AL DI LA’ DEL MEKONG
«Prima che bruci Parigi»

«Prima che bruci Parigi»

Quanto è accaduto a Notre-Dame non riguarda solo la religione ma il mondo intero. E, più ancora, non riguarda solo la storia, ma l’eternità. Come la Pasqua di Gesù

 

« … Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore»[1]

 

Notre-Dame, Parigi, la Francia, l’Europa, il mondo intero, sembrano essere i cerchi concentrici propagatisi dall’incendio del 15 aprile scorso. Per molti solo retorica, parole sulla bocca di giornalisti che nella fretta del loro mestiere, devono sempre strappare lacrime e audience. Eppure sento che quanto è accaduto a Parigi non riguarda solo quell’edificio sacro semi-distrutto dalle fiamme, ma l’intera città. Non solo la città, ma la nazione. Non solo la nazione, ma l’Europa. Non solo l’Europa, ma il mondo intero. E, più ancora, non solo la religione, ma l’umanità tutta intera. Non solo la storia, ma l’Eternità.

Lungi da me ogni retorica, l’essere forzatamente solidale con il popolo francese oppure europeista a tutti i costi, da clima elettorale. In simili circostanze, un impeto del cuore mi impone di andare alla vera posta in gioco che per certi versi e paradossalmente, è stata illuminata da quelle stesse fiamme che sembravano volerla distruggere.

Ebbene, hanno senso quei cerchi concentrici se sono intesi come il propagarsi di un Mistero che da un centro arriva a toccare l’umanità intera. Non mi sarei permesso di chiamare in causa il poeta turco Nâzim Hikmet se lui per primo in una sua lirica non avesse tirato in ballo Notre-Dame e il suo rosone. Finché c’è ancora tempo e «prima che bruci Parigi» – scrive Nâzim in una sua intensa poesia d’amore – «vorrei una notte di maggio / una di queste notti / sul lungosenna Voltaire / baciarti nella bocca / e andando poi a Notre-Dame / contempleremmo il suo rosone / e a un tratto serrandoti a me / di gioia paura stupore /piangeresti silenziosamente / e le stelle piangerebbero / mischiate alla pioggia fine».

Vorrei anch’io in questi giorni andare fino a Notre-Dame e contemplarne il rosone. Perché lì, proprio al centro di ciò che temevamo potesse essere compromesso insieme a tutto il resto, abbiamo lei, la Madonna in trono con il Bambino.[2] E da quel punto, in un succedersi di immagini che hanno al centro il Mistero dell’Incarnazione, il rosone si allarga a cerchi concentrici (!) lasciando alla luce del sole di illuminare la navata centrale fino all’altare, proiettando i colori e la grazia del Cielo. È bene ricordarlo in questi giorni di fiamme, di fumo e di lacrime.

Ché quell’apparente retorica dei cerchi ci porta piuttosto al centro e dal centro, da Notre-Dame, da una donna con il suo bambino, si allarga e ci porta all’umanità intera, vera posta in gioco per la quale quel bambino è nato e quella cattedrale è stata costruita. Ci sono volute quelle fiamme per tornare a parlarne. Per ridirci che non avremmo avuto quel luogo sacro se prima Qualcuno, nella pienezza del tempo, non si fosse messo in gioco per l’umanità. Grazie a quella donna che ha partorito perché ha creduto.

Icona di cultura e di storia per tutto ciò che in essa è avvenuto, Notre-Dame è stata costruita e andrà ricostruita per quella stessa posta in gioco e per quella donna che ha portato in grembo la Salvezza. Inutile negarlo, è stato commovente udire il canto spontaneo dell’Ave Maria,“Je vous salue Marie…”,[3] di molti parigini e non, che di fronte al bruciare di ogni speranza, hanno cercato, lassù al centro del rosone, sopra la galleria dei re e in asse con il portale centrale, lei, la Madonna in trono con il suo bambino.

Lasciamo alle autorità competenti e ai tecnici l’onere di indagare su quanto accaduto. Sull’eventualità che l’incendio sia stato doloso o meno, sull’entità dei danni e sulle possibilità di ricostruire le parti distrutte dalle fiamme. Ciò che a me preme a pochi giorni dalla Pasqua e ricordare con Charles Péguy che «la fede è una cattedrale radicata sul suolo di Francia». Tutt’altro che morta, viva.

E se «viene un giorno, viene un’ora» in cui nulla basta più. Allora bisogna «rivolgersi direttamente a colei che è al di sopra di tutto. (…) La sola che possa parlare con l’autorità di una madre. Rivolgersi arditamente a colei che è infinitamente pura. Perché è anche infinitamente dolce. (…) Infinitamente accogliente. Accogliente come il prete che sulla soglia della chiesa va incontro al neonato fin sulla soglia. Il giorno del suo battesimo. Per introdurlo nella casa di Dio. A colei che è infinitamente ricca. Perché è anche infinitamente povera. A colei che è infinitamente alta. Perché è anche infinitamente discendente. A colei che è infinitamente grande. Perché è anche infinitamente piccola. Infinitamente umile. Una giovane madre. A colei che è infinitamente giovane. Perché è anche infinitamente madre. (…) A colei che è infinitamente gioiosa. Perché è anche infinitamente dolorosa. (…)

A colei che è tutta Grandezza e tutta Fede».[4] « … Finché ancora tempo, mio amore / e prima che bruci Parigi».

 

 

[1] Poesia di Nâzim Hikmet, Parigi 1958, in https://www.youtube.com/watch?v=OO_P1dOOOuU

[2] http://www.therosewindow.com/pilot/Paris-N-Dame/W-rose-Frame.htm

[3] https://www.youtube.com/watch?v=71xsPsVOe4Y

[4] C. Péguy, I misteri, Milano 2007, 193.