Pakistan, sul lavoro la discriminazione quotidiana dei cristiani

Pakistan, sul lavoro la discriminazione quotidiana dei cristiani

Un rapporto della Commissione per i diritti umani e della Conferenza episcopale sulle condizioni lavorative a Karachi e Hyderabad mostra situazioni di ordinaria emarginazione

 

La discriminazione verso le minoranze sembra radicarsi in Pakistan, nonostante la reazione della società civile e gli impegni ufficiali. E a poco sembrano servire anche le pressioni internazionali che periodicamente si riaccendono davanti a casi di violenza e sopraffazione.

La persecuzione violenta è spesso solo la punta dell’iceberg in una situazione di costante pressione da parte di un’élite musulmana che erode diritti e tutele previsti nella Costituzione per tutti i pachistani ma in buona parte disattesi. Talvolta questi diritti sono addirittura annullati da iniziative come la “legge antiblasfemia”, cioè gli articoli del Codice penale che da strumento di tutela della fede della maggioranza musulmana sono spesso strumentalizzati per tenere in stato di soggezione le minoranze religiose e colpire l’islam liberale e i mass media.

Ci sono aziende – anche multinazionali necessarie allo sviluppo del paese – dove si registrano casi in cui a non musulmani viene impedito di utilizzare le stesse posate dei colleghi musulmani. Episodi non rari e in sé limitati se non per i rischi che comportano. Va segnalato infatti che in questa situazione si colloca lo stesso “caso” di Asia Bibi, la donna cattolica madre di cinque figli costretta da quasi nove anni a una vita dietro le sbarre e a rischio di ritorsioni per sé e la famiglia. La sua vicenda nacque proprio da un litigio con vicine musulmane sull’utilizzo di un bicchiere per l’acqua che portò poi all’accusa di blasfemia e alla sentenza di morte, sospesa dalla Corte suprema in attesa di un giudizio finale.

A evidenziare la pervasività di questi elementi arriva ora uno studio frutto della collaborazione tra la Commissione per i Diritti umani del Pakistan, istituzione indipendente, e dalla Conferenza episcopale cattolica. Centrale nel testo la situazione delle città di Karachi e Hyderabad, nella provincia meridionale del Sindh, cioè la prima, più popolosa città del Paese e il suo cuore commerciale.

Prese in esame sono appunto storie di ordinaria discriminazione sul posto di lavoro che riguarda i cristiani, che secondo i dati ufficiali rappresentano l’1,59 per cento dei 200 milioni di pachistani. Come sottolineato da padre Saleh Diego, coordinatore della Commissione nazionale Giustizia e pace, in molti casi cristiani e indù non vengono assunti a causa della loro fede; in altri l’assunzione induce aperta ostilità da parte dei colleghi musulmani.

Non è un caso se impieghi considerati degradanti, come la pulizia dei servizi igienici, la manutenzione delle fognature e la raccolta dei rifiuti siano affidati perlopiù a non-musulmani. Proprio di oggi è la notizia della morte di un ragazzo cristiano, Shehzad Mansha Masih, addetto alla pulizia della rete fognaria di Karachi, soffocato da un gas tossico inalato perché costretto a lavorare senza adeguate misure di sicurezza. Anche in scuole e ospedali i non-musulmani vengano impiegati in ospedali e scuole come inservienti, mentre quelli che finiscono per ottenere un’occupazione di medio o alto livello rischino comunque l’isolamento.

Uno studio, quello sulla discriminazione sul posto di lavoro, che – sottolineato i compilatori – vuole avviare una maggiore coscientizzazione sul problema, incoraggiare i gruppi per i diritti umani a prendersi cura dei casi di discriminazione e anche cercare giustizia nei confronti dei responsabili per evitare che la situazione si perpetui.