Madang, l’Oceania delle nuove comunità

Madang, l’Oceania delle nuove comunità

Viaggio nella regione settentrionale della Papua, dove da qualche anno sono presenti i missionari del Pime. Tra villaggi, coste e la terza più grande foresta pluviale al mondo. Da preservare

 

È una delle più vaste Chiese locali della Papua Nuova Guinea l’arcidiocesi di Madang. Ed è anche quella dove è più giovane la presenza del Pime: solo da qualche anno i nostri missionari svolgono il loro ministero in questo tratto della costa settentrionale del Paese. Per questo è stata per me un’occasione particolarmente preziosa, poche settimane prima dell’inizio dell’emergenza Coronavirus, poter fare tappa qui a nome della Direzione generale del Pime incontrando le comunità e l’arcivescovo monsignor Anton Bal.

Accogliendo una richiesta giunta proprio dalla Chiesa locale, il primo missionario del Pime a giungere nell’arcidiocesi di Madang alla fine del 2014 era stato padre Ralph Minocher Jasawala. «Sono originario dell’India, dove nei primi anni dopo l’ordinazione sono stato destinato alla formazione dei seminaristi – racconta -. Arrivare in Papua Nuova Guinea per me è stato come cantare il Magnificat. Inizialmente sono stato assegnato alla parrocchia di Ariangon e accanto a questa gente semplice ho imparato tanto: con la loro vita e la loro cultura mi hanno insegnato a essere il loro pastore».

Due anni fa poi è emersa una nuova necessità; così adesso padre Ralph è parroco a Kar Kar, un’isola nel mare di Bismarck. «La parrocchia è una sola ma nel suo territorio vi sono quattro piccole cappelle: ogni settimana vado in una a celebrare la Messa. Riguardo alla mia gente voglio dire due cose importanti: sono persone che mi aiutano molto, anche i servizi più umili li svolgono con una dedizione straordinaria. E poi qui ho un bel gruppo di chierichetti entusiasti: a volte mi capita di averne addirittura trenta a servire la Messa».

Far crescere le piccole comunità è il ministero quotidiano anche per gli altri due missionari del Pime presenti nell’arcidiocesi di Madang. Padre Gaudencio Francisco Pereira, della Guinea Bissau, svolge il suo ministero nella parrocchia di Kayan. «Qui non avevano mai avuto un prete residente – racconta -. Prima c’era solo la chiesa, punto di riferimento per nove villaggi. Sono molto contenti di questa novità e la sfida ora è far crescere il senso di appartenenza alla comunità. Abbiamo realizzato un centro parrocchiale e ora abbiamo anche la gioia di poter contare su un asilo per i bambini, portato avanti da insegnanti volontarie».

Padre Suresh Kumar Gorremucchu, anche lui originario dell’India, è invece parroco a Bosmun, dove ha sette diverse cappelle da seguire. Proprio nei giorni in cui mi trovavo lì ne abbiamo inaugurata una, anche questa realizzata con il sostegno dei benefattori del Pime: «È in un villaggio dove vivono 700 persone – spiega padre Gaudencio -. Sono contenti di poter finalmente avere una chiesa dove poter pregare e celebrare l’Eucaristia».

Piccoli passi di una Chiesa locale che cresce. E che da qualche mese ha monsignor Anton Bal come nuovo arcivescovo. Cinquantasei anni, con alle spalle già un’esperienza alla guida della diocesi di Kundiawa, nella zona montuosa della Papua Nuova Guinea, è con lui che proviamo a osservare un po’ più da vicino le sfide che vive oggi la Chiesa in questo angolo dell’Oceania.

«Sono cresciuto in un piccolo villaggio in una grande famiglia: eravamo sei figli – racconta l’arcivescovo di Madang -. L’High School si trovava a tre ore di cammino dal mio villaggio, dovevamo portare il cibo da casa per tutta la settimana. Quando mi sono diplomato ho chiesto di entrare in seminario: sono stato ordinato prete nel 1991».

Una vocazione, dunque, cresciuta dentro il contesto della Papua. «Noi preti locali in quegli anni eravamo ancora pochissimi – ricorda monsignor Bal -, i missionari arrivati qui dall’estero sono stati il modello per il nostro ministero. Ho fatto del mio meglio per essere all’altezza delle attese della mia gente, ma non è stato facile… Soprattutto quando venivano da me chiedendo di realizzare progetti per strutture di sviluppo sociale. Dovevo ricordare loro: guardate che sono uno di voi, se le vogliamo occorre realizzarle insieme».

