«Da discepoli in un mondo malato»

«Da discepoli in un mondo malato»

Sotto una pioggia battente l’arcivescovo di Milano mons. Mario Delpini ha presieduto al seminario di Monza le ordinazioni di cinque nuovi missionari del Pime.

 

Si è svolta questo pomeriggio nel giardino del Seminario internazionale di Monza l’ordinazione sacerdotale di cinque nuovi missionari del Pime: Mauro Pazzi, Ivan Straface, Fel Catan, Nathi Lobi e Sravan Kumar Koya. La cerimonia è avvenuta sotto un’improvvisa pioggia battente. «Con questa benedizione così ampia sarete i preti della sovrabbondanza» ha sorriso l’arcivescovo. Pubblichiamo l’omelia tenuta da mons. Delpini. 

 

Sulle strade della debolezza di Dio

Tra miseri, cuori spezzati, afflitti, prigionieri.

Il mondo è malato. Mai, forse, questa condizione di desolazione e angoscia è risultata evidente come nel nostro tempo. In verità ogni tempo è stato sentito come il più tribolato dai contemporanei inclini a diagnosi catastrofiche e a invettive risentite.

Il mondo è malato. È sempre stato malato, ma la coscienza del nord del mondo percepisce in modo particolarmente drammatico la situazione perché avverte la sconfitta della propria presunzione e riconosce che l’insidia si è fatta troppo vicina e troppo inafferrabile.

Il mondo è malato, ma nella congiuntura attuale sembra che l’unica malattia sia il coronavirus. Sembra che per tutte le altre malattie e tragedie non ci sia più spazio sui giornali e nei notiziari di oggi, di una società incline a ripiegarsi su di sé e a ritenersi il centro e il criterio del mondo.

In ogni caso il mondo è malato, in molti modi diversi.

I Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza.

Nel mondo malato ci sono quelli come i Giudei, cioè i devoti che coltivano la coscienza di essere il popolo di Dio e interpretano questa vocazione come una sorta di privilegio: si aspettano che ci sia l’intervento miracoloso del Dio dell’alleanza per liberare il suo popolo e umiliare i suoi nemici.

Chiedono miracoli tutti i devoti che immaginano l’onnipotenza di Dio come il dovere di Dio di sistemare le cose, di intervenire in modo prodigioso per dare sollievo, salvezza, guarigione. L’esito di questa aspettativa è il risentimento verso Dio che non fa niente per salvare, che ritarda nell’ascoltare la preghiera, che sembra indifferente alla sorte del suo popolo.

Nel mondo malato ci sono quelli come i Greci, cioè i cultori della sapienza e della scienza: contano sulle proprie risorse, sono orgogliosi per i risultati conseguiti e hanno la certezza di vincere anche questa battaglia. Non hanno bisogno di pregare, ma solo di studiare, di reperire risorse per la ricerca. Non hanno interesse alla vicende delle persone, ma solo ai risultati, ai numeri, ad arrivare primi al traguardo. Guardano con disprezzo ai percorsi dei devoti e sono indifferenti alle sofferenze, finché la malattia non entra in casa loro e la morte non li sfiora da vicino.

L’esito di questa presunzione è una cinica disperazione. Siamo tutti condannati a morte e non c’è altro che rassegnarsi. Sempre meglio che siano gli altri a morire.

Andate per tutto il mondo, proclamate il vangelo a ogni creatura.

Nel mondo malato il Signore Gesù manda i suoi discepoli e agisce insieme con loro.

Nell’ordinazione presbiterale che oggi celebriamo si rinnova questa missione e la parola delle Scritture descrive l’intervento di Dio nella storia come un’opera di salvezza che smentisce l’attesa dei miracoli e le presunzioni della scienza.

I candidati consacrati con l’unzione sono mandati a portare il lieto annuncio ai miseri. Ma la strada che devono percorrere è quella di Gesù, che Paolo chiama la debolezza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Il lieto annuncio è quindi il mistero di Cristo: la salvezza di Dio entra nella vita e guarisce il mondo malato per la strada percorsa da Gesù.

La sapienza dei sapienti e l’intelligenza degli intelligenti si ritrovano confuse e scandalizzate dal modo di agire di Dio, ma l’unico modo che noi possiamo conoscere, l’unica strada che noi possiamo percorrere è lo stile e l’opera di Gesù.

Come si può descrivere la via della debolezza di Dio? Che cosa raccomanda ai candidati questa celebrazione che li conforma a Cristo, l’unto di Dio? Forse qualche cosa si può dire, ma non si può riassumere con poche parole: ci vorrà tutta intera la vita per imparare, se la parola di Dio continuerà a guidare i nostri passi e se la condizione desolata dell’umanità continuerà a impedirci di stare tranquilli sulle convinzioni acquisite e sulle posizioni ottenute.

Parleranno lingue nuove: l’invio in tutto il mondo abilita a rendersi comprensibili da parte di ogni creatura. La missione di Gesù non soffre di limitazioni culturali, geografiche, linguistiche. Non è però una missione che pretende dei missionari poliglotti, piuttosto richiede in primo luogo di parlare linguaggi che tutti capiscono. La lingua che tutti capiscono è quella dell’amore, quella di cui hanno esperienza i candidati espressa nel loro motto: Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo (Gv 4,19). La lingua sempre nuova per comunicare la verità di Dio al mondo malato è quella dell’amore.

Noi predichiamo Cristo crocifisso: la risposta all’invocazione di salvezza che il mondo rivolge a Dio senza conoscerlo è Gesù e Gesù crocifisso. La debolezza di Dio si rivela salvezza perché si pone là dove la vita è sconfitta e apre l’ingresso alla gloria. La salvezza che viene da Dio non è un intervento palliativo che dà un po’ di sollievo in attesa che la morte vinca definitivamente. È invece dono della vita stessa di Dio. La promessa della risurrezione che è scritta nel Cristo crocifisso suona insignificante nella nostra cultura e forse in ogni cultura mondana. Perciò forse anche i predicatori, i missionari sono reticenti e l’impegno si rivolge a molte opere buone, Le opere buone ricevono molte benedizioni da molti: infatti non desiderano la vita di Dio, ma qualche sollievo per vivere al meglio la vita mortale. E quali opere buone può compiere il crocifisso? Noi predichiamo Cristo crocifisso … debolezza di Dio.

Consolare tutti gli afflitti, per dare … olio di letizia invece dell’abito di lutto. La debolezza di Dio si rivela potenza che salva perché offre la gioia a ogni cuore afflitto. Il Padre non si interessa delle nozioni generali, del “mondo”, dell’“umanità”, ma di ciascuno dei suoi figli e offre consolazione e salvezza a ciascuno. L’annuncio del vangelo è la buona notizia che sparge l’olio di letizia e chiede a ciascuno l’adesione della fede: chi crederà e sarà battezzato sarà salvato… La debolezza di Dio si presenta alla libertà di ciascuno, come colui che sta alla porta e bussa. Se qualcuno gli apre entrerà per trasfigurare la vita mortale nella vita eterna.