AL DI LA’ DEL MEKONG
Per un nuovo inizio

Per un nuovo inizio

All’evento “La Repubblica delle Idee” per leggere la situazione di oggi dopo il Covid-19 Massimo Recalcati ha richiamato un’immagine suggestiva tratta dalla Scrittura, il gesto di Noé che dopo il diluvio pianta una vigna. Ma la Scrittura in realtà ci suggerisce un passo in più…

«…debitori del tempo, nell’effimero
spazio di una indifesa libertà,
esalano presto, scolorano
muoiono di se stessi» R. Barsacchi (1)

Ho ascoltato l’intervento di Massimo Recalcati in occasione dell’evento La Repubblica delle idee 2020 organizzato dall’omonimo quotidiano nazionale. Era inevitabile che il noto psicanalista si occupasse di covid-19 e dell’angoscia che ha causato a noi tutti, improvvisamente divenuti consapevoli di essere indifesi e padroni di nulla (2). «L’inatteso, l’inimmaginabile, l’impensabile – così ha definito il virus – ci ha capovolti e ribaltati da una posizione di potenza a una posizione di impotenza».

Al termine del suo intervento ha indicato un percorso per ricominciare fatto di relazioni, responsabilità e arte. Quanto alle relazioni, mai come ora è urgente superare la paura dell’altro inteso come potenziale untore, sempre in agguato e teso al contagio. Se «questo virus ha frantumato le nostre comunità», «bisogna ricostruirle mettendo al centro le nostre relazioni», iniettando «una quota di fiducia, di affidabilità nelle scuole, nelle nostre comunità». Rivolto alle imprese, ha quasi implorato di «ridurre gli obiettivi di profitto per dare spazio e valore alle relazioni».

Il secondo ambito indicato va sotto il nome di «responsabilità, come la forma più alta di libertà». Diversamente la libertà rimane in balia di se stessa, distruttiva. Quanto all’ultimo ambito, Recalcati ha chiamato in causa l’arte e gli artisti ché «sanno trasformare il trauma in una poesia e fare di ogni ferita una forma nuova della vita». Se da una parte «dovremmo lavorare con in resti…», dall’altra, Recalcati si è permesso un affondo sulla scuola, per auspicare un pensiero oltre le strettoie della mera sicurezza, «ma – ha chiesto – quale autorevolezza intellettuale ha questo ministro per ripensare la scuola dopo un simile trauma?».

Quanto all’arte, Recalcati ha richiamato un’immagine suggestiva tratta dalla Scrittura, il gesto di Noé dopo il diluvio che ha definito «gesto artistico» proprio perché dopo «il disastro ecologico», Noé ha avuto «il compito di ricominciare a vivere». «Qual’è dunque il primo gesto di Noé sopravvissuto, appena uscito dall’arca?». «Quello di piantare una vigna… – ha ricordato lo psicanalista – atto attraverso il quale si fa esistere il futuro…». «Nel gesto di Noé c’è un’impresa, abbiamo bisogno di tanti Noé per fa esistere l’avvenire a partire da ora».

In realtà però il primo gesto di Noé, appena sceso dall’arca, non fu quello di piantare una vigna – lo farà, certo, ma solo dopo, come raccontato in Genesi 9,20. Il primo gesto dopo il diluvio fu piuttosto quello di edificare un’altare al Signore (Gen 8,20). «Allora Noè edificò un altare al Signore; prese ogni sorta di animali mondi e di uccelli mondi e offrì olocausti sull’altare. Il Signore ne odorò la soave fragranza e pensò: «Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo…».

Pur apprezzando l’intervento di Recalcati, qui mi sembra giusto correggere il tiro perché la Scrittura, dietro questo venire prima dell’altare, nasconde ciò che da sempre appartiene alla coscienza credente di Israele e della Chiesa. E cioè che per quanto Noè sia stato posto all’inizio di questo nuovo inizio, non si è trattato di un inizio grazie a lui. Ma grazie a Dio. Noé non è l’origine del nuovo. Ed è così per ogni uomo che – scrive Petrosino – riflettendo su se stesso si trova «di fronte all’evidenza di qualcosa che precede ogni inizio» perché sente che la sua stessa vita non si dà da sé. Pertanto e sempre l’uomo «si trova esposto a quel prima dell’“inizio” che deve essere definito “origine”» (3). In quel primo gesto di Noé dopo il diluvio, edificare un altare, c’è il riconoscimento di Qualcuno che viene prima, e che di quel nuovo inizio è l’origine, il Signore Dio. A partire dal quale Noé potrà ricominciare.

E dunque, solo dopo aver sancito e celebrato questo legame con l’Origine, Noé pianterà una vigna. Sempre la Scrittura precisa che prima della vigna non solo venne edificato l’altare, ma anche stipulata l’alleanza con il comando a essere fecondi, a moltiplicarsi e a essere responsabili. Disse il Signore Dio a Noé, «domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo e, a ognuno, di suo fratello» (Gen 9,5). Solo dopo Noé «cominciò a piantare una vigna» (Gen 9,20).

In questo senso, potremmo dire che il primo gesto di Noé, edificare un altare, non è altro che pregare, cioè ancorare quel nuovo inizio ad un’origine divina e paterna. Pregare, sostiene altrove Recalcati, non serve ad altro che a iscrivere «la vita in un orizzonte… al di là di se stessa». «Il che a sua volta significa: “La tua esistenza è voluta e iscritta in una discendenza simbolica, la tua esistenza accade non come un fatto di natura – non è pioggia o vento – ma come un evento che cambia per sempre il senso del mondo» (4). Per non finire come coloro che «…debitori del tempo, nell’effimero / spazio di una indifesa libertà, / esalano presto, scolorano / muoiono di se stessi».

 

  1. R. Barsacchi, Marinaio di Dio, Firenze 1985, 27.
  2. Per ascoltare l’intero intervento clicca qui
  3. S. Petrosino, La scena umana. Grazie a Deridda e Lévinas, Milano 2010, 95.
  4. M. Recalcati, Ritratti del desiderio, Milano 2012, 43.