La fondazione del Seminario del Sacro Cuore e il suo impatto sul territorio e sulla vita degli alunni

La relazione del prof. Carmine Di Giuseppe, storico, al convegno tenuto il 10 giugno 2022 a Ducenta (Ce) nel centenario della fondazione del locale seminario missionario

 

Il Centenario del Seminario del PIME intitolato al Sacro Cuore in Ducenta, la cui fondazione sorpassa di molto la sua realizzazione storica e agli ambiti a cui lo ha relegato la storia ecclesiastica[1], è una ricorrenza densa di significato per questo territorio di Terra di Lavoro racchiuso nella diocesi di Aversa. È densa di significato, anzi, aggiungerei di significati, poiché non riguarda solo questo territorio ma tutta la penisola ed oltre. Ducenta, infatti, può essere ben definita come una “perla della carità”, per la presenza non solo del seminario missionario ma anche per la presenza di un’altra opera che la contraddistingue: il Cottolengo. In entrambe le istituzioni si esplica l’amore di Cristo come missione ad Gentes e come missione ad intra, ovvero per gli abitanti del nostro territorio, che quali membri della famiglia ecclesiale, come ultimi, richiedono cure e particolare protezione.

L’idea di fondare un Seminario missionario nel Meridione d’Italia, a Napoli per la precisione, è stata un forte desiderio di padre Paolo Manna, coltivato fin dagli anni della sua missione in Birmania. Nel 1907, costretto a tornare in Italia dopo la triplice esperienza birmana, scrivendo il 10 agosto, meno di un mese dopo dal suo rientro, a un suo amico, mons. Federico De Martino, vescovo di Caiazzo, gli propose di invitare l’episcopato napoletano a fondare Napoli un Seminario per le Missioni Estere, adottando per esso le regole e lo spirito del Seminario delle Missioni di Milano [2].

A Napoli, in realtà, un seminario, unico istituto per le missioni, c’era già stato. Si tratta del Collegio dei Cinesi fondato nel 1724 dal sacerdote campano Matteo Ripa. Egli era stato per lungo tempo missionario e legato pontificio in Cina e tra i primi a mettere in atto, in territorio cinese, le direttive della Congregazione De Propaganda Fide sulla formazione del clero indigeno fin dal 1632. Il Collegio napoletano era il più antico d’Italia dopo quello Urbano di Roma e Matteo Ripa lo destinò alla formazione di studenti di origine cinese da inviare come sacerdoti missionari in Cina, In India e in altri paesi dell’Estremo Oriente. Al Collegio fu associato anche un convitto per l’educazione di giovani napoletani tra i quali citiamo solo Sant’Alfonso Maria de’ Liguori.

Con l’Unità d’Italia, nel 1868, si tentò di sopprimere il Collegio, così come tante altre istituzioni ecclesiastiche meridionali quali confraternite, rettorie, ospedali, monasteri e conventi allo scopo, da parte del governo sabaudo, di incamerare i loro beni e poi rivenderli al miglior offerente. L’operazione, però, in questo caso, non riuscì e il Collegio dei Cinesi fu trasformato in Real Collegio Asiatico e, con la riforma ministeriale di Francesco De Sanctis, in quello che oggi conosciamo come Istituto Orientale, in cui fu soppressa la sezione missionaria, equiparandolo alle altre Università statali. È interessante conoscere la coincidenza che l’ultimo direttore spirituale dell’Istituto fu mons. Settimio Caracciolo dei Principi di Torchiarolo, il quale a trentasei anni fu eletto prima vescovo di Alife e poi dal 1911 di Aversa, che ebbe un ruolo importante nella fondazione del Seminario di Ducenta.

