L’Africa che ha combattuto per gli europei

L’Africa che ha combattuto per gli europei

Solo nella Prima guerra mondiale, 200 mila fucilieri senegalesi sono stati sul fronte con l’esercito francese. Attraverso la storia di due amici, il romanzo «Fratelli d’anima» di David Diop ricorda il loro sacrificio

 

Alfa Ndiaye e il suo amico Mademba Diop sono amici fin dalla più tenera età. Sono cresciuti insieme in Senegal, allora Africa Occidentale Francese, e insieme si trovano, ventenni, in un campo di battaglia della Prima guerra mondiale, a combattere per la Francia. Loro, soldati neri, “cioccolatini”, sono chiamati a mettere a rischio la propria vita per una terra straniera e per un popolo di dominatori, del quale non parlano neppure la lingua. Un giorno, Mademba viene ferito: un soldato dagli occhi azzurri l’ha sbudellato con la baionetta, e il suo amico Alfa non riesce a dargli il colpo di grazia, malgrado Mademba lo supplichi di finirlo… Da questo momento, nella testa di Alfa scatterà la pazzia, alimentata dalla sete di vendetta per la morte dell’amico. È una storia avvincente sulla follia della guerra che lo scrittore francese di origine senegalese David Diop racconta in Fratelli d’anima, un romanzo uscito lo scorso anno in Francia. Vincitore del premio Goncourt des Lycéens (assegnato con il coinvolgimento degli studenti di 50 licei francesi), il libro esce adesso in italiano da Neri Pozza. Al di là della bellezza di questa narrazione, capace di incantare con il suo linguaggio e di svelare poco alla volta il complesso mondo interiore che lega i due amici africani, Fratelli d’anima ha il merito di portare alla ribalta un tema storico di cui poco si è parlato persino lo scorso anno, in occasione delle celebrazioni del centenario della fine della Prima guerra mondiale.

Gli africani hanno versato il loro tributo di sangue per la liberazione dell’Europa in entrambi i conflitti mondiali. Migliaia di giovani come Alfa e Mademba sono stati “carne da cannone” negli assalti lanciati dagli ufficiali bianchi. A Chemin des dames, nella regione francese dell’Aisne, soltanto il primo giorno di una sanguinosa battaglia, il 16 aprile 1916, persero la vita 1400 senegalesi. Gli africani morivano al fianco dei commilitoni francesi, falcidiati dalle mitragliatrici tedesche. Blaise Diagne (1872-1934), sindaco di Dakar e primo africano eletto nella Camera dei Deputati di Francia, aveva definito “macellaio di neri” il generale francese che aveva portato alla morte 7500 militi africani nell’Aisne.

Chi erano questi fucilieri senegalesi, che parteciparono in 200 mila al Primo conflitto mondiale, lasciando sul campo circa 30mila morti? All’origine di questo corpo, istituito con un decreto di Napoleone III nel 1857, c’è una storia bizzarra. C’è un governatore coloniale francese, Louis Faidherbe, che come tanti avventurieri e militari europei ebbe una storia d’amore con una donna del posto, dalla quale nacque un figlio. Una volta cresciuto, Faidherbe avrebbe voluto inquadrarlo nelle truppe coloniali francesi, ma essendo meticcio non era possibile. Così ebbe l’idea di un corpo di truppe africane, finalizzato non solo al mantenimento dell’ordine nella colonia, ma anche alla partecipazione alle imprese espansionistiche francesi. Erano gli anni della spartizione dell’Africa fra Francia, Inghilterra e Germania, e più marginalmente Portogallo, Spagna e Italia. Dopo il 1895, i fucilieri senegalesi sono coinvolti nella conquista del Madagascar e nell’attuale Marocco.

Il termine “senegalesi” trae in inganno: in realtà, il corpo non era composto esclusivamente da senegalesi, ma includeva neri provenienti da buona parte dell’Africa occidentale (i territori odierni di Mali, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Benin, Guinea, Mauritania, Niger). Come ha evidenziato lo storico Richard S. Fogarty, lo Stato francese – propugnatore dei principi di liberté, égalité, fraternité – non trattava tutti i suoi soldati allo stesso modo. In virtù di un’“antropologia del valore marziale” i fucilieri senegalesi erano considerati i migliori guerrieri in virtù di una loro anima selvaggia. In prima linea, fra le truppe d’assalto, ci finivano loro, insieme agli algerini. Gli indocinesi, invece, venivano messi nelle retrovie, perché erano considerati troppo piccoli e poco marziali. Non ci fu solo razzismo, secondo Fogarty: la guerra in Europa avvicinò fanti bianchi e neri, anche se raramente erano in grado di parlare di loro.

I fucilieri senegalesi hanno combattuto nelle fila dell’esercito francese anche nel Secondo conflitto mondiale. I nazisti disprezzavano questi soldati di pelle nera, che avevano già avuto l’occasione di affrontare nella guerra precedente. In alcuni episodi di eroica difesa del territorio francese, le SS ebbero l’ordine di non fare prigionieri, ma di fucilare immediatamente gli africani. Pur essendosi distinti per il loro valore, nel 1944 i sopravvissuti vengono rimpatriati con la promessa delle pensioni di guerra, che però non arrivano. Il 1 dicembre 1944 a Thiaroye, nei pressi di Dakar, i militari neri chiedono il rispetto dei loro diritti, ma ricevono in cambio pallottole dall’esercito francese, con il quale avevano combattuto. Ufficialmente restano a terra 35 fucilieri, ma altre fonti parlano di centinaia di morti. In seguito, per decenni i fucilieri senegalesi in pensione sono stati pagati meno dei commilitoni francesi. Non solo: dopo l’indipendenza del Senegal, chi non aveva la cittadinanza francese doveva risiedere almeno sei mesi all’anno in Francia per non perdere la pensione di combattente. Celebre il caso dei fucilieri di Bondy, una trentina di anziani senegalesi ai quali, in seguito a una petizione con 60 mila firme raccolte, è stato concesso da Hollande il passaporto francese nel 2017, proprio per ovviare a questo problema.

Nell’ottica di coltivare buoni rapporti, l’ultimo atto della Francia è stato l’inaugurazione a Reims il 6 novembre scorso del “monumento agli eroi dell’armata nera”, alla presenza del presidente Macron e del suo omologo senegalese Ibrahim Boubakar Keita, sul luogo dove era stato eretto un precedente monumento ai soldati senegalesi nel 1924, poi distrutto nel 1940 dai tedeschi, ai quali l’eroismo dei neri proprio non piaceva. È un piccolo gesto di grande valore simbolico, per non dimenticare il sangue dei 30 mila africani versato per la democrazia in Europa. In tempi di razzismo dilagante, è bene non perdere la memoria.