Ovci la Nostra Famiglia: quarant’anni con i disabili nel mondo

Ovci la Nostra Famiglia: quarant’anni con i disabili nel mondo

Cure, servizi e ausili di qualità per persone svantaggiate e marginalizzate nei contesti più difficili del pianeta. Ma anche un approccio comunitario, fondato sui diritti e la coesione sociale. Le sfide di oggi e di domani

Sei Paesi, tre continenti, 55 mila beneficiari: quarant’anni al servizio delle persone con disabilità. È un anniversario importante quello di Ovci La Nostra Famiglia (Organismo di volontariato per la cooperazione internazionale): quattro decenni di impegno in alcuni dei luoghi più difficili del pianeta e accanto a persone spesso marginalizzate e stigmatizzate. Ripercorrere questi quarant’anni significa dunque non solo fare un bilancio delle cose realizzate, ma attraversare anche tutte le faticose conquiste ottenute in termini culturali e di sensibilizzazione per combattere discriminazioni e violazioni dei diritti umani e per il riconoscimento del disabile come persona con un ruolo attivo nella società.

Sono processi tuttora in corso in diverse parti del mondo, specialmente là dove le condizioni di vita della gente sono ancora molto povere o ci sono conflitti in corso. Contesti in cui Ovci è presente e lo è sempre stata anche nei momenti più difficili e pericolosi, come in Sud Sudan, devastato per molti anni dalla guerra con il Nord e attualmente afflitto dal conflitto civile; o la Cina dove non sempre è facile operare. Attualmente Ovci è attiva pure in Brasile, Sudan, Ecuador e Marocco, dove porta avanti una lunga tradizione di impegno, ma anche un approccio sempre innovativo e creativo, adattato ai diversi contesti.

«Attenzione ai bisogni e capacità di dare risposte efficaci, condivisione delle situazioni e clima di fraternità e amicizia»: sono questi i principi che hanno sempre ispirato l’associazione nelle parole di quello che viene chiamato familiarmente il “presidentissimo”, ovvero Elio Cerini, che ha guidato l’associazione per ben 38 anni, rimanendo profondamente ancorato all’ispirazione e al carisma originario del beato don Luigi Monza, che fondò nel secondo dopoguerra l’Istituto secolare delle Piccole Apostole della carità, la cui opera principale è La Nostra Famiglia, riferimento in tutta Italia per la cura e la riabilitazione delle persone con disabilità, soprattutto in età evolutiva. «Servire con amore e sacrificio» era lo spirito di don Luigi, che amava ripetere: «Il bene deve essere fatto bene». Un bene che non poteva rimanere limitato all’Italia e che un po’ alla volta si è propagato ai «confini della terra». Nasce così, nel 1982, Ovci e sin da subito si caratterizza per «uno stile di apertura e fiducia nei confronti delle culture di tutto il mondo», precisa l’attuale presidente Claudia Corsolini.
«L’attenzione per il nostro prossimo – ricorda Cerini – nasce da un amore vigile e generoso e ha come misura il livello della nostra disponibilità». Il che si traduce in tutta una serie di progetti in cui «la gestione non deve trasformarsi in attivismo o improvvisazione. Occorre concretezza matura, consapevole e responsabile, occorre efficienza e professionalità, ma anche gioia della condivisione in un clima fraterno».

Le prime richieste di interventi all’estero arrivano alla fine degli anni Settanta all’allora presidente della Nostra Famiglia Zaira Spreafico, donna infaticabile e carismatica. Le risposte non tardano a venire: già l’anno successivo alla fondazione di Ovci, le prime tre terapiste partono per il Brasile, dove cominciano a operare presso il Centro di riabilitazione di Santana (Amapá), in collaborazione con l’Ospedale San Camillo e San Luigi di Macapá, strutture della Fondazione del dottor Marcello Candia, grande amico anche del Pime. E saranno proprio due missionari dell’Istituto, padre Luigi Brusadelli a Santana e monsignor Aristide Pirovano, vescovo di Macapá, a fare da referenti sul posto: il primo per l’apertura della Casa de Hospitalidade (Centro di accoglienza per bambini con disabilità) e successivamente per il progetto della Scuola agricola; il secondo per il programma di Marituba di cura dei malati di lebbra.