La ragione precipua che spingeva padre Paolo Manna a fondare un Seminario missionario a Napoli era quella di dotare l’Italia Meridionale e la Sicilia di un Istituto che non fosse “una congregazione religiosa, ove quei sacerdoti e chierici che si sentissero chiamati alla vita apostolica in terre straniere potessero trovare il modo di provare la loro vocazione e il mezzo per effettuarla”, nello stesso modo in cui operava il Seminario di Milano per i giovani dell’Italia settentrionale. Egli, infatti, scriveva che «nel nostro mezzogiorno abbiamo diocesi insigni, Chiese fondate dai santi Apostoli, o dai loro immediati successori, abbiamo una fede due volte millenaria che non ha mai defezionato, abbiamo tradizioni missionarie gloriose, e non mancano, anche in mezzo a noi, anime fervide a generare, capaci di eroismo… Perché dunque non entrerà anche il Mezzogiorno in questo glorioso arringo delle missioni…»[3].

Manna aggiunge anche un motivo di convenienza: il Seminario milanese è troppo lontano e quasi sconosciuto al sud, per cui «su 120 membri» c’è solo lui come meridionale; si sono presentati, nel passato, altri, ma non sono partiti per le missioni. Egli individua in tale risultato negativo una diversità di carattere e di formazione che contraddistingue i giovani meridionali.

Nella lettera a mons. De Marino possiamo notare che il suo progetto è esposto chiaramente e, anche se in breve, vi è tutta la linea ideale e operativa che sarà esplicitata a partire dal 1921 nel Seminario di Ducenta e dal 1943 nella Regione meridionale del Pime.[4]

Tale appello non ebbe seguito, ma egli non accantonò il progetto. Nel maggio 1909, infatti, scrisse a papa Pio X, che lo aveva ringraziato per la pubblicazione del volume Operari autem pauci, e gli propose, sull’esempio di papa Pio IX, che aveva ispirato i Seminari Missionari di Milano e Roma, di divenire promotore della creazione del “Seminario missionario per l’Italia meridionale” a Napoli, che sarebbe diventato un “dono dell’episcopato meridionale alla Chiesa e a Cristo” e un valido strumento per far apprezzare alle popolazioni del sud Italia il dono della fede e ispirasse parimenti “maggior zelo ed emulazione tra il clero”. Il pontefice rispose, purtroppo, che, pur lodando l’iniziativa, non era ancora il momento di agire, poiché era necessario “prima provvedere ai seminari per le missioni interne”.

La storia e la storiografia ci hanno insegnato, però, che nella maggioranza dei casi l’attuazione di particolari idee e progetti non avviene mai attraverso una progettazione universale, calata dall’alto, ma spesso parte ed è scritta da piccole iniziative locali che si inseriscono nella historia generalis, determinandone il corso scrivendola e riscrivendola. Ed è ciò che avviene, in un certo senso, per la fondazione del Seminario del Sacro Cuore a Ducenta.

Rileggere la storia di quegli anni, per la precisione tra la seconda metà dell’Ottocento e il primo quarto del XX secolo, ci porta irrimediabilmente a vederla e a meditarla come una provocazione di fede, di una fede che uomini e donne non vivono tiepidamente ma capace, in un contesto storico particolare, di far sviluppare una profonda presa di coscienza circa la vita cristiana attiva, ma in generale di tutta la capacità di vivere il Vangelo in modo non assuefatto, e soprattutto «circa la funzione ecclesiale di missione e propagazione del cristianesimo»[5]. In tale periodo storico si affina, infatti, una nuova sensibilità, un nuovo modo di vedere e leggere i problemi inerenti alle missioni; si diffonde, «in modo più evidente identificandola nelle condizioni delle Origini, la convinzione che la Chiesa non è Chiesa se non è missionaria».[6] Si tratta, di un nuovo modo di vedere, un risveglio possiamo dire stupefacente, poiché non solo cerca una nuova via per l’evangelizzazione ma agisce in modo determinante per sanare la stagnante situazione che si era prodotta a fine Settecento. Un primo importante passo si era avuto a partire dal 1850, quando per volontà di papa Pio IX, i vescovi lombardi fondarono a Milano l’Istituto per le Missioni Estere, che agì come centro propulsore per la fondazione di numerose istituzioni con finalità missionarie tutte dislocate nell’Italia centro settentrionale. Questo slancio di realizzare un rinnovamento religioso non era, però, completamente immune da una certa ambiguità, spesso inconsapevole, tra azione missionaria e azione colonizzatrice.[7]