A Kundiawa monsignor Bal ha raccolto il testimone da un vescovo missionario: «Sono stato nominato nel 2007, ho guidato la diocesi per dodici anni – spiega -. Era il contesto in cui sono cresciuto; da responsabile della pastorale vocazionale giravo già nelle comunità, conoscevo tutti. Come vescovo il mio compito è stato quello di far crescere la diocesi valorizzando le proprie forze. Ho cercato di far capire che la Chiesa è presente per restare, per aiutare ciascuno a mettere in pratica la propria fede, a partecipare attivamente alla vita della comunità. E i frutti di questo lavoro sono stati belli: vorrei portarli anche qui a Madang».

La sfida non è semplice anche per l’estensione dell’arcidiocesi. «A Kundiawa arrivavo via terra in quasi tutte le parrocchie. Qui invece l’area è molto più vasta, sarà tutto più difficile: le comunità sono più numerose, per visitarle devo spostarmi in auto, in aereo, in barca. Ho calcolato che potrò visitarle solo una volta ogni due anni».

Spostarsi così tanto significa anche entrare in contatto con il mare e la foresta, due dei volti più peculiari di questo Paese. «La Chiesa della Papua Nuova Guinea sta lavorando molto sull’enciclica Laudato Si’ e su come vivere in maniera responsabile il rapporto con il creato – commenta l’arcivescovo -. Si tratta di un documento molto bello che ci chiede di rispondere accogliendo le sfide che la natura ci pone. Qui in Papua Nuova Guinea si tratta semplicemente di ascoltarla: oggi per esempio sarei dovuto partire presto, ma la pioggia mi costringe ad aspettare. Ecco: già questo ci parla di uno stile di vita qui. Consapevoli che la natura è una grande ricchezza».

La Papua Nuova Guinea custodisce tuttora la terza maggiore foresta pluviale al mondo. Ma – proprio come in Amazzonia – anche qui si tratta di un tesoro minacciato dalla sete di materie prime dell’economia globale. «Come Chiesa vorrei vedere il nostro governo affrontare con maggiore decisione questo tema – commenta monsignor Bal -. Vorrei provasse a sviluppare davvero una strategia di sviluppo che faccia uso in maniera responsabile delle risorse che la natura ci offre.

Amministrarla e permettere alla nostra gente di goderne i frutti senza svenderla nelle mani di interessi economici che vengono da fuori. Preservare e allo stesso tempo mettere a frutto è possibile, ma il nostro governo deve essere creativo, prendere l’iniziativa».

Un discorso che vale anche per l’altra grande sfida che balza subito all’occhio in Papua Nuova Guinea: quella delle nuove generazioni. «La popolazione è cresciuta rapidamente – commenta l’arcivescovo di Madang -. Nel 1975, quando il Paese ha ottenuto l’indipendenza, eravamo tre milioni; adesso ci avviamo verso gli otto milioni. Ma questa non può diventare una scusa per dire che siamo troppi. La nostra è una crescita naturale della popolazione in un Paese che ha tante risorse: l’oro, il rame, il caffè, la pesca, il legname… Il problema è che non riusciamo a gestirle al meglio; e la conseguenza è che per tanti di questi giovani non ci sono prospettive. Alla fine della scuola secondaria solo il 25% riesce ad andare oltre, gli altri finiscono sulla strada. Come società dobbiamo trovare il modo di dare delle risposte, altrimenti questo Paese non potrà avere speranze. Oggi invece i loro sogni di futuro restano disattesi, non trovano lavoro. Finiscono per essere depressi, frustrati; anche certi loro comportamenti violenti sono un grido per dirci: ci siamo, guardate a noi, non trascurateci».

Chiediamo all’arcivescovo Bal come veda la presenza dei missionari del Pime in un contesto dove le vocazioni locali stanno iniziando a crescere. «La Chiesa vive dentro a un contesto locale ma ha anche una vocazione universale – ci risponde -. Annunciare il Vangelo fino agli estremi confini è il cuore della sua missione. La presenza insieme di sacerdoti locali e missionari venuti dall’estero ci aiuta a coltivare una pluralità di esperienze e a condividere la stessa fede. Ricordando che al centro c’è l’annuncio del Vangelo di Gesù, non le strutture che suppliscono alla mancanza di servizi che dovrebbe essere il governo a garantire». La Chiesa papuana che cosa può offrire alle Chiese di antica tradizione cristiana che in Europa oggi sembrano troppe volte stanche nel loro modo di vivere la fede? «Le nostre chiese sono piene di giovani, una cosa che ormai non si vede spesso in Europa – ci conferma monsignor Bal -. Ma anche qui, nella vita di questi ragazzi, il seme del Vangelo va comunque fatto crescere. Alla fine tutto dipende da come ci rapportiamo con loro. Se riescono a scorgere oppure no in noi il dono di una vita che sa attrarre come sorgente di speranza. E questa è una sfida che vale a ogni latitudine».