Sempre nel 1983, due collaboratrici partono per Juba, oggi capitale del Sud Sudan, che a quel tempo, tuttavia, era ancora unito – e in conflitto – con il Nord. È qui che, nonostante le moltissime difficoltà e i pericoli (che perdurano ancora oggi), Ovci ha creato il Centro di Usratuna (“La Nostra Famiglia” in arabo), seguito da molte altre opere tra cui il primo corso di laurea in Scienze della riabilitazione presso il St. Mary’s College.
L’anno successivo, è la volta di Esmeraldas in Ecuador, dove tuttora Ovci porta avanti un programma di sviluppo inclusivo su base comunitaria, che raggiunge con un sistema di visite domiciliari tutti e sette i cantoni della provincia, e gestisce un’officina ortopedica, dove si realizzano ausili e ortesi su misura, accessibili anche alla popolazione più povera.
Con Ovci muove i primi passi nell’ambito della cooperazione internazionale anche il dottor Alberto Cairo che lavora a Juba tra l’88 e l’89, per poi trasferirsi in Afghanistan dove continua ancora oggi a coordinare la riabilitazione in un ospedale della Croce Rossa per amputati a Kabul.

Nel 1995, dopo la prima missione in Cina, nasce l’International China Friendship Team in collaborazione con la Croce Rossa cinese per la formazione degli operatori del National Training Centre della Disabled Federation sui temi della riabilitazione: un passo importante per avviare una collaborazione che si è molto ampliata nel tempo.
Tra il 1999 e il 2000 vengono avviate nuove forme di cooperazione in altri Paesi, dove non sempre è facile affrontare i temi e i problemi legati alla disabilità: Sudan, Marocco e Palestina. In tutti questi contesti è stato fatto un lavoro importantissimo soprattutto a livello di formazione. E mentre nel 2006 termina l’esperienza in Palestina nel Centro di eccellenza per la medicina riabilitativa di Betlemme, nasce a Rabat l’Associazione genitori di bambini disabili Casa Lahnina (“Casa della Tenerezza” in arabo) e l’anno successivo viene organizzata la prima Conferenza nazionale sulla disabilità. Non solo: Ovci ha dato vita anche al Festival Handifilm di Rabat, una manifestazione culturale annuale che ha l’obiettivo di cambiare lo sguardo sulla disabilità attraverso la proiezione di cortometraggi,alcuni dei quali realizzati da studenti delle scuole superiori.

E se in tutti questi anni non sono mancate le difficoltà, anche le soddisfazioni spesso sono state grandi e imprevedibili: come il riconoscimento attribuito al Centro di valutazione e guida di Pechino che ha ottenuto il massimo punteggio dal ministero degli Affari civili per i servizi ai bambini con disabilità, con conseguente avvio di un progetto per riproporre lo stesso modello in altre quattro province-pilota della Cina.
E oggi? «Rendere accessibili cure, servizi e ausili di qualità a tutte le fasce della popolazione e alle persone con fragilità resta una priorità di Ovci – spiega la presidente Corsolini -. In molte parti del mondo, le persone con disabilità, e specialmente i bambini, vivono ancora in condizioni di grande difficoltà e marginalizzazione. Rendere possibile l’inclusione sociale e una cittadinanza attiva è una grande sfida per l’oggi e pure per il domani».

Corsolini, tuttavia, propone anche un cambio di sguardo: «Che cosa possiamo riportare qui dalle esperienze che viviamo in Paesi oggettivamente svantaggiati? Una cosa importante è l’approccio comunitario e i percorsi di coesione sociale che abbiamo sempre cercato di portare avanti in tutti i contesti. Credo che queste esperienze possano dire molto anche al nostro mondo oggi così spaventato e insicuro dopo anni di pandemia e una guerra alle porte dell’Europa».

Ancorata all’ispirazione del beato don Luigi Monza, Ovci combatte anche pregiudizi e discriminazioni