione: 24 milioni di abitanti, con una maggioranza sunnita ma anche una forte comunità sciita concentrata nel Nord-Ovest del Paese, proprio ai confini con l’Arabia Saudita.

Nel 2011 arriva la primavera araba e anche qui ai sauditi non sfugge l’opportunità di liquidare Ali Abdullah Saleh, sciita. Il nuovo cavallo di Riyad e Washington diventa l’ex vicepresidente, il sunnita Abd Rabbuh Mansur Hadi. E inizia quella che ufficialmente dovrebbe essere una «transizione» alla democrazia e che invece giorno dopo giorno prende la solita via del precipizio verso la «guerra civile» con Riyadh e Teheran a sostenere le due fazioni.

Gli sciiti qui hanno il volto delle milizie houthi, che complice anche il malgoverno di Hadi e con l’appoggio di Saleh, dall’autunno scorso dilagano nel Paese. A gennaio arrivano ad assumere il controllo di Sana’a costringendo alla fuga il presidente.

Così – di fronte all’«instabilità» ai confini di casa – i sauditi mettono in piedi la coalizione sunnita che sotto la loro guida dal mese di marzo martella coi raid aerei le città dello Yemen. Questo ha permesso nello scorso mese di luglio alle milizie lealiste di riprendere il controllo di Aden, il grande porto del Sud del Paese.

Solo che il quadro – come sempre – in realtà è più complesso; perché da tempo l’Est dello Yemen era una roccaforte di al Qaeda. E il risultato è che adesso le bandiere jihadiste circolano liberamente per le strade di Aden, che in teoria dovrebbe essere tornata sotto il controllo del presidente riconosciuto dalla comunità internazionale.

È notizia di questi giorni che la coalizione guidata dai sauditi avrebbe reclutato centinaia di ex soldati Colombiani come mercenari per la guerra in Yemen. il canale televisivo panamericano  TeleSUR parla di 800 mercenari, attratti da un buon salario e da condizioni migliori rispetto alla guerra “domestica” combattuta dal governo colombiano contro le FARC, il gruppo armato colombiano che, tra l’altro, ha proclamato il cessate il fuoco proprio quest’anno. In Yemen i mercenari – ha riferito a TeleSUR un ex combattente – possono contare su un illimitato supporto aereo, un ottimo equipaggiamento e armi di ultima generazione. A dimostrazione, come se non bastasse, di quanto sia alta la partita e degli investimenti che le forze in gioco stanno mettendo in questa guerra.

Ieri Medici senza frontiere ha denunciato la distruzione di una struttura sanitaria nella provincia di Saada da parte di un raid aereo delal Coalizione a guida saudita. Due attacchi hanno distrutto in successione: gli uffici amministrativi, il reparto maternità, e infine il resto del centro. Per fortuna i pazienti avevano avuto il tempo di essere evacuati e non ci sono state vittime. L’ennesimo episodio a danno dei civili, che pagano il prezzo come non mai delle faide per il potere nell’area.