In questo contesto, quindi, opera e agisce Paolo Manna. Egli nel 1916 fonda l’Unione Missionaria del Clero, che è la sua opera più geniale, definita da papa Pio XII quale «gemma della vita di padre Manna», che annovera tra i suoi iscritti anche Achille Ratti e Angelo Roncalli, i futuri pontefici Pio XI e Giovanni XXIII. Egli intendeva con tale opera, che fece conoscere tramite conferenze, articoli, viaggi da una diocesi all’altra, sensibilizzare il clero, esortandolo a superare una mentalità che distingueva tra la sollecitudine della propria diocesi e quella delle Missioni Estere, che portava a disinteressarsi di quest’ultime concentrandosi quasi esclusivamente nella cura delle Chiese di antica cristianità. Paolo Manna, infatti, insisteva sull’idea che non vi è alcuna distinzione tra vocazione sacerdotale e vocazione missionaria, poiché ogni sacerdote è ordinato per essere al servizio non solo della Chiesa particolare, ma di quella universale, principio ripreso nella Presbyterorum ordinis n. 12 e nell’Ad gentes n. 30.

La fondazione e l’opera dell’Unione Missionaria del Clero in Italia aiutarono la Chiesa a prendere coscienza che l’annuncio del Vangelo non era da considerarsi un monopolio di alcun ordine o di particolari congregazioni religiose, ma era principalmente un compito che competeva alla communitas christiana universalis e nello specifico a ogni singolo credente.

L’Unione Missionaria del Clero, anche grazie all’approvazione di papa Benedetto XV, che nel 1919, con l’enciclica Maximum illud, auspicò che fosse «istituita in tutte le diocesi dell’orbe cattolica», si diffuse rapidamente in tante diocesi, ma bisogna dire che ad Aversa l’organizzazione missionaria a favore della Propagazione della Fede era attiva almeno fin dal 1844; inoltre, dal 1906 al 1923 si pubblicò un Bollettino Annuale delle Pie Opere della Santa Infanzia e della Propagazione della Fede. Questa tradizione missionaria indusse padre Manna ad affermare, in seguito, che «se tutte le diocesi fossero così state ordinate, non sarebbe sorta l’Unione Missionaria del Clero».

Con tale Unione, inconsapevolmente, prese a concretizzarsi il suo progetto e l’insperato aiuto giunse proprio dalla diocesi di Aversa, dove l’Unione era stata organizzata nel 1917, che inviò al I Congresso a Roma, nel 1920, quattro delegati: mons. Luigi Grassia, presidente della sezione diocesana e canonico della cattedrale, il parroco di S. Andrea in Aversa, don Luigi Dell’Aversana Orabona, poi vescovo di Melfi e Rapolla, don Paquale Lanzano, che sarà il primo alunno sacerdote del Seminario di Ducenta, e don Nicola Gallo.

L’effetto prodotto dal Congresso e, in modo particolare, l’entusiasmo per il discorso rivolto ai partecipanti da papa Benedetto XV, i quali si erano impegnati, attraverso le parole del presidente dell’Unione, il Servo di Dio mons. Guido Maria Conforti, a essere «suscitatori di vocazioni», fece nascere l’idea che dovevano impegnarsi in prima persona per la realizzazione di un progetto missionario diocesano. I delegati aversani, quindi, soprattutto mons Luigi Grassia, durante il viaggio di ritorno da Roma, prospettarono l’idea non solo di impegnarsi pienamente a suscitare vocazioni missionarie ma di far sorgere sul territorio diocesano un seminario che le accogliesse. Relazionando sul congresso al vescovo, presentarono a mons. Caracciolo anche questo progetto, il quale lo accolse favorevolmente ma consigliò loro di pensarci attentamente e di presentare un progetto dettagliato.

Il 22 ottobre 1920, nella seduta del Consiglio diocesano dell’Unione, si discusse sull’attuazione del progetto e mons. Grassia manifestò l’intenzione di donare allo scopo il palazzo che egli possedeva in Ducenta, appartenuto in precedenza ai marchesi Folgori. Inizialmente il progetto era di realizzare un seminario diocesano, ma mons. Caracciolo, avvedutamente, ritenne che l’opera non avrebbe potuto sorgere senza coinvolgere la Congregazione De Propaganda Fide. Col permesso del vescovo, quindi, il parroco Dell’Aversana Orabona scrisse a mons. Guido Maria Conforti per chiedere il suo parere. Questi gli rispose il 27 dicembre positivamente e lo indirizzò a Propaganda Fide; nella stessa data scrisse anche al vescovo di Aversa. Mons. Caracciolo allora s’impegnò personalmente di prendere accordi con la Congregazione tramite il suo Prefetto il card. olandese Guglielmo van Rossum, che accettò la donazione e il 17 marzo 1921 fu firmato l’atto notarile. Scopo della donazione era di «venire in aiuto delle Missioni tra gli infedeli, specialmente italiane, le quali, per essere povere e sprovviste di mezzi finanziari, non possono provvedere al reclutamento e alla formazione di missionari mediante l’educazione in apposite case e collegi.»[8]

L’intenzione del donatore era che il palazzo e le sue dipendenze fossero adibite a sede di un collegio per l’educazione e formazione dei missionari. Nel 1926 don Luigi dell’Aversana Orabona acquistò, al prezzo di 15.000 lire, una dipendenza del palazzo marchesale e la donò al Seminario; nel 1931, il Pime comprò un altro terreno contiguo. L’anno dopo, nel 1932, le sorelle Carmela e Anna Di Martino, donarono una casa ad Aversa, in via Rainulfo Drengot 41 (detta “La Scalella), che divenne casa succursale di quella di Ducenta e dedicata al SS Redentore. Si tratta dell’antico Palazzo degli Orineti, che nel 1707 ospitò la regina di Polonia, vedova del re Giovanni III Sobieski.[9] Inizialmente accolse gli alunni del Ginnasio superiore che il Seminario di Ducenta non poteva contenere; dal 1937 accolse solo quelli del Liceo e dal 1947 solo i Teologi, trasferiti poi, nel 1957, a Gaeta. Durante la II guerra mondiale, negli anni 1944-46, fu requisita per ospedale militare e quando (1973) rimase vuota, a seguito dell’apertura della Sede regionale ai Colli Aminei, fu prima affittata e poi (6 maggio 1985) alienata a favore del Comune di Aversa, che la utilizza oggi come edificio scolastico.

Naturalmente, i promotori non conoscevano il progetto di p. Manna per Napoli ed egli non era al corrente di quanto accadeva in Campania. Propaganda Fide accettò la donazione del palazzo e il cardinale Van Rossum il 5 aprile scrisse a p. Armanasco, Superiore Generale delle Missioni Estere, per offrire all’istituto la direzione della nuova opera. Il Superiore accettò e scelse Paolo Manna come superiore del nascente Seminario del Sacro Cuore[10].

Manna arrivò a Ducenta il 23 agosto e vi celebrò la prima messa. Fu ospitato, però, nel Seminario diocesano, poiché nel palazzo non era ancora pronto nulla. I primi tempi furono tremendi e a tratti angoscianti, secondo quanto scrive nel suo diario a causa di «minacce, intimidazioni, inciampi, ore tormentose, incomodi di salute», cui si aggiunge una certa sofferenza per l’atteggiamento di alcuni eredi di mons. Grassia, che era morto il 4 novembre 1921. La situazione, però, non fu sempre negativa, anzi, man mano, migliorò sempre più. Il 10 ottobre 1921, infatti, nella cattedrale di Aversa p. Manna tenne una conferenza sul tema missionari e il nuovo seminario per le missioni alla presenza del Vescovo, del Capitolo cattedrale e di buona parte del presbiterio diocesano. Qualche giorno dopo, il 15 ottobre, si costituì in diocesi una Commissione esecutiva per collaborare con il seminario ducentese nella ricerca di mezzi e alunni presieduta dal decano del Capitolo, mons. Vincenzo Coppola. Questi diramò immediatamente una lunga circolare al clero diocesano, indicando le modalità per aiutare p. Manna: giornate missionarie parrocchiali, benefattori che si impegnassero a dare una quota mensile, impegno dei sacerdoti per sensibilizzare il popolo all’ideale missionario e soprattutto individuare ragazzi che mostrassero segni di vocazione.[11]

Tale attività fu sublimata il 3 novembre 1921 dal Breve pontificio Libenter admodum, che Benedetto XV mandò a p. Manna, col quale, compiacendosi «assai della Casa di Ducenta», invitò i vescovi e il clero meridionali, non solo a fomentare le vocazioni missionarie, ma anche a esortare «tutti i buoni ad aiutarle con la preghiera e con i soccorsi materiali».[12]

Molti accolsero l’invito e si adoperarono in tutti i modi per sostenere il Seminario; interessante, a tale proposito, fu la proposta di don Salvatore Del Bene di Sulmona, poi eletto vescovo di Cerreto Sannita, al Congresso dell’Unione Missionaria che si tenne a Napoli nel novembre 1922: quella di istituire in ogni diocesi meridionale una borsa di studio intitolata al santo Patrono[13].

Il seminario fu aperto ufficialmente il 15 dicembre 1921 con due alunni sacerdoti, don Pasquale Lanzano di Orta d’Atella, poi missionario in Cina (1889-1959), e don Vitaliano Rossetti di Casola di Caserta, uscito prima di partire per le missioni. Altre vocazioni entreranno nel primo anno scolastico, che inizierà ad ottobre 1922: Diego D’Ayala, missionario a Hong Kong (1900-1989), don Vincenzo Carpentiero, professore del seminario diocesano e poi in quello del Pime per oltre quarant’anni (1877-1963); Mario Vergara, di Frattamaggiore, beatificato il 24 maggio 2013; Pietro Manghisi, martire in Birmania e morto in concetto di santità (1899-1953); Pietro Galastri; Savatore Garzedda; Rinaldo di Valerio, rimasto in Italia per motivi di salute, ma utile alle case dell’Istituto (1894-1988); Ottavio Liberatore, missionario e procuratore della missione di Hong Kong (1901-1972). Nell’anno scolastico 1923-24 Ducenta mandò a Milano dieci suoi alunni maggiori per gli studi filosofici e teologici, mentre i ginnasiali superavano la trentina.

La fondazione del Seminario di Ducenta, naturalmente, non fu un’impresa facile da portare termine: fu necessario liberare l’edificio dagli inquilini che lo abitavano, operazione da svolgere con tatto e diplomazia per non creare antipatie, adattare i locali per la comunità, provvedere all’arredamento, e tanto altro. Il 29 ottobre 1928 fu benedetta la cappella dedicata Madonna della Speranza, dono della diocesi di Aversa, insieme al settecentesco altare marmoreo appartenuto agli Oblati Missionari che aveva la sua sede nella cappella dell’Immacolata della cattedrale[14].

In suo aiuto arrivarono da Milano p. Andrea Celanzi, come padre spirituale (1849-1934); p. Domenico Barbieri, come vicerettore (1895-1970); fratel Giovanni Foresti per i lavori di casa (1887-1960); e soprattutto il chierico Riccardo Rota (1902-1970), che sarà insegnante di lettere per tutta la vita e organizzatore di studi e di disciplina nei seminari del Pime. Vi si aggiungeranno, inoltre, don Giuseppe Ciccarelli di Trentola come insegnante, e don Giuseppe Sagliocco di Ducenta designato da Propaganda Fide come procuratore-economo del Seminario. Il collante di tutta questa squadra restò comunque p. Manna, che era sempre fermamente più convinto delle infinite possibilità che il Mezzogiorno italiano poteva offrire alla Chiesa per le Missioni.[15]

Nonostante le difficoltà iniziali – all’invito di Benedetto XV solo 11 su 130 vescovi aveva risposto inviando offerte (da 25 a 600 lire) – p. Manna non si scoraggiò e continuò nella sua opera già pensando alla fondazione a Napoli di un seminario maggiore per gli studi filosofici e teologici in modo da non dover più inviare studenti a Milano (questo argomento, però, richiederebbe un’altra relazione).

I decenni che seguono, però, alla morte di p. Manna (15 settembre 1952) vedono un andamento altalenante del Seminario di Ducenta. Nel quinquennio 1976-80, per mancanza assoluta di alunni, sono sospesi i corsi di scuola media e del Ginnasio Liceo (1976). Una breve ripresa si ha negli anni ’80 con la riapertura della scuola media, mentre dal 1987, i pochi alunni della scuola superiore frequenteranno il Ginnasio Liceo vescovile di Aversa.[16]

Il Seminario di Ducenta, però, non è stato solo un luogo per la formazione di sacerdoti missionari; è stato anche un luogo di aggregazione e di cultura e scambio interculturale nonché di formazione per tantissimi giovani. L’opera di p. Manna è stata essenziale e determinante per promuovere e creare nell’Italia meridionale un’espressione totalmente nuova di missionarietà, termine che oggi possiamo benissimo, a mio avviso, traslare nell’espressione “nuova evangelizzazione”.

La storia del Seminario di Ducenta, delle sue origini e del suo sviluppo, aiuta a comprendere meglio che cosa sia stato e cosa sia oggi il Pime e quali siano i sui compiti, ma aiuta anche a scrivere la storia di questo piccolo paese, all’epoca frazione di Lusciano e che oggi, insieme al paese di Trentola, forma il comune di Trentola Ducenta, e di tutta la diocesi di Aversa e per estensione di questo territorio a nord di Napoli e oltre.

Se dovessimo solo quantificarlo con dei numeri, per un’analisi statistica, possiamo ricordare che sono partiti per la missione 150 sacerdoti, di cui due sono stati eletti vescovi (Mons. Gaetano Pollio di Meta di Sorrento, vescovo di Kaifeng in Cina; poi espulso nel 1951 e trasferito prima a Otranto e poi a Sorrento; Mons. Arcangelo Cerqua di Giugliano in Campani, vescovo amministratore apostolico e poi primo vescovo residenziale di Parintins in Brasile dal 1956 al 1989) e tre hanno subito il martirio; più di 1500 giovani hanno ricevuto una formazione alla missione alla vita, che hanno, però, deciso di vivere come laici nella Chiesa formando delle famiglie.

Questi ultimi, alla frequentazione del Seminario del Sacro Cuore e alla formazione scolastica ivi ricevuta, sono stati “missionari” ante litteram sul territorio in un modo che andrebbe sul piano sociale e religioso maggiormente approfondito. Essi, infatti, dato il loro numero, con la costituzione di più di un migliaio di nuove famiglie, hanno contribuito con la loro esperienza formativa, con la loro memoria, fatta di racconti e aneddoti narrati alle nuove generazioni di figli e nipoti, a costruire sul territorio diocesano, a partire da Ducenta e dintorni, un substrato speciale per una coscienza della missione, secondo l’ideale di p. Manna, che andrebbe necessariamente recuperato a verbis ad res.

Rileggere la storia di questa fondazione deve, dunque, portare, naturalmente, a reinterpretarla e coniugarla, ancora oggi, con la coscienza di affrontare il presente aprendosi obbligatoriamente a un futuro di continua rinascita. La vocazione, infatti, ad gentes è la vitalità stessa della Chiesa, sia particolare sia universale, poiché l’una si compenetra nell’altra. È un servizio che non si esaurisce in un gesto o in una missione, non la si sceglie, si è scelti per esso.[17] La memoria di questo centenario, pertanto, come una impellente e necessaria provocazione di fede, che deve procedere contro ogni memoria con intenti puramente celebrativi e consolatori, chiede assolutamente che si riprenda la grande intuizione di p. Paolo Manna nel fondare un Seminario nel Sud Italia, cosa che è avvenuta con il Seminario di Ducenta, «perché essa nella sua parte più originale e dinamica non è stata mai attuata»,[18] e ritornare a formarvi uomini e donne, secondo la bellissima immagine lucreziana, et quasi cursores vitai lampada tradunt, come atleti olimpionici si tramandano la fiaccola della vita, per la necessaria evangelizzazione di questo terzo millennio del cristianesimo.

[1] V. Del Prete, Per un rilancio della «parola d’ordine» di p. Manna, in V. Del Prete, D. Mongillo, L. Orabona, Il seminario missionario di Ducenta. Un’idea, una storia, un futuro, Trentola Ducenta (CE) 1991, pp. 91-104, p. 93.
[2] P. Gheddo, Paolo Manna (1872-1952). Fondatore della Pontificia Unione Missionaria, Bologna 2001, p. 58.
[3] P. Manna, Il Seminario delle Missioni Estere per l’Italia Meridionale, Lusciano e Ducenta 1943, rist. 1965, p.8.
[4] P. Gheddo, Paolo Manna (1872-1952). Fondatore della Pontificia Unione Missionaria, cit., p. 59.
[5] L.Orabona, L’idea di Chiesa e i vescovi del Mezzogiorno nella storia dell’Istituzione, in V. Del Prete, D. Mongillo, L. Orabona, Il seminario missionario di Ducenta. Un’idea, una storia, un futuro, cit., pp. 27-60, p. 29.
[6] Ibidem.
[7] Ibidem, p. 32.
[8] P. Gheddo, Paolo Manna (1872-1952). Fondatore della Pontificia Unione Missionaria, cit., p. 130
[9] P. Manna, Il Seminario delle Missioni Estere per l’Italia Meridionale, cit., p. 30-31.
[10] P. G. B. Tragella, Un’anima di fuoco. P. Paolo Manna (1872-1952), Napoli 1954, p. 210.
[11] P. Gheddo, Paolo Manna (1872-1952). Fondatore della Pontificia Unione Missionaria, cit., p. 133.
[12] P. Gheddo, Paolo Manna (1872-1952). Fondatore della Pontificia Unione Missionaria, cit., p. 133.
[13] P. G. B. Tragella, Un’anima di fuoco. P. Paolo Manna (1872-1952), cit., p. 219.
[14] E. Rascato, Il Seminario Missionario di Ducenta e Padre Manna, Trentola Ducenta 2021.
[15] P. Gheddo, Paolo Manna (1872-1952). Fondatore della Pontificia Unione Missionaria, cit., pp. 136-137
[16] L. Orabona, L’idea di Chiesa e i vescovi del Mezzogiorno nella storia dell’Istituzione,  p. 53
[17] G. Buono, Presentazione, in V. Del Prete, D. Mongillo, L. Orabona, Il seminario missionario di Ducenta. Un’idea, una storia, un futuro, cit., pp. 21, 23.
[18] V. Del Prete, Per un rilancio della «parola d’ordine» di p. Manna, cit, p. 